Ulster: il soffitto di cristallo
La recente visita del Presidente americano Joe Biden in Irlanda del Nord è importante sotto molteplici aspetti. Da quelli economici a quelli più strettamente politici e legati ai rapporti con il Regno Unito.
La recente visita del Presidente americano Joe Biden in Irlanda del Nord è importante sotto molteplici aspetti. Da quelli economici a quelli più strettamente politici e legati ai rapporti con il Regno Unito.
Il presidente americano Joe Biden si è fermato qualche giorno in Irlanda del Nord per commemorare il venticinquesimo anniversario dalla pace seguita al cosiddetto “Accordo del Venerdì Santo”. Siglato il 10 aprile 1998, pose fine a trent’anni di ‘Troubles’, un modo molto british per definire e sminuire un lungo periodo costellato di aggressioni, imboscate, violenza su donne e bambini. Anni in cui la divisione tra cattolici e protestanti, tra unionisti e repubblicani portò morte, dolore e distruzione in tutte le famiglie.
Qualcuno sostiene che Biden sia andato in Ulster perché di origini irlandesi ma un rapidissimo fact check mostra che in effetti lo sono la metà dei presidenti USA e non molti hanno pensato di fare il “ritorno a casa” tanto celebrato dai media mondiali. Forse l’unico in visita di rilievo ufficiale è stato John F. Kennedy, nel 1963, e anche allora la parte sentimentale aveva provato a mascherare l’intento reale. In piena guerra fredda, in rientro da Berlino, Kennedy pronunciò un discorso che pose le basi per migliori rapporti commerciali e portò l’Irlanda fuori dalla sua neutralità, allineandola alle “forze della libertà”. Anche Biden sembra avere intenti ben precisi. Vediamo quali.
Siamo ben lontani dai Troubles degli anni Ottanta, ma qualche sporadico attacco avviene ancora, nel generale silenzio dei media. Un’auto della polizia che va a fuoco, una barricata di molotov o cortei di personcine a modo non fanno più la cronaca. A meno che questo avvenga poco prima dell’arrivo di un capo di stato così importante: un’accoglienza in pieno spirito di Venerdì Santo.
Al di là degli episodi violenti che anche muri altissimi non riescono a impedire del tutto, i veri troubles sono di natura politica. Da mesi ormai il Partito Unionista Democratico (DUP) dell’Irlanda del Nord ostacola il principio della “condivisione del potere” previsto dall’Accordo di pace e impedisce di fatto la creazione di un governo.
Lo stallo politico è sicuramente figlio di tensioni interne, da parte di gruppi contrari allo status quo; un recente sondaggio mostra come la maggior parte degli unionisti irlandesi voterebbe contro l’Accordo del Venerdì Santo se solo si potesse ripetere il referendum. Ma non è solo un’opposizione ideologica, ci sono come sempre questioni economiche.
Lo scorso 27 febbraio l’attuale premier inglese Rishi Sunak ha sottoscritto con la presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen il “Windsor Framework”, un protocollo d’intesa teso a risolvere le complicazioni portate da Brexit sui confini tra UK e UE, che proprio in Irlanda del Nord sfiorano il paradosso.
La tensione parte da Brexit che ha reso l’isola di smeraldo terra straniera per gli inglesi e provocato enormi lungaggini burocratiche per il commercio di beni dal Regno Unito verso l’Irlanda intera, resa inseparabile da un confine proprio ai sensi dell’accordo del Venerdì Santo. La scarsità di beni alimentari nei supermercati e la rabbia di produttori e commercianti hanno portato a un’intesa con l’Europa, che viene presentata come tesa a mediare le posizioni.
Lo fa piuttosto male, a dire il vero. Nel senso che Sunak ha accolto praticamente tutte le istanze UE della prima ora, le stesse che contribuirono alle turbolenze politiche a Downing Street, e viene accusato dal DUP di non aver tutelato gli interessi specifici nordirlandesi. In particolare, si teme un futuro in cui la popolazione cattolica, che cresce a un ritmo più elevato, possa richiedere un nuovo referendum e stavolta per salutare la Corona e abbracciare la repubblica una volta per tutte.
Il nuovo protocollo prevede un corridoio agevolato per le merci che abbiano come destinazione finale la sola Irlanda del Nord, mentre viene mantenuto l’insieme di controlli doganali per quelle destinate al resto d’Irlanda. Non basta a placare gli unionisti nemmeno il cosiddetto “Stormont brake”, un meccanismo che permetta di sospendere (e disattendere) le normative europee in caso di approvazione da parte di 60 dei 90 deputati del parlamentino nordirlandese.
La scelta del presidente americano è di quelle che rendono giustizia alle alte scuole diplomatiche del mondo, una soluzione semplice ma efficace, che lancia messaggi in diverse direzioni. Per prima cosa, per il suo discorso à la Kennedy, Biden decide di “snobbare” Stormont, le istituzioni insomma. L’idea è di non prendere posizione sulla divisione politica per concentrarsi invece sulla migliorata coesione sociale.
Dalla struttura in acciaio e vetro che accoglie la Belfast University, Biden ricorda il suo viaggio da Senatore, nel 1991, in quello stesso quartiere «dove ora si possono vedere e toccare i benefici della pace». Il presidente ricorda che «il filo spinato tagliava a spicchi la città e ora c’è una cattedrale della conoscenza tutta di vetro, che fa risplendere la luce dentro e fuori. Ha un impatto profondo per chi torna qui, è un testamento della potenza e delle possibilità offerte dalla pace».
Belfast è ora una citta piena di vita, di commerci fiorenti e di arte. Nessuno forse ci sperava davvero in un cambiamento così potente e duraturo, mentre gli USA si sforzavano di arrivare al Good Friday Agreement 25 anni fa, e Biden non dà il merito solo ai politici che lavorarono duramente alla pace. Cita gli uomini e le donne che hanno detto basta alle morti, agli orfani e alla violenza, alla «volontà della gente di costruire insieme un futuro più luminoso».
In un incontro successivo, di fronte ai membri dei principali partiti dell’Irlanda del Nord, il presidente americano torna finalmente prevedibile. Parla di soldi e fa dondolare davanti al nasino dei parlamentari una carota da 6 miliardi di dollari, che gli USA sono pronti a impegnare per favorire lo sviluppo dell’economia. Sempre che esista un governo operativo in grado di investirli, altrimenti non se ne fa nulla.
Quando dichiara che «la verità è semplice: opportunità economiche e pace stanno bene insieme» non stupisce nessuno, questa è la lingua parlata da tutti i suoi predecessori d’oltre oceano. Più accattivante, specie per orecchie interessate, è la frase detta agli studenti, sotto la volta di cristallo della nuova Università di Belfast, quella per cui l’Ulster sarebbe stata «unificata dalla pace».
Biden usa la struttura “made whole by peace” (resa di nuovo integra dalla pace NdA) che dà alla pace il ruolo di aggregante e ha fatto venire l’acquolina a chi osa ancora sperare in un’integrazione più larga. La strada appare ancora lunga, una salsiccia alla volta.