Come si può andare in pensione nel 2023? Facciamo chiarezza sui requisiti di età e contributivi richiesti dalla normativa e, soprattutto, sulle varie possibilità che il lavoratore ha a disposizione.

La pensione di vecchiaia

Quando parliamo di pensione facciamo solitamente riferimento alla cosiddetta pensione di vecchiaia: si tratta del trattamento pensionistico che viene erogato dallo Stato a chi raggiunge un’età anagrafica fissata per legge e un livello minimo di contribuzione, ossia di anni in cui si è lavorato versando i contributi.
Attualmente l’età pensionabile è fissata a 67 anni e vale per tutte le categorie di lavoratori, vale a dire uomini e donne, dipendenti e autonomi, in presenza di una contribuzione non inferiore a vent’anni.
A questo doppio requisito la legge prevede alcune eccezioni. Ad esempio, a determinate condizioni, i lavoratori che svolgono le cosiddette “mansioni gravose” individuate dalla legge possono accedere alla pensione di vecchiaia a 66 anni e 7 mesi.

La speranza di vita

Come abbiamo già avuto modo di approfondire, affinché il sistema previdenziale possa reggere alle trasformazioni demografiche in atto e al progressivo invecchiamento della popolazione, sono previsti alcuni elementi di stabilizzazione.
Uno di questi è l’adeguamento periodico dell’età pensionabile, in funzione della speranza di vita: se quest’ultima aumenta, viene innalzata anche la soglia anagrafica da raggiungere per poter accedere alla pensione di vecchiaia.

A partire dal 2109 l’adeguamento avviene con frequenza biennale (in precedenza era invece triennale). Tuttavia, sulla base delle rilevazioni Istat sulla speranza di vita media, il Ministero dell’Economia e delle Finanze sta mantenendo il requisito stabile a 67 anni, escludendo incrementi fino alla fine del 2024.

Chi ha i requisiti è obbligato ad andare in pensione?

Il raggiungimento dei requisiti necessari a ottenere la pensione di vecchiaia non implica di per sé che il lavoratore sia obbligato ad andare in pensione immediatamente.

Nel settore privato, infatti, la normativa concede la possibilità di proseguire la propria carriera fino al raggiungimento di un’età anagrafica – in linea di massima pari ai 71 anni – in corrispondenza della quale scatta invece il pensionamento forzato. Il datore di lavoro, se non è d’accordo, al raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia può comunque imporre al dipendente il licenziamento per sopraggiunti limiti di età.

Diverse invece le regole nel settore pubblico, dove si tende generalmente a favorire il pensionamento: in questo caso, al raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia scatta quindi pressoché in automatico la cessazione del servizio. Anzi, spesso per le pubbliche amministrazioni il cosiddetto pensionamento d’ufficio scatta ancor prima.

Addio in anticipo: c’era una volta la pensione di anzianità

In passato il sistema prevedeva la possibilità, per il lavoratore che avesse raggiunto una determinata anzianità contributiva (35 anni di contributi e 62 anni di età, o in alternativa 40 anni di contributi), di andare in pensione prima della soglia anagrafica prevista dalla pensione di vecchiaia.
Si trattava della cosiddetta pensione di anzianità, che la riforma Fornero ha mandato in soffitta sostituendola con la pensione anticipata.

I requisiti per la pensione anticipata nel 2023

Il meccanismo della pensione anticipata è di fatto: si può andare in pensione prima dei 67 anni a condizione di aver maturato un determinato requisito contributivo.
In particolare, nel 2023 la pensione anticipata spetta, a prescindere dall’età anagrafica, ai lavoratori con almeno 42 anni e 10 mesi di anzianità contributiva e alle lavoratrici con almeno 41 anni e 10 mesi di contributi.
Come per l’età anagrafica della pensione di vecchiaia, il requisito contributivo necessario per la pensiona anticipata deve essere periodicamente adeguato all’aspettativa di vita. A seguito della Legge di Bilancio per il 2019, gli adeguamenti sono stati però sospesi fino al 31 dicembre 2026.

Anche nel caso della pensione anticipata sono previste delle “agevolazioni” per categorie particolari di lavoratori. È il caso, ad esempio, dei lavoratori precoci, del lavoro usurante e del lavoro notturno.

In aggiunta alla pensione anticipata in senso stretto, negli ultimi anni il legislatore è più volte intervenuto per rendere più flessibile l’uscita dal mondo del lavoro. E lo ha fatto con l’inserimento di nuovi istituti (quasi sempre non strutturali, ossia previsti per un periodo e magari oggetto di successive proroghe) come APE sociale, Opzione Donna e Quota 103.

APE sociale

Il cosiddetto anticipo pensionistico, più noto come APE sociale, è una sorta di accompagnamento alla pensione che l’Inps, su domanda, eroga a lavoratori individuati dalla legge come in condizioni di particolare difficoltà (disoccupati, caregiver, invalidi civili e addetti a mansioni gravose) per una durata pari al periodo intercorrente tra la data di accesso al beneficio e il conseguimento dell’età richiesta per la pensione di vecchiaia.
Si tratta di un progetto sperimentale, la cui durata era stata inizialmente fissata fino al 31 dicembre 2018, che è stato rinnovato anno dopo anno. Fino all’ultima manovra finanziaria, che lo ha esteso a tutto il 2023.

La legge richiede almeno 63 anni di età e 30 anni di contribuzione (32 o 36 anni per chi svolge attività gravose). Le lavoratrici madri hanno diritto a un ulteriore “sconto” di un anno per ogni figlio, entro un massimo di due anni, sull’anzianità contributiva richiesta.
Il sussidio viene stabilito entro un tetto di 1.500 euro lordi, erogato per dodici mensilità e non rivalutabile in base dall’inflazione.

L’accesso all’APE è subordinato alla cessazione di attività di lavoro alla richiesta del beneficio e non è compatibile con i trattamenti di sostegno al reddito. Una volta ottenuta la pensione è comunque possibile lavorare entro precise soglie di reddito, pena la decadenza dal beneficio.
Il diritto all’APE decade anche se il beneficiario raggiunge nel frattempo i requisiti per il pensionamento anticipato.

Contratto di espansione

Si tratta di uno strumento utilizzabile in due modi distinti: per la programmazione di riduzioni di orario o di sospensione del personale, a fronte del riconoscimento di un trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria per un periodo massimo di diciotto mesi (anche non continuativi); oppure per la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro fino a un massimo di cinque anni al raggiungimento dei requisiti pensionistici.

Nel secondo caso, la legge riconosce al lavoratore che volontariamente aderisce al prepensionamento un’indennità mensile di accompagnamento alla quiescenza, versata dall’impresa per il tramite dell’Inps.

Il contratto di espansione interessa le sole aziende con più di cinquanta dipendenti (inizialmente era accessibile solo alle aziende con almeno 500 lavoratori), che per accedervi devono siglare un accordo con le rappresentanze sindacali davanti al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. La Legge di Bilancio per il 2022 ha esteso la validità di questo istituto anche al biennio 2022-2023.

Isopensione

L’isopensione consente di condurre alla pensione alcune categorie di lavoratori del settore privato, dipendenti di imprese con almeno quindici lavoratori, in caso di eccedenza del personale o comunque nei casi in cui si renda necessario agevolare il turnover.
Il meccanismo – subordinato alla stipula di uno specifico accordo tra l’impresa e le organizzazioni sindacali, successivamente validato dall’Inps – consente un anticipo fino a un massimo di sette anni rispetto alla normativa vigente.

Questo particolare scivolo pensionistico viene pagato completamente dall’azienda che quindi si impegna a corrispondere, per l’intero periodo che intercorre tra l’esodo e la maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia, un assegno di importo corrispondente a quello del trattamento di pensione maturato in base alle regole vigenti.

Attenzione, però: dall’assegno che spetta al lavoratore è esclusa la contribuzione che il datore di lavoro – per non danneggiare la futura pensione di chi aderisce all’accordo – versa per coprire il periodo di “esodo”. Questi contributi sono considerati solo ai fini del trattamento pensionistico vero e proprio, con la conseguenza che l’isopensione sarà sempre di importo leggermente inferiore a quello che sarà invece percepito al raggiungimento della pensione al termine dello scivolo.

Nel 2023, per accedere all’isopensione (sempre e solo su base volontaria) sono richiesti 42 anni e 10 mesi di contribuzione per gli uomini e 41 e 10 mesi per le donne nel caso della pensione anticipata, e 67 anni d’età e 20 di contributi nel caso della pensione di vecchiaia.
L’istituto dell’isopensione, introdotto dalla riforma Fornero, è stato prorogato fino al 2026 dal Decreto Milleproroghe.

Opzione Donna

Un istituto rivolto alla sola platea femminile, prorogato e profondamente modificato dalla Legge di Bilancio per il 2023, è Opzione Donna.
Con questo strumento possono accedere al pensionamento anticipato le lavoratrici che abbiano maturato determinati requisiti anagrafici e contributivi più vantaggiosi di quelli previsti per la pensione anticipata o di vecchiaia, a condizione di accettare un assegno pensionistico interamente calcolato con il metodo contributivo (a prescindere dal sistema di calcolo cui si avrebbe ipoteticamente diritto sulla base della propria storia contributivo, cioè il sistema misto o il retributivo).

Il risultato, quindi, è che nella maggior parte dei casi si tratta di uno strumento conveniente perché anticipa il pensionamento ma sconveniente dal punto di vista prettamente economico, perché garantirà alla lavoratrice una pensione di importo verosimilmente più basso (circa del 30 per cento) di quello determinato con il sistema di calcolo cui avrebbe avuto diritto sulla base della propria storia contributiva.

La Legge di Bilancio per il 2023 ha stretto molto i paletti. Anzitutto, possono accedere a Opzione Donna le lavoratrici che abbiano maturato 60 anni di età (contro i 58-59 degli anni passati) e 35 anni di contribuzione entro e non oltre il 31 dicembre 2022. In secondo luogo, la misura non è destinata a tutte le donne, ma solo a quelle che rientrano in tre specifici profili di tutela: caregiver, lavoratrici con invalidità non inferiore al 74 per cento, oppure licenziate o dipendenti da aziende in crisi.

Nei primi due casi, per le madri è inoltre previsto uno sconto sul requisito anagrafico per ogni figlio, fino a un massimo di due anni (il che vuol dire che la soglia anagrafica non può comunque scendere al di sotto dei 58 anni).

L’invenzione delle “quote”

Un discorso a parte meritano le cosiddette “quote”, un vero e proprio tormentone del sistema pensionistico italiano nato nel 2007 durante il governo Prodi e arrivato fino ai nostri giorni.
Per “quota” si intende la somma dell’età di un lavoratore e degli anni in cui lo stesso ha lavorato. Per fare un esempio, quindi, un uomo di sessant’anni che ha lavorato per trent’anni, avrà una quota di 90.

Il governo dell’epoca stabilì che per ricevere la pensione di vecchiaia bisognasse avere una somma tra età e contributi di almeno 95 anni. Le quote sono state riviste negli anni: nel 2011 la quota minima per ricevere la pensione si alzò a 96 (con almeno 60 anni di età), dal 2013 è salita a 97 (con almeno 61 anni di età) e nel 2022 a 99 anni (con un’età minima di 63 anni e 7 mesi e 35 anni di contributi versati).

La “Quota 100” di Salvini

Nel 2019, dopo aver promesso durante la campagna elettorale del 2018 di superare la riforma Fornero, la Lega di Matteo Salvini, al governo con il Movimento 5 Stelle, introdusse Quota 100, che consentiva il pensionamento anticipato ai lavoratori con 62 anni di età e dei 38 di contribuzione, che avessero maturato il doppio requisito entro il 31 dicembre 2021.
Solo pochi mesi dopo la sua introduzione, ben 341mila italiani chiesero di andare in pensione.

Con l’uscita della Lega dalla maggioranza, però, il Governo Conte II non rinnovò la riforma, che quindi scadde al termine del triennio 2019-2021. Per non ritrovarsi dal 1° gennaio 2022 con un buco legislativo che avrebbe fatto tornare in vigore la Legge Fornero (che, ricordiamolo, prevede di ottenere la pensione a 67 anni), il governo presieduto da Mario Draghi introdusse, per un solo anno, Quota 102 (64 anni di età e 38 di anzianità contributiva).

Quota 103

L’ultima arrivata è Quota 103, che richiede per la pensione anticipata almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi.

Salvo ulteriori modifiche legislative, per accedere a Quota 103 occorre maturare i requisiti al 31 dicembre 2023: in presenza dei requisiti richiesti, comunque, il diritto di accesso alle prestazioni si cristallizza ed è quindi possibile fare domanda per la pensione anche dopo questa data.

Contrariamente a quanto accade ad esempio con Opzione Donna, per Quota 103 la legge non prevede alcuna decurtazione o penalizzazione diretta, anche se quasi inevitabilmente la pensione sarà più “magra” rispetto all’importo di una pensione anticipata “tradizionale”. Questo avviene per via delle modalità di calcolo proprie del metodo contributivo, in particolar modo per l’effetto del minor numero di anni di contribuzione e dell’applicazione di un coefficiente di trasformazione più basso.

La grande novità di Quota 103 è l’introduzione di un tetto massimo mensile erogabile, pari a cinque volte il trattamento minimo Inps. Per il 2023 si tratta di circa 2.840 euro lordi. Il tetto, pensato come deterrente per chi va verso una pensione medio-alta, ha comunque durata temporanea perché riguarda esclusivamente le mensilità ottenute in regime di anticipo: una volta raggiunta l’età per il pensionamento di vecchiaia, il pensionato tornerà cioè a ricevere la pensione “piena”.

Altra particolarità, già presente in Quota 100 e Quota 102, è il divieto di cumulo tra reddito da lavoro e pensione: chi opta per Quota 103, fino al raggiungimento dell’età richiesta per la pensione di vecchiaia deve smettere di lavorare, fatto saldo il cumulo con redditi di lavoro autonomo occasionale entro un limite massimo di cinquemila euro lordi annui.

Attenzione alle finestre mobili

Tra gli aspetti negativi delle opzioni di uscita anticipata dal mondo del lavoro c’è senz’altro il meccanismo delle finestre mobili. A differenza di quanto accade per la pensione di vecchiaia, infatti, l’effettiva ricezione della pensione anticipata non decorre dal mese successivo al perfezionamento dei requisiti, ma solo dopo un determinato periodo di tempo fissato per legge.

Ad esempio, per la pensione anticipata è prevista una “finestra” trimestrale: un buco di tre mesi tra l’accoglimento della richiesta di pensionamento e l’effettiva erogazione del primo assegno.

Nel frattempo, è comunque concesso al pensionando di continuare a lavorare e versare contributi utili all’importo della pensione fino all’esaurimento della finestra.

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