L’arte in favore dei diritti delle donne
A Treviso. presso il Palazzo dei Trecento, è stata allestita la mostra "Donna vita libertà", in favore dei diritti delle donne, con opere di trentacinque artisti veneti.
A Treviso. presso il Palazzo dei Trecento, è stata allestita la mostra "Donna vita libertà", in favore dei diritti delle donne, con opere di trentacinque artisti veneti.
Trentacinque artisti veneti hanno riposto all’invito della Commissione Pari Opportunità di Treviso, contribuendo all’allestimento di una mostra molto significativa.
Presso il Palazzo dei Trecento, in Piazza dei Signori, dal 5 al 22 marzo, è stato ed è ancora possibile visitare la mostra Donne vita libertà, l’arte a sostegno delle donne iraniane.
La mostra è nata da un’idea della Commissione, in occasione della Giornata internazionale della bambine e delle ragazze, che ricorre l’11 Ottobre. Inizialmente il tutto si è svolto online, attraverso i canali social del Comune di Treviso al cui appello gli artisti avevano risposto con pensieri, frasi o direttamente un’immagine delle loro opere.
Da lì la Commissione ha poi progettato la mostra, in modo che fosse fisicamente possibile ammirare i lavori degli artisti che hanno, ognuno con la propria sensibilità, interpretato il tema dei diritti delle donne, con un’attenzione particolare a quanto sta succedendo in Iran.
L’Associazione Democratica degli Iraniani in Italia ha lasciato un messaggio agli organizzatori della mostra e a tutti coloro che l’hanno visitata. In questo messaggio l’arte viene descritta come un linguaggio universale, essenziale anche per veicolare messaggi di giustizia e solidarietà.
Viene citata da esempio, la canzone di Shervin Hajipour Baray-e, diventata simbolo delle proteste in tutto il mondo grazie alle tantissime condivisioni sui social. Altro esempio sono le opere grafiche di Meysam Azarzad, che con tratti serigrafici rappresentano le giovani donne iraniane durante le proteste.
Spesso i disegni sono accompagnati da testi poetici ripresi dal Libro dei Re, sostituendo il nome maschile dell’eroe originale con la perifrasi “ragazza che lotta”.
Non è semplice, conclude il comunicato, spiegare la portata di questa lotta a chi non la vive direttamente. Forse solo l’arte ha questo potere.
Le opere esposte sono di forte impatto visivo ed emotivo. Uno degli artisti, Toni Buso, ha collaborato all’allestimento e accompagna i visitatori nel percorso. Buso racconta che questa mostra è la prima, di tale elevatura, ad essere stata realizzata su questi temi dopo la pandemia. Il forte messaggio che vuole diffondere ha entusiasmato tutti gli artisti che hanno aderito. Non a caso il giorno dell’inaugurazione erano presenti più di 400 persone, il che ha confermato ancora una volta agli organizzatori il forte desiderio delle persone di partecipare ad eventi di questo tipo.
Se il messaggio è forte e il valore artistico elevato, le persone partecipano con sensibilità.
Buso, che conosce personalmente tutti gli artisti presenti alla mostra, racconta aneddoti e retroscena di alcuni dei loro lavori, che spaziano da opere pittoriche ad installazioni artistiche, statue o lavorazione del legno o multimateriali.
La sua La finestra ovale e i sogni usurpati di Maria e Speranza, è una tela ad olio di un metro e 60 per un metro e 35, a cui ha dedicato ben otto mesi di lavoro.
Nella tela si fondono due storie. La prima è la vicenda di Speranza, una donna trevigiana che ha dedicato la sua vita alla realizzazione di un bosco, poi spazzato via dalla nuova Pedemontana Veneta, l’autostrada che collega le provincie di Treviso e Vicenza.
La seconda storia è tratta dalla canzone di De Andrè, Il sogno di Maria, di cui riporta alcuni versi, mescolati alla grafica dell’opera.
Se tutte le opere portano messaggi a favore dei diritti delle donne, in una forma che stimola emozioni di partecipazione e solidarietà, ce n’è una che denuncia in modo diretto e disturbante le violenze del regime iraniano.
Si tratta dell’opera di Romano Abate, artista nato in Friuli ma trevigiano di elezione. La sua è un’opera interattiva. Inizialmente si vede un manichino vestito con una tuta e delle scarpe gialle, con una lunga corda attorno al collo.
Il visitatore, tramite un messaggio scritto da Abate, è invitato a staccare una cartolina appesa all’installazione tramite una calamita. La cartolina riporta la foto reale di un giovane iraniano appeso ad un’altra gru, un ragazzo giustiziato per aver partecipato alle proteste, che effettivamente quel giorno indossava delle scarpe gialle.
Inoltre l’autore invita a cercare su internet i video relativi alle esecuzioni in Iran e termina infine con un’invettiva: «L’opera che vedete non è mia, è dei pasdaran (la polizia morale iraniana, ndr). E se qualcuno obiettasse che non c’entra nulla con una mostra a favore delle donne, io dico: guai a quelle madri che sopravvivono alla morte dei loro figli.»
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