Dunque, maestro, la prego di istruirmi sul liceo: quale sfacelo del liceo possiamo attenderci, quale rinascita?
Anch’io – disse il filosofo – attribuisco al liceo, come fai tu, una grandissima importanza: tutti gli altri istituti devono essere valutati alla stregua dei fini culturali cui si mira attraverso il liceo; quando le tendenze di questo subiscono deviazioni, tutti gli altri istituti ne risentono, e mediante la purificazione e il rinnovamento del liceo vengono del pari purificate e rinnovate le altre scuole.

Friedrich Nietzsche, Sull’avvenire delle nostre scuole. Seconda conferen­za
Adelphi, Milano 19823 p.40.

Aveva ventisette anni Friedrich Nietzsche quando si pronunciava su un problema che anche il suo tempo viveva, ma forse non con l’urgenza del nostro. Si tratta del valore e delle forme del sistema di raccordo culturale fra le generazioni e della necessità che l’istruzione crei persone consapevoli del proprio tempo, non solo per libresca consuetudine e diligente assorbimento, ma per esperienza di significati e dialettica riflessione sui fini.

La frase riportata in apertura è emblematica in tal senso. Il liceo assume qui il valore archetipico di “momento topico” ineludibile e discriminante fra un concetto del sapere inteso come momento di costruzione di un sé maturo e consapevole o organizzazione procedimentalmente configurata come addestramento e applicazione.

Orbene, nell’età delle tecnologie pervasive e dirompenti questa distinzione è gradualmente venuta meno. Oggi gli istituti tecnici e professionali esigono da parte di docenti e studenti un atteggiamento molto diverso rispetto al passato. Se in ogni caso gli “istituti” rispetto ai “licei” hanno una configurazione inevitabilmente orientata al fare e a un agire tecnicamente controllato e finalizzato alla realizzazione  di qualcosa (un oggetto, un servizio, un comportamento non spontaneo, ma regolato da precise sequenze di mosse tecniche), oggi rispetto al passato sono comunque scuole nelle quali consapevolezza, capacità di riflessione, attitudine decisionale (quindi capacità critica) costituiscono obiettivi educativi di primaria importanza

Uno dei mantra della formazione contemporanea è che disimparare ciò che si è imparato è tanto importante quanto imparare qualcosa di nuovo. Elasticità mentale, flessibilità nei contesti e duttilità di ragionamento, tutti tratti caratteristici della formazione liceale, oggi sono assolutamente centrali anche nei percorsi scolastici che hanno nella preparazione a medio termine orientata al lavoro quella che oggi si chiama la propria “mission”.

Il liceo del “Made in Italy”

E dunque, come la mettiamo con il “Liceo del Made in Italy”? La questione è di estrema importanza e, come hanno rilevato molti Dirigenti Scolastici, ha il merito di aver riportato l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema della scuola. Proprio a Verona in occasione della manifestazione fieristica di punta si è parlato di scuola. E questo va benissimo. Come è estremamente positivo che si parli di scuola non in termini di schieramento politico e di recriminazioni, ma di osservazione intellettualmente onesta ed eticamente responsabile nei confronti dei giovani.

Va innanzi tutto rilevato che la riforma del 2010, che ha disegnato gli attuali ordinamenti scolastici, è stata varata sotto il Ministro Gelmini durante il Governo Berlusconi IV. È quindi da questa riforma (varata da un governo di destra) che derivano gli attuali Licei (fra indirizzi e opzioni arriviamo a 16 percorsi). Questa nuova organizzazione, recependo buona parte delle premesse epistemologiche e pedagogiche di oltre un trentennio di ricerca e sperimentazione, ha cercato di declinare in diverse aree del sapere i principi della formazione liceale, ovvero: senso critico, visione strategica e capacità espressiva.

Il latino non viene più a costituire l’asse principale, o, meglio, l’architrave sul quale viene a poggiare tutto il sistema, ma è stato sostituito da inglese, da matematica e informatica e da scienze, ovvero i tre settori disciplinari sui quali vertono i test internazionali e nazionali sulla qualità dell’insegnamento e dell’apprendi­mento. Il solo elemento, diciamo così “classico”, rimasto a caratterizzare tutti i licei rispetto alla tradizione liceale precedente tale da marcarne la differenza rispetto agli istituti (tecnici e professionali) è la coppia formata da filosofia e storia dell’arte.

La riforma Gelmini è tutto sommato giovane, essendo giunta solo a metà del suo terzo ciclo, tuttavia ha messo ben presto in evidenza alcune serie “conseguenze collaterali” del nuovo ordinamento. Fra queste spicca la progressiva, ormai patologica, riduzione delle iscrizioni agli istituti tecnici e professionali.

Il premier Giorgia Meloni – Foto da www.governo.it

La seconda è la crisi sempre forte delle materie scientifiche evidenziata dalla scarsa propensione dei diplomati liceali a scegliere corsi universitari di matematica, fisica e chimica, nonostante il liceo scientifico prenda da solo circa il 50% delle iscrizioni ai licei. In altre parole questo sistema non solo sta privando l’industria italiana di tecnici e operatori di alta specializzazione, ma nemmeno spinge i diplomati a frequentare corsi universitari ad alta qualificazione scientifica, cosa che avveniva proporzionalmente di più in passato quando persino il liceo classico era considerato dai docenti universitari di matematica e fisica (parlo per esperienza diretta) il vivaio migliore per i futuri scienziati.

L’universalizzazione dell’istruzione scolastica

Cosa è accaduto dunque e cosa sta accadendo? Purtroppo quello che molti temevano, ovvero che la universalizzazione dell’istruzione scolastica, senza un adeguato supporto orientativo, da un lato ha allontanato le famiglie da una scelta per i lavori considerati socialmente poco prestigiosi, a prescindere dai possibili vantaggi stipendiali, dal­l’altro ha abbassato così tanto i livelli, diciamo così, di “eccellenza” che nonostante gli anni di studio fra primaria e secondaria, la preparazione scientifica dei diplomati è sempre più bassa e il “successo scolastico” non è garanzia di eccellenza.

E dunque: un Liceo del Made in Italy che si aggiunga agli attuali (dei quali da qualche anno è entrato a far parte anche il cosiddetto “liceo sportivo”) percorsi liceali sarà in grado di cambiare radicalmente il quadro che abbiamo delineato? O non è il caso che si punti su ciò che già abbiamo a disposizione, in particolare sulla valorizzazione dei nostri istituti professionali, la cui riforma del 2017 non sembra ancora essere stata a fondo compresa dal sistema scolastico e dagli Enti Locali ai quali è affidato un compito strategico nella valorizzazione di questi percorsi? Cito dal D. Lgs 13 aprile 2017 n. 61, che ha riorganizzato l’ordinamento dei percorsi di istruzione professionale rispetto al precedente Decreto Gelmini 87/2010: Art. 1.4 “Il sistema dell’istruzione professionale ha la finalità di formare la studentessa e lo studente ad arti, mestieri e professioni strategici per l’economia del Paese per un saper fare di qualità comunemente denominato « Made in Italy », nonché di garantire che le competenze acquisite nei percorsi di istruzione professionale consentano una facile transizione nel mondo del lavoro e delle professioni.” (Il grassetto è mio). Non solo, ma l’Art. 3.1 che definisce undici diversi indirizzi di studio prevede alla lettera c) l’indirizzo “Industria e artigianato per il Made in Italy”.

Un nuovo liceo è necessario?

Alla luce di quanto sono venuto dicendo è necessario domandarsi se valga la pena introdurre un nuovo liceo o se non convenga potenziare, sostenere, valorizzare la normativa esistente e dare al sistema produttivo, mediante adeguate forme di collaborazione fra scuola e mondo del lavoro, la possibilità di interagire concretamente e di offrire ai giovani prospettive di formazione e occupazione fortemente e armonicamente integrate.

Si tratta peraltro di capire come intenderà il Ministero dell’Istruzione e del Merito configurare i nuovi percorsi di un liceo del Made in Italy. Pronunciarsi senza una reale conoscenza delle proposte di legge non è possibile. L’importante è che ancora una volta l’urgenza di un problema reale non porti ad agire i responsabili istituzionali e politici secondo una logica “meccanica” – tipica del secondo Ottocento e del primo Novecento – che si nutre dell’illusione che esista ancora nella società liquida un rapporto diretto fra causa ed effetto.

Il quadro socio-culturale della riforma Gelmini che ho delineato sopra mi sembra insegni abbastanza bene che bisogna ragionare in termini strutturali e sistemici. Se poi l’idea del Liceo del Made in Italy si ridurrà ad essere solo un nome nuovo per quel “liceo economico” spesso desiderato dagli stessi dirigenti ministeriali e mai realizzato, beh, allora ricordiamo che abbiamo già l’opzione economico-sociale del Liceo delle Scienze Umane e, cosa non sempre nota anche agli stessi dirigenti ministeriali, la variante giuridico-economica del Liceo Linguistico Europeo, un percorso nato all’inizio degli anni Novanta per le scuole allora legalmente riconosciute, ora paritarie, elaborato da una squadra di ispettori di altissimo profilo cultuale e pedagogico.

Questa proposta si distingue per il livello di complessità e per la coniugazione equilibrata fra discipline linguistiche, umanistiche, giuridiche e scientifiche, ma soprattutto per il respiro internazionale che la caratterizza.

Eccellenza, punto di arrivo

Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem, diceva Guglielmo d’Ockham. Più che la necessità di un nuovo liceo, di un nuovo titolo, di un nuovo quadro orario etc. etc. sarebbe opportuno iniziare a lavorare intensamente sugli assetti epistemologici, sulla necessità di aggiornare i metodi della comunicazione educativa e di offrire ai docenti una formazione che li porti a insegnare le loro discipline con gli occhi orientati al presente.  Si badi bene però che questo non significa cadere nell’infantile e superficiale infatuazione per strumentazioni digitali e mezzi esterni al processo di insegnamento-apprendimento, ma impegnarsi a cercare e ri-configurare nella cultura educativa contemporanea il significato delle discipline nel nostro dinamico e liquido contesto socioculturale, anche quando esigono impegno, sacrifici, fatica e talora implicano frustrazione e delusioni.

L’eccellenza non è un dato di partenza, ma un punto di arrivo. Se il Made in Italy è un’eccellenza italiana, è perché nasce e scaturisce da decenni, spesso da secoli, di una tradizione che non può diventare una bandiera culturale con metodi spicci di accelerazione cognitiva. Il rapporto tra generazioni nasce da un patto etico e non solo da interessi economici che prima o poi possono rivelarsi illusori.

Ma staremo a vedere. Queste riflessioni sono dettate dall’occasione, sono solo l’antipasto, l’aperitivo di altri interventi che assumeranno anche un tono più tecnico. Sempre che il lettore resista e ci regali l’affetto della sua costanza.

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