Da qualche mese, da quando cioè il 30 novembre 2022 è stata presentata al mondo intero l’invenzione di ChatGPT da parte di OpenAI (società appartenente all’universo Microsoft), al centro della discussione internazionale c’è il modo in cui l’intelligenza artificiale influisce e soprattutto influirà sulle nostre vite. Nelle settimane successive all’annuncio c’è stato un grande “hype” sul tema: sulle riviste specializzate, sui giornali generalisti, sui social, in tv. Ovunque.

Fra i vari argomenti di cui si è parlato e tutt’ora si parla più spesso c’è anche quello, inevitabilmente, che riguarda la sfera del giornalismo. Già, perché un’invenzione che prevede, fra le sue varie applicazione, anche la possibilità di realizzare testi scritti in tutto e per tutto simili a quelli generati dalla mente umana non può che creare interesse, da una parte, ma anche un certo grado di allarme. Le domande più frequenti, in quest’ottica, sono: come cambierà la professione? Cosa cambierà nel futuro dei giornali e dei giornalisti? Come cambierà il modo di dare e ricevere le notizie?

Non si tratta, in realtà, di domande nuove. Le principali testate giornalistiche del globo stanno già studiando da diversi anni come poter utilizzare al meglio le macchine e le tecnologie a nostra disposizione per raccogliere, produrre, analizzare e distribuire dati e notizie dal mondo. Un elemento ad oggi sicuramente inconfutabile è che l’intelligenza artificiale può essere in effetti utilizzata per ricercare, archiviare ed elaborare i dati e aiutare così il giornalista nel suo compito, non sempre agevole, di “masticazione” della notizia.

Consideriamo l’esempio di un notiziario finanziario automatizzato. Con l’assistenza dell’intelligenza artificiale, un giornalista può oggi tranquillamente analizzare in modo rapido ed efficiente grandi quantità di dati, come tendenze di mercato, prezzi delle azioni e indicatori economici. Lo strumento basato sull’intelligenza artificiale può generare visualizzazioni approfondite, come grafici e diagrammi, che supportano l’analisi del giornalista che alla fine può produrre un rapporto completo, dettagliato in ogni suo aspetto, rendendo più facile per i lettori comprendere dati finanziari in genere estremamente complessi.

Oggi gli strumenti basati sull’intelligenza artificiale consentono alle redazioni di mantenere un costante tono coerente e obiettivo nei loro reportage. Analizzando e classificando il sentimento dei contenuti scritti, i sistemi di intelligenza artificiale possono anche rilevare e contrassegnare un eventuale linguaggio distorto, assicurando in questo modo che i giornalisti aderiscano a rigorosi standard di imparzialità. E non dimentichiamo che i contenuti generati dall’intelligenza artificiale possono anche essere tradotti facilmente e rapidamente in più lingue, aumentando potenzialmente la portata dei contenuti giornalistici al pubblico globale.

Quali rischi?

Il fatto altrettanto inconfutabile, però, è che con le recenti innovazioni l’intelligenza artificiale potrà essere utilizzata anche per scrivere direttamente e, in qualche caso, riscrivere interi articoli destinati a pubblici diversi. Collegando ad esempio un articolo specifico a una chatbot potrebbero uscire più versioni dello stesso pezzo: una, per fare esempi a noi vicini, in “stile Manifesto”, un’altra in una versione in “stile Libero” o “La Verità”, un’altra ancora in stile “Fatto Quotidiano” e così via.

Potrebbe sembrare una questione da relegare a una sorta di cinematografico futuro distopico, ma in realtà è bene sapere che questi “modelli di linguaggio” possono si trovano già in strumenti come Copilot di Microsoft. Copilot può riscrivere, infatti, articoli per segmenti di pubblico diversi, oltre a ricercare e lavorare insieme a fogli di calcolo come Excel. Con il rilascio di ChatGPT dello scorso novembre questi modelli linguistici automatizzati hanno raggiunto (e soprattutto potranno sempre più raggiungere in futuro) parte dell’essenza stessa di ciò che contraddistingue il lavoro giornalistico: la scrittura e la sintesi delle informazioni, fino ad arrivare alla vera e propria creazione di (nuove) storie.

Per questa ragione l’idea dell’IA nel giornalismo risulta ai nostri occhi inquietante, ma nonostante tutto abbiamo anche il dovere di riflettere sugli innumerevoli usi pratici dell’IA. Ma mentre i potenziali benefici dell’IA generativa nel giornalismo sono enormi, è fondamentale riconoscere al tempo stesso le potenziali insidie ​​e le preoccupazioni etiche che accompagnano questa tecnologia.

Sebbene l’IA generativa possa aiutare a combattere la disinformazione, può anche essere utilizzata per creare fake news convincenti. Un problema urgente è quello creato da articoli, foto e video deepfake, generati dall’intelligenza artificiale, che come abbiamo già visto con le ormai celebri foto di Donald Trump arrestato o di Papa Francesco con il Moncler, potrebbero diffondere disinformazione e minare la fiducia del pubblico nei media. Con l’avanzare della tecnologia, la distinzione tra contenuti genuini e contenuti generati dall’intelligenza artificiale diventa sempre più difficile da fare, soprattutto per chi fra il pubblico è meno preparato, ponendo una sfida significativa all’integrità del giornalismo.

L’IA generativa solleva anche molte preoccupazioni etiche, come la possibilità di creare contenuti di parte o offensivi. Garantire che i contenuti generati dall’intelligenza artificiale aderiscano sempre agli standard giornalistici e alle linee guida etiche è una sfida continua che richiede una strettissima collaborazione tra tecnologia, giornalismo, politica ed esperti di etica.

Il futuro dei lavoratori

Al di là di tutto questo, però, c’è anche la questione legata ai diritti umani e a cosa significhi l’intelligenza artificiale per il futuro dei lavoratori. Molti giornalisti vedono naturalmente una minaccia per i loro mezzi di sussistenza se le macchine scrivono le loro storie”. E inevitabilmente, i giornalisti si chiedono se saranno «ridotti a fact-checker della macchina. Ad oggi, però, la maggior parte dei redattori concorda ancora sul fatto che l’intelligenza artificiale non sostituirà mai veramente i giornalisti, ma potrà aiutarli a tenere traccia di ciò che accade nel loro campo e a fare un lavoro migliore. Il che rappresenta certamente un aspetto positivo.

L’automazione di alcuni aspetti della produzione di notizie può portare allo spostamento di posti di lavoro nel settore. Man mano che i sistemi di intelligenza artificiale diventano più capaci, la domanda di giornalisti umani potrebbe diminuire, portando a preoccupazioni sul futuro mercato del lavoro per gli aspiranti giornalisti. Secondo il rapporto del World Economic Forum, l’adozione dell’IA e dell’automazione potrebbe portare alla perdita di 85 milioni di posti di lavoro entro il 2025. L’industria del giornalismo dovrà essere in grado di bilanciare lo sfruttamento delle capacità dell’IA con la conservazione del tocco umano, essenziale per realizzare reportage di qualità.

C’è qualcosa che va al di là della portata dei database e degli algoritmi: ogni giorno accadono fatti nuovi e i giornalisti vedono cose, fanno collegamenti e, occasionalmente, secondo il famoso detto, riescono persino a realizzare quello che viene considerato l’unico vero tipo di giornalismo: pubblicano, cioè, quello che qualcun altro non vuole che sia pubblicato.

Una tecnologia in continua evoluzione

L’uso dei telefoni cellulari come strumenti giornalistici è iniziato meno di un quarto di secolo fa, durante la guerra del 1999 in Kosovo. Ed è indubbio che il cellulare abbia cambiato la vita dei giornalisti. Poi con il tempo (e gli smartphone) è arrivato il giornalismo digitale e l’ascesa delle piattaforme social: TikTok, Snapchat e prima ancora Twitter e Facebook. Un tempo Twitter e Facebook erano strumenti importanti utilizzati dai giornalisti per raggiungere un grande pubblico, promuovere il proprio lavoro e persino rispondere alle critiche. Twitter ha contribuito a lanciare importanti movimenti di attivisti come Black Lives Matter e su Facebook sono state annunciate e organizzate le dimostrazioni e le proteste della Primavera araba. Si tratta di strumenti che hanno avuto il loro peso nei processi di democratizzazione di alcune zone del mondo.

Twitter, dal canto suo, ha raccontato alla gente cosa stava succedendo nel mondo, “indipendentemente dal tuo stato o dalle tue credenziali”. Ma nonostante abbia contribuito a diffondere nel mondo il concetto di “libertà di stampa”, il social network ha a suo modo anche portato all’ascesa della disinformazione, del trolling online, della diffusione del razzismo e moltissimo altro. E quindi?

Una questione (anche) legislativa

È fondamentale capire come la tecnologia si evolverà e cambierà il modo di fornire le notizie nei prossimi anni. Molto è ancora oscuro in questo senso e in mancanza di leggi e regole ben definite il rischio è che la faccenda possa sfuggire di mano. Un rischio che il cinema ha già raccontato in numerosi film, da “2001 Odissea nello Spazio” a “Blade Runner” e “Terminator” fino a “Matrix”. Al di là della fantascienza d’antan, però, rimane fondamentale gestire il fenomeno e capire che l’intelligenza artificiale non è solo un robot mostruoso che può prendere il sopravvento sulle nostre vite, ma può (e deve) essere utilizzata come strumento democratico o come aiuto per il cambiamento climatico o dei diritti umani.

Possiamo prendere il meglio di questa tecnologia e lasciarci alle spalle gli aspetti più spaventosi, anche se forse per far ciò occorre anche una regolamentazione internazionale sulla materia. In questo senso risulta importante la spinta che può dare l’opinione pubblica della comunità globale. Si tratta d’altronde di un progresso inarrestabile ed è importante accompagnare questo processo per mano, per non far ad esempio deragliare dal punto di vista etico un giornalismo già ora in pesante crisi. E dargli così la “mazzata” finale.

Di questo e molto altro parleremo il 15 giugno alle 17 al Festival del Giornalismo di Ronchi dei Legionari (GO) – Leali delle Notizie in compagnia dei giornalisti Silvia Fabbi e Nicola Comelli.

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