Chi non intervisterebbe Oscar Wilde, Nerone, Tutankhamon? Credo che sarebbe il sogno di qualsiasi reporter.

Ci pensò l’alta fantasia di autori geniali quanto audaci, quali Alberto Arbasino e Giorgio Manganelli, e di queste “interviste impossibili”, abbiamo anche testimonianza acustica, grazie agli archivi Rai, grazie alla giocosa interpretazione di attori quali Mario Massiroli e dell’altrettanto audace e geniale Carmelo Bene.

In tempi recenti anche autori quali Walter Siti e Andrea Camilleri hanno proposto nuove interviste, dando voce a Ercole e a Robinson Crusoe.

Gli scrittori si divertono in questo. Ma è anche logico. Se hai davanti a te Elena di Troia, o Cleopatra, o Achille, vuoi non approfittare? Vuoi non guadagnarti lo scoop del secolo?

E invece Dante fa quanto non ti aspetteresti. E se fosse stato un giornalista, sicuramente sarebbe stato cacciato da qualsiasi testata giornalistica.

Nel canto quinto dell’Inferno, davanti alle anime turbinanti dei lussuriosi, tra Didone, Tristano, Paride e i già menzionati Elena, Cleopatra e Achille, Dante decide di non rivolgere nemmeno la parola, di non fare alcuna domanda, ma di rivolgersi a due:

che ‘nsieme vanno,

e paion sì al vento esser leggieri.

E chi sono questi due? Due personaggi a lui contemporanei tra Rimini e Ravenna. Due cognati ammazzati, perché colti in flagranza d’adulterio. E quando mai nel Medioevo ammazzare una donna adulterina poteva essere notizia da prima pagina (ai tempi di Dante l’uxoricidio era ancora da venire)?

E non solo. Il giornalista Dante, sebbene all’interno di un ambiente patriarcale e misogino, decide di intervistare la donna e di sentirne le sue ragioni, lasciando perdere il punto di vista del maschio.

E Francesca, che sarebbe una donna anonima come tante altre donne medievali, vittima di una logica assurda e violenta, diventa un personaggio universale.

La sua voce diventa una tra le voci più importanti e ascoltate del poema.

Al punto tale che dopo Dante, tutti diventarono matti per capire chi fosse questa Francesca e farne della sua storia leggenda (Boccaccio in testa).

E lo stesso avviene per la Pia. Canto quinto, questa volta del Purgatorio:

“Deh, quando tu sarai tornato al mondo

e riposato de la lunga via”,

seguitò ‘l terzo spirito al secondo,

“ricorditi di me, che son la Pia;

Siena mi fé, disfecemi Maremma:

salsi colui che ’nnanellata pria

disposando m’avea con la sua gemma”

Due terzine e abbiamo una vita intera. A parlare è una voce delicata. Quasi una carezza impalpabile. Si presenta come “la Pia”. Come se i suoi lettori fossero subito in grado di cogliere il riferimento. Ma così facile da cogliere non è. L’identificazione non è certa perché ci mancano i documenti. Chi sia questa Pia così chiaro non è. Eppure, il personaggio, anzi, la sola voce di questo personaggio vive, muore e rivive davanti a noi. Sembra una di quelle epigrafi di Spoon River.

E da questo poco niente si avrà una fortuna incredibile, tra novelle, poemi, tragedie, quattro film cinematografici e musica, passando da Donizetti fino a Gianna Nannini.

Il potere intervistato da Dante Alighieri durante tutta la Commedia, dettaglio dell’illustrazione di copertina.

Dante è fatto così.

Tra tutti gli imperatori romani che avrebbe potuto intervistare, pensiamo ad Augusto, ma anche Cesare, dedica più di un canto a Giustiniano, che non è certo nella top ten tra gli imperatori più papabili.

E a proposito di Papi, anche Dante fa la sua intervista al Papa, come farà Fabio Fazio con Francesco, ma l’intervista in Inferno XIX si concluderà con Dante intervistatore che sbrocca di brutto e fa una tirata contro la Chiesa “puttaneggiata” e i Papi papponi, più interessati al patrimonio, che al matrimonio con Dio.

Insomma, pare quasi che più il personaggio sia noto e popolare e più Dante lo snobbi. E questi personaggi, ignorati dai più, grazie a Dante raggiungono imperitura memoria: Filippo Argenti, Vanni Fucci, Ciacco…

A volte Dante dice di aver visto qualcuno, ma mantiene l’anonimato (pensiamo solo che sono settecento anni che la critica si chiede chi diavolo sia colui che fece “per viltade il gran rifiuto”); di altri fa delazione spietata (il povero Alessio Interminei avrebbe voluto non essere nominato, ma Dante riempie un intero endecasillabo, per dare più visibilità possibile); del maestro Brunetto Latini dice che è sodomita, in un caso clamoroso di outing post mortem.

Vede, ascolta, fiuta la storia che può diventare degna di interesse, proprio laddove nessuno sarebbe mai andato a cercarla.

Ulisse lo intervista però. L’occasione è troppo ghiotta. Ma anche qui quello che viene fuori è insolito. Omero ci aveva raccontato una cosa e l’Ulisse incontrato da Dante dice che i fatti sono andati in un altro modo.

Dante è un vero e proprio reporter dell’aldilà. Non che a quel tempo fosse una novità. Esiste una grande tradizione dedicata ai diversi resoconti di viaggi nell’Oltretomba: il libro sesto dell’Eneide, la Visio Pauli, il Libro della scala di ambito islamico, il De Ierusalem celesti o il De Babylonia infernali di Giacomino da Verona, le visioni di Alberico da Montecassino o di Tnugdalo.

Non c’è nulla di originale, eppure quello che Dante fa è qualcosa di nuovo, potente, capace di condizionare tutta la nostra cultura occidentale.

Gli occhi da cui Dante non toglie mai lo sguardo, particolare dell’illustrazione di R. Filippini.

C’è qualcosa di nuovo nel suo sguardo, nella sua visione etica, nella sua capacità di creare immagini potenti.

E soprattutto: Dante sa scrivere e scrive da Dio. Da Dio direttamente ispirato, intendo, o da Amore.

Grandiosa diventa quindi questa sua capacità di trovare la notizia dove non sembrerebbe esserci. Di scovare quel dettaglio e dargli valore. Può essere l’amico Forese, può essere la storia meschina di Romeo da Villanova, può essere la stessa vicenda autobiografica dell’esilio, tutto assume un respiro più ampio, tutto sembra parlare a noi di noi.

E continuando questo gioco, se Dante fosse un giornalista certo sarebbe un freelance, perché nessuno si prenderebbe la briga di supportare un intellettuale che a piena voce accusa cardinali, i principi d’Europa (augurando loro pure la sifilide), che sostiene che tutti i fiorentini sono ladri, che i lucchesi prendono tangenti, che i pisani sono gente che meriterebbe la morte (ma su questo, si sa, i toscani sono ben coloriti).

Dante fa nomi e cognomi, dei potenti e fa nomi e cognomi, soprattutto, delle vittime.

Ma soprattutto è un intero sistema economico che Dante prende di mira e attacca con ferocia e furore profetico.

La Lupa al centro del reportage che fa Dante nella sua Commedia. Illustrazione di Roberto Filippini.

La Commedia vuole darci strumenti per aprire gli occhi e vedere come la dittatura capitalistica del regno della Lupa sia capace di avvelenare e pervertire ogni relazione umana.

E finché noi saremo prede della Lupa, non potremo mai essere felici.

Questo Dante denuncia praticamente dall’inizio alla fine di tutti i suoi cento canti.

Questa la vera notizia. Questo lo scoop.

E la notizia è scomodissima, al punto tale che solo un altro scrittore e intellettuale folle e grandioso come Pier Paolo Pasolini riuscirà a mantenere vivo lo sdegno e il grido contro la “società dei consumi” con lo stesso furore.

Chissà, forse Dante oggi sarebbe piaciuto all’Internazionale. Forse lo avrebbero chiamato a collaborare con Report.

Sto giocando e al tempo stesso sto mostrando che tanto nell’intuito, nella misericordia, nella critica sociale e politica, Dante avrebbe molto ancora da insegnare a tantissimi giornalisti d’Italia e del mondo.

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