L’acqua che uccide
La distruzione della diga di Kakhovka nella regione di Kherson sta causando anche immani conseguenze ecologiche, disastrose per i territori circostanti. E la minaccia non riguarda soltanto il popolo ucraino.
La distruzione della diga di Kakhovka nella regione di Kherson sta causando anche immani conseguenze ecologiche, disastrose per i territori circostanti. E la minaccia non riguarda soltanto il popolo ucraino.
«I miei genitori non vogliono andar via, perché hanno la casa, l’orto», mi spiegava E., profuga a Verona con la sua famiglia. «Papà non cammina bene, la mamma è rimasta per prendersene cura». Volevano restare ad Oleshki, in una delle zone più belle e floride dell’Ucraina, accanto al fiume Dnipro, nella regione di Kherson.
Dal 6 giugno 2023 è anche uno dei pesini sommersi in seguito all’esplosione della diga di Kakhovka.
Ieri mattina non rispondevano al telefono, mentre il canale Telegram di Oleshki esplodeva di messaggi: «C’è un uomo che fa fatica a camminare, vi supplico, aiutatelo a salire sul tetto! È ancora vivo!», «I miei sono sul tetto, vi ringrazierò se passate a prenderli!», «Aggiungete l’indirizzo, una donna di 76 anni chiede aiuto», «Ci sono due vecchietti e due cani, aspettano una barca», «La casa accanto alla nostra è crollata, venite presto, siamo in quattro sul tetto». Infine: «I russi impediscono alle barche di muoversi, i soccorsi sono vietati». I parenti che vivono altrove osservano, impotenti e scioccati, l’agonia dei loro cari.
Tutto questo perché alle ore 2.30 della notte del 6 giugno, giusto a poche ore dalla fine della Giornata mondiale dell’ambiente, i militari russi hanno fatto saltare uno dei settori centrali dell’enorme diga che da decenni bloccava una massa d’acqua nel bacino idrico di Kakhovka, insieme alle turbine e ai generatori.
Per costruire questa diga, nel 1956 i sovietici fecero allagare diversi villaggi dove una volta abitavano i cosacchi. Ora è l’acqua che esce dalla diga, sbriciolata e sommersa in poche ore della furia del flusso, a seppellire i villaggi e le città circostanti.
Rovinarla non era un’impresa facile: i costruttori della diga hanno previsto sistemi di sicurezza che avrebbero dovuto resistere anche alla bomba atomica. L’altezza dell’onda al momento d’esplosione ha raggiunto i 4,8 metri, la zona di allagamento vasta 5 chilometri. Gli occupanti russi si sono preparati in anticipo, aumentando al massimo il livello dell’acqua nel lago fino all’altezza record di 17,5 metri.
Si sono preparati anche a livello legislativo: il 31 maggio era entrata in vigore una nuova Delibera del governo russo, dedicata alla gestione delle zone occupate, che decreta: “Le indagini sulle cause tecniche dei guasti alle infrastrutture industriali a rischio e le avarie delle costruzioni idrotecniche, causate in seguito alle attività belliche, diversione ed atti terroristici non verranno svolte”. Poco prima avevano tolto di mezzo chi eventualmente avrebbe potuto indagare, bandendo la ong Greenpeace dalla Federazione Russa.
I russi hanno minato la diga subito dopo l’occupazione, rafforzando il minamento in aprile di quest’anno. I servizi ucraini avvertivano da tempo che il pericolo di un’esplosione era imminente, anche perché non si tratterebbe della prima volta. Infatit, le truppe sovietiche in ritirata nel 1941 fecero brillare la diga della stazione idroelettrica di Zaporizhzhia, emulati dai tedeschi pochi anni dopo.
Nonostante i precedenti storici, la gente della regione di Kherson non ha voluto fuggire: in attesa di essere liberata, continuava a coltivare la propria terra, sperando che i russi non avrebbero osato toccare la diga, visto che non era un obiettivo legittimo e la sua distruzione era vietata dalla Convenzione di Ginevra.
Invece hanno osato.
Le conseguenze della prima mattina sono apocalittiche, e paradossalmente, sono toccate per prima cosa ai militari russi. Ignari di tutto, sono rimasti bloccati nelle loro postazioni delle isolette fluviali, letteralmente aggrappati in cima agli alberi in attesa dei soccorsi. I loro commilitoni non se ne sono curati: erano occupati a sparare sui poliziotti ucraini che organizzavano l’evacuazione dei civili da Kherson. Le mine antiuomo di cui i russi hanno disseminato le rive, lavate via dalla corrente, esplodono a casaccio in mezzo all’acqua. Le loro linee di difesa, con dei tetraedri di cemento chiamati “dente di drago” sono state sommerse dal fango. Dai depositi di carburante russi 150 tonnellate di olio motore si sono riversate nel fiume.
Il loro destino gramo è nulla in confronto alla sofferenza della popolazione civile che hanno causato. Una popolazione che si stima fra 18 e 22 mila persone si è trovata in un batter d’occhio senza casa, senza campi, senza orti e senza viveri, sia sui territori occupati dai russi che su quelli liberati. Dovranno essere sfollati, ovviamente, tranne quelli che sono già annegati.
Atroce destino, danni ingenti alle vite umane e al patrimonio materiale che nessuno potrà mai restituire.
Ma il crimine di cui nessuno può farsi portavoce, di cui i russi si sono già macchiati sistematicamente, come denunciano gli ecologi, è l’ecocidio.
La terrà non può invocare giustizia per tutti gli ecosistemi danneggiati da questo gesto forsennato. I primi giorni di giugno è il periodo di massima vulnerabilità, quando il risveglio primaverile da i suoi frutti. Gli uccelli sono in fase di nidificazione, i pesci hanno appena deposto le uova, i cuccioli sono nati da poco nei boschi e nelle fattorie. Centinaia di animali domestici e da allevamento sono rimasti legati e annegati. Gli animali selvatici come castori o cervi sono costretti a avvicinarsi alle abitazioni degli umani perché il loro habitat non c’è più.
Uno dei casi più drammatici è quello dello zoo “Il querceto delle fiabe”, dove i circa 300 animali sono annegati nelle gabbie durante la notte, anche perché l’accesso era ostruito dalla mine e trincee. Gli unici a salvarsi sono stati alcuni uccelli, che sono riusciti a volar via.
Tutto questo è causato dalla furia impotente dell’esercito russo, che teme talmente la paventata offensiva ucraina, che preferisce allagare la zona che separa l’Ucraina dalla Crimea, piuttosto che vedere l’esercito dei difensori riprendere controllo della propria terra. È la stessa logica dei feminicidi che pensano “se non sei mia, non sarai di nessuno, ti distruggerò”. La strategia di fare terra bruciata che hanno imparato dai nazifascisti, non darà ai russi alcun vantaggio: in sostanza, hanno danneggiato le zone sotto il loro temporaneo controllo.
Quale scenario ci aspetta dopo la prima giornata apocalittica?
La massa dell’acqua andrà avanti a propagarsi su tutto il ramificato sistema dei fiumi, causando danni dappertutto, e arrivando fino a Mykolaiv. Sotto minaccia di imminente allagamento sono circa 80 centri abitati. Molti villaggi verranno lavati via, insieme alle infrastrutture.
La Crimea intanto resterà senz’acqua da subito e andrà incontro ai mesi più caldi dell’anno, senza il 70% dell’acqua potabile, visto che partiva da quel bacino idrico. Ci saranno problemi con l’acqua potabile anche nelle quattro regioni del Sud, che prendevano l’acqua dal bacino di Kakhovka.
Sempre dalla stessa fonte arrivava anche l’acqua per il raffreddamento della centrale atomica di Zaporizhzia.
Nei prossimi giorni circa 10 mila ettari di terreni agricoli saranno sommersi dall’acqua sulla riva destra, e zone ancora più estesa sulla riva sinistra, mentre i terreni che prima erano sotto l’acqua a monte della diga subiranno una rapida desertificazione.
Tutta la biosfera che c’era dentro il lago artificiale è scomparsa, e i danni al settore ittico saranno ingenti. Le acque torneranno al livello normale in una settimana, causando la moria dei pesci trascinati dal flusso, che resteranno sulla terra ferma.
La diga difficilmente potrà essere ricostruita, e tutto l’equilibrio economico ed agricolo nella zona verrà sconvolto. Molte fabbriche dipendevano dalle risorse idriche del bacino nel loro ciclo produttivo, tanto quanto l’agricoltura, che prendeva l’acqua per l’annaffiamento grazie a 31 canali che irrigavano circa 585 ettari coltivati. La rovina della diga ha privato d’acqua 94% dei sistemi di irrigazione della regione di Kherson, 74% della regione di Zaporizhzhia e 30% della regione di Dnipro.
La regione di Kherson, una zona agricola fertile, celebre per le sue angurie, avrà il raccolto rovinato in partenza. Su queste terre crescevano il grano e i girasoli per circa 4 milioni di tonnellate annue di produzione, anche da esportazione. Non cresceranno più. Se manca l’irrigazione, l’anno prossimo ci sarà un deserto arido.
La reazione della società civile ucraina è stata immediata. Barche e gommoni di salvataggio, alloggi ai bisognosi, primi treni di sfollati sono partiti oggi all’alba. La Croce Rossa e l’Unicef si sono subito messe all’opera. Nella zona occupata dai russi, invece, i soccorsi sono bloccati e si cerca di minimizzare l’accaduto.
Un po’ tiepida è stata la reazione dell’Onu, impegnata a celebrare la Giornata della lingua russa, e delle organizzazioni ambientaliste internazionali, di fronte a quella che il presidente ucraino Volodymyr Zelenskiy ha definito “il disastro ambientale causato dall’uomo più devastante in questi ultimi decenni”.
C’è da sperare che il mondo, finalmente, si renda conto anche dell’aggressione sull’ecosistema da parte del governo russo. E che gli invasori siano fermati prima che passino ad effettuare la prossima catastrofe tecnogena, annunciata da loro da mesi: quella della centrale atomica di Zaporizhzhia.
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