I temi controversi di genitorialità e maternità sono oggetto, in questo momento, di particolare attenzione da parte dei decisori politici e se ne è occupato anche l’incontro tenutosi alla Biblioteca civica, in Sala Farinati, mercoledì 22 marzo, per presentare il libro collettaneo Culture della maternità e narrazioni generative, curato da Maria Livia Alga e Rosanna Cima (Franco Angeli, 2022), con interventi di alcune autrici in dialogo con Alessandra Cordiano (Università di Verona) e Alessia Toffalini (assistente sociale). L‘evento rientrava nel quadro delle iniziative promosse dagli Assessorati Parità di genere e Pari opportunità per l’8 marzo.

Un progetto durato sei anni

Una giovane mamma in cerca di lavoro, foto di Francisco Osorio, Flickr, CC BY 2.0.

Il libro raccoglie l’esperienza di un progetto Erasmus+, svoltosi a partire dal 2015 fino al 2021, sulle pratiche di accompagnamento di madri e famiglie considerate vulnerabili e a rischio di esclusione sociale.

Il progetto è stato realizzato dal Laboratorio dei Saperi situati del dipartimento di Scienze umane dell’università di Verona e dal Centro culturale Casa di Ramia – Comune di Verona. Altri tre Paesi erano coinvolti, la Francia con Paris Nanterre, per la Spagna Barcellona e la Romania con Iasi.

In ogni Paese il progetto prevedeva una pluralità di operatori, da quelli addetti ai servizi sociali a quelli legati all’università, in interazione fra loro.

I confini della vulnerabilità delle madri

«Il libro nasce come una sorta di restituzione a noi che abbiamo vissuto il progetto, e ai luoghi che ci hanno ospitato» racconta Rosanna Cima, ricercatrice di pedagogia generale e sociale al dipartimento di Scienze umane dell’università di Verona.

«Cuore e tema della ricerca è stato il prendersi cura delle madri e delle donne vulnerabili nel periodo neonatale, che va dalla gravidanza al compimento del sesto anno del bimbo/a – spiega Cima -. L’obiettivo è stato trovare una definizione intorno al concetto di vulnerabilità delle madri, dei bambini e delle famiglie, individuare quali possano essere gli strumenti specifici che accompagnano donne e bambini e famiglie, delineare le competenze professionali per gestire le situazioni di vulnerabilità e di rischio. Ogni realtà della ricerca condivideva le proprie esperienze e offriva momenti formativi».

Oltre i dati per non perdere la relazione

Il testo si presenta diviso in due parti, con scritture e registri diversi dovuti ai diversi apporti di operatrici, accademiche e scrittrici. É corredato da immagini che rimandano a suggestioni in grado di arricchire la lettura, ad opera di due artiste, Chiara Schiavon e Daniela Ortiz.

Il gruppo interdisciplinare che ha condotto la ricerca, composto da professioniste ed esperte del lavoro sociale e di cura, si è interrogato circa lo sguardo sulle disavventure delle madri e dei bambini e anche sulle modalità per raccontare la supposta vulnerabilità.

Una mamma gioca con il figlio, foto di J. Stimp, Flickr, CC BY 2.0

«Questo libro tocca intimamente il mio lavoro e mi ha messa in discussione» afferma l’assistente sociale Alessia Toffanini. «Nella mia pratica di lavoro mi trovo a definire la vulnerabilità con degli indici, come una cosa standardizzata, una dichiarazione, uno stereotipo. Noi assistenti sociali usiamo questi strumenti perché sovente siamo presi dalla fretta di dover definire e risolvere una situazione, invece questo libro ci suggerisce di prenderci lo spazio della relazione con l’altro e vedere la vulnerabilità che ci circonda».

Il ruolo insufficiente del diritto

Alessandra Cordiano, docente di diritto all’Università di Verona, offre una prospettiva critica: «Io non mi occupo di contratti, ma di persone, di minori, di famiglie, di persone migranti, della parte che ha necessità di misurarsi con la realtà tutti i giorni. Questo libro è stato per me molto faticoso perché mette in dubbio la mia fiducia nel diritto e nella sua capacità di attivare percorsi di cambiamento, di tutela, di trasformazione».

E sottolinea: «C’è un grande assente nelle narrazioni di questo libro, che per me è il diritto. Gli operatori del settore si trovano spesso a mediare tra norme e storie delle persone. Come dice Rosanna Cima, le norme vengono spesso utilizzate a sfavore dei viventi e a favore delle disposizioni vigenti e il diritto talvolta appare sordo».

Tra abbandono e stereotipi

Eleona Migliavacca, responsabile del centro di intercultura Casa di Ramia ha raccontato del “Cerchio di parola” a distanza.

Una giovane mamma in Romania, foto Kate Dixon, Flickr, CC BY-NC-ND 2.0.

«Abbiamo intervistato alcune donne rumene che lavorano in Italia e poi, andando in Romania, attraverso gli operatori del luogo, abbiamo raccolto le esperienze dei figli rimasti senza le loro madri. Un’esperienza molto difficile, faticosa, perché c’è una vicinanza al dolore quasi intollerabile e restituendo le storie, una volta arrivati in Romania, gli stessi operatori hanno rivisto l’idea negativa che si erano formati, involontariamente, sulle madri che avevano, seppure per una buona causa, “abbandonato” i loro figli».

«Circola una supposta idea di cosa sia essere madri e genitori» ha quindi sottolineato Alessandra Cordiano «come se ci fosse una competizione culturale sui modelli di maternità che ondeggia tra atteggiamenti colonialistici e tensioni di omologazione e il supposto mito dell’istinto di maternità. Anche i discorsi che rimbalzano in questi giorni ci dicono quanto sia tragica la banalità del discorso mediatico rispetto alla realtà».

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