Libano: nulla impedirà al sole di sorgere di nuovo
L'ex Svizzera del medio-oriente sta attraversando da anni una crisi che non accenna a diminuire, anche a causa dello "stallo" presidenziale, ma non solo, fra corruzione e rapporti tesi con Israele.
L'ex Svizzera del medio-oriente sta attraversando da anni una crisi che non accenna a diminuire, anche a causa dello "stallo" presidenziale, ma non solo, fra corruzione e rapporti tesi con Israele.
Mentre da Beirut arrivano immagini di devastazione, noi ci affidiamo alle parole senza tempo di un poeta che in Libano è nato e ha trascorso la sua infanzia, Khalil Gibran: “nulla impedirà al sole di sorgere di nuovo, nemmeno nell’ora più buia. Perché oltre la nera cortina c’è un’alba che ci aspetta”. Con questa speranza scriviamo all’indomani dello stallo nelle elezioni del Presidente del Libano avvenute lo scorso 14 giugno.
Il parlamento del Libano si è riunito il 14 giugno per la dodicesima volta per eleggere il capo dello Stato. Due i candidati in lizza: Suleiman Frangieh, sostenuto dal tandem sciita, e Jihad Azour, favorevole alle riforme economiche, ma vista la situazione di stallo si prevede una mediazione per raggiungere finalmente un accordo. Allo stato attuale, il Paese è guidato da un governo, con un premier dimissionario, che prende decisioni solo su questioni di ordinaria amministrazione, mentre l’economia sta attraversando la peggiore recessione dall’indipendenza con un tasso di inflazione che sfiora il 300%.
Giovedì 8 giugno 2023, il portavoce del FMI ha dichiarato, con un grido di allarme, che il Libano deve avviare con urgenza delle riforme economiche di ampia portata per evitare “conseguenze irreversibili” proprio mentre Jihad Azour, direttore del Dipartimento del Medio Oriente e l’Asia centrale del FMI, è candidato alla massima carica.
Conosciuto storicamente come la “Svizzera del Medio Oriente” per la ricchezza economica e le efficienti politiche finanziarie implementate, da oltre tre anni il Libano sta vivendo una profonda crisi che non sembra arrestarsi, caratterizzata da alti tassi di svalutazione monetaria, inflazione e contrazione dell’economia. Negli ultimi mesi il peggioramento delle condizioni socioeconomiche e lo stallo politico in corso hanno portato centinaia di libanesi a riunirsi nelle strade di Beirut per manifestare forte disapprovazione e frustrazione nei confronti dell’élite al potere. In più si acuiscono le tensioni con Israele.
Attualmente l’assemblea legislativa è composta da due blocchi principali, al loro interno molto divergenti nella concezione delle priorità per il Paese e le soluzioni politiche ed economiche da adottare per risollevare l’intero sistema Paese. Questa condizione caratterizza nello specifico il blocco di maggioranza e il fronte di opposizione al blocco guidato da Hizbullah e Amal, costituito sia da forze storicamente presenti sulla scena politica – come, ad esempio, le Lebanese Forces di Samir Geagea – e sia da 13 parlamentari indipendenti o appartenenti alle cosiddette “Forze del Cambiamento” – movimento nato a seguito delle proteste del 2019.
La mancata coesione interna al parlamento e il boicottaggio messo in atto dai due partiti di ispirazione sciita sono le cause principali della mancata elezione del Presidente della Repubblica e del progressivo deterioramento della crisi economica. Dall’ottobre 2022, termine del mandato dell’ex Presidente Michel Aoun, il Libano non ha un presidente e il governo provvisorio non può attuare e implementare le riforme necessarie alla ripresa economica.
Il vacuum politico è uno dei fattori di maggiore attenzione emersi dal rapporto della delegazione del Fondo monetario internazionale (Fmi) in visita a Beirut dal 15 al 23 marzo scorso, che ha monitorato la condizione socioeconomica del Paese, ritenendo necessario sbloccare l’impasse politica e attuare un pacchetto di riforme di medio-lungo periodo.
Tuttavia, come emerge dal rapporto stesso, il peggioramento della crisi economica non è un fenomeno recente e non è imputabile esclusivamente alla mancata elezione presidenziale: anche la scarsa collaborazione della Banca Centrale del Libano (Bcl) con le istituzioni politiche risulta tra i fattori determinanti.
Proprio questo passaggio risulta interessante per approfondire la politica monetaria adottata dalla Bcl negli anni precedenti alla crisi e capire se la responsabilità di manovre finanziarie – si direbbe oggi poco lungimiranti – ha inciso in egual misura della corruzione sul collasso economico della “Svizzera del Medio Oriente”.
A questo riguardo, la Bcl è stata spesso accusata di agire come “uno Stato nello Stato”, rifiutando di aprire i propri conti a seguito di consultazioni pubbliche, “agendo in protezione” del cosiddetto segreto bancario. Proprio di recente, inoltre, il governatore della Bcl Riad Salameh è stato accusato di riciclaggio di denaro, appropriazione indebita – circa 300 milioni di dollari sottratti dalla Bcl tra il 2002 e il 2015 – e arricchimento illecito. Ecco quindi che si riesce a trovare un filo conduttore in questo primo quarto del terzo millennio dove dall’Argentina al Libano, ai Balcani, all’Africa e Asia, all’Ucraina milioni di persone vivono senza pace e progresso.
Ancora risuonano le Parole dell’Esortazione al Libano di Papa Giovanni Paolo II: “Una speranza nuova per il Libano”, firmata da Wojtyla a Beirut il 10 maggio 1997, in occasione della sua visita apostolica in terra libanese. Nel 2023 cadono i 26 anni dalla pubblicazione di quel testo chiave. “Il Libano” aveva scritto il papa polacco ai vescovi cattolici libanesi il 7 settembre 1989, quando il conflitto fratricida era ancora in atto “è qualcosa di più di un Paese: è un messaggio di libertà e un esempio di pluralismo per l’Oriente come per l’Occidente”.
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