Chiunque inizi un percorso psicoanalitico o di psicologia analitica prima o poi si troverà a che fare con i propri sogni e, nella maggior parte dei casi, si troverà a trascriverli su un quaderno entrando così in rapporto con quei 3/4 o 9/10 (si scelga pure la proporzione che meglio manifesti “la maggior parte”) di cui siamo composti: l’inconscio.

Successivamente si troverà a raccontarli al proprio analista e, insieme, ne affronteranno i contenuti in quel campo psicologico che è la relazione terapeutica, caratterizzata da una dimensione dialettica per lo più inconscia e mai dicotomica.

Accadde così anche al grande regista Federico Fellini che nel 1960 iniziò un’analisi con lo psicoanalista junghiano Ernst Bernhard. Il loro rapporto terapeutico durò circa cinque anni fino a quando Bernhard morì improvvisamente.

Fellini e Bernhard si incontrarono nella più classica delle sincronicità junghane e nella più straordinaria modalità felliniana. Dopo il completamento de La dolce vita, Fellini cadde in un periodo di profonda crisi e così l’amico regista Vittorio De Seta gli suggerì di rivolgersi proprio allo psicoterapeuta junghiano presso cui egli stesso era già in cura.

Vedendolo titubante gli infilò nella tasca della giacca un bigliettino con il numero di telefono del terapeuta. Qualche tempo dopo Fefè, credendo che quel numero fosse di una bella donna incontrata qualche tempo prima, decise di comporlo: con sorpresa ebbe la risposta di una voce maschile, con accento tedesco. Era Ernst Bernhard che lo invitava nel suo studio, interpretando l’imprevedibile e il curioso evento come “un’interessante coincidenza”.

Ernst Bernhard è una figura quasi leggendaria nella storia della psicoanalisi e della cultura italiana. Furono suoi pazienti Adriano Olivetti, Natalia Ginzburg, Roberto Bazlen, Cristiana Campo e Giorgio Manganelli.

Scrive Fellini: “L’ora in cui lo andavo a trovare più volentieri era quella del tramonto, quindi c’era un sole che a un certo momento rendeva tutto dorato il pulviscolo della stanza. C’erano grandi finestre e l’occhio si perdeva su un panorama sterminato di Roma, mentre giungevano i rintocchi di tutti i campanili. Sembrava di essere in una mongolfiera sospesa nell’aria”.

I sogni sono fenomeni naturali, fisiologici, sono una produzione spontanea dalla quale possiamo trarre informazioni importanti in via secondaria sulla nostra dimensione più profonda. Le immagini simboliche di cui sono fatti, ci toccano, ci colpiscono, ci costringono a mettere in discussione il già noto.

Contengono tracce del nostro tempo interno, bizzarro, a volte pauroso, altre volte piacevole; sicuramente favorevole perchè spinge verso la conoscenza di sè. Attraverso i sogni e la loro tonalità affettiva, possiamo dialogare con noi stessi e, nel tempo di Aion – il tempo interno – rintracciamo le nostre parti sgradevoli, quelle che non ci piacciono ma anche quelle più belle, quelle che meno conosciamo e che sono vicine alla nostra dimensione più autentica. I sogni “sono la via maestra verso l’inconscio” (S. Freud).

E così anche Fellini si ritrovò a trascrivere su un quaderno i propri sogni entrando in dialogo profondo con se stesso. Continuò a farlo fino al 1990, ben oltre la fine del rapporto terapeutico. Nel 2007 Rizzoli pubblicò il Libro dei sogni, su cui Fellini scrisse e disegnò la sua vita onirica raccontando se stesso, l’uomo e la vita com’è, nella sua assurdità e nella sua inaffidabilità. E’ in dubbio che l’incontro con la psicologia del profondo fu significativa per la vita e l’espressività cinematografica di Fellini che si ritrovò così a dialogare con il proprio Inconscio creatore riuscendo e portare avanti quello che già gli veniva istintivo: mettere in scena i propri sogni.

Guido, an duvémm durmì stanòta. L’è la nota che e’ ritrat è móv i ócc’ […], t’arcórd cla parola: asa nisi masa, asa nisi masa, asa nisi masa!

8 e1\2

 Asa-Nisi-Masa è una delle sequenze più famose del cinema felliniano; forse non vuol dire niente o, forse, isolando le prime sillabe di ogni parola, Asa-Nisi-Masa vuol dire A-Ni-Ma, una parte del centro di tutta la teoria junghiana.

Fu un incontro trasformatore che aiutò Fellini non solo a creare un film della portata di 8 e1/2 ma soprattutto a rivisitarne il finale (che venne suggerito proprio da Bernhard): un girotondo di tutti i personaggi dopo il colpo di pistola che sposta il film da una visione più drammatica ad una che protende più verso la vita.

Il 12 maggio alle ore 14.00, presso la sala Farinati della Biblioteca Civica di Verona, in via Cappello, si terrà un seminario a proposito di Fellini e l’ incontro con la psicologia junghiana che lo aiutò a prendere contatto con il proprio Inconscio creatore.

«Jung è un compagno di viaggio […] col suo approccio più archetipico e meno razionalista ci permette di immaginare, di sognare, e ti sembra, addentrandoti nell’oscuro labirinto del tuo essere, di avvertire la sua presenza vigile e protettrice» Federico Fellini.

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