Sabato 18 marzo, Alien aprirà ufficialmente Extra Sci-Fi festival con la proiezione al Cinema Teatro Nuovo San Michele alle 21. Un’occasione unica per recuperare un grande classico della fantascienza come era stato inteso inizialmente, sul grande schermo.

Secondo la leggenda, quando gli spettatori videro per la prima volta la scena in cui Kane “partorisce” lo xenomorfo di Alien, diverse persone si sentirono male e dovettero lasciare la sala. Tom Skerritt, interprete del capitano della Nostromo, Dallas, racconta che un esercente del Texas gli disse di aver tagliato la scena per evitare che i suoi clienti vomitassero nel bagno del cinema. Si tratta forse, appunto, solo di leggende, o per lo meno di fatti ingigantiti per la solita, vecchia ragione: marketing.

Dallo spavento al terrore

Lo Xenomorfo Alien insieme a Sigourney Weaver. Flickr, CC BY 2.0.

Eppure non possono non far pensare all’analoga ricezione di un altro caposaldo dell’horror/sci-fi, La notte dei morti viventi di George A. Romero. Uscito nel 1968, in un’epoca in cui gli horror più spaventosi ed espliciti non erano così spaventosi ed espliciti, terrorizzò i ragazzini che si erano recati a vederlo.

Racconta il critico Roger Ebert: «I bambini tra il pubblico erano attoniti. C’era un silenzio quasi totale. Il film aveva smesso di essere deliziosamente spaventoso a circa metà, ed era diventato inaspettatamente terrificante».

Ecco, «inaspettatamente terrificante» è una definizione che si può tranquillamente applicare anche ad Alien. Nel 1979 non era mai uscito nulla di simile, esattamente quanto accaduto una decina di anni prima con La notte dei morti viventi.

Entrambi sono quel tipo di film che rompe delle barriere, che mostra cose fino a quel momento considerate non mostrabili su uno schermo.

Il potere orrifico di una silhouette

Il bello di Alien, però, è che, a differenza del gore prolungato e sostenuto del film di Romero, sfoggia una sola esplosione di vera violenza per scioccare il pubblico, e in seguito lavora di fino.

Da quel momento, la presenza terrificante che scivola non vista per i corridoi della vasta astronave da carico Nostromo viene ripresa solo a distanza ravvicinata, con sparuti dettagli in cui si coglie a malapena quello che sta accadendo. In una celebre scena, Ridley Scott sceglie di mostrare l’avanzare dello xenomorfo utilizzando la sua silhouette, la sua “tremenda simmetria”, sufficiente a destare l’orrore.

È una scelta misurata e chirurgica, il concedersi di Ridley Scott alla ritualità del b-movie, in un film che, per il resto, prende la materia del b-movie e la eleva a cinema di serie A (se credete in queste distinzioni), a cinema d’autore raffinato dal sapore europeo, che flirta con la New Hollywood – soprattutto nella sua visione paranoica di un mondo dominato dai famigerati Poteri Forti (la Compagnia), in cui il profitto ha la precedenza sulle persone – ed evoca paure profonde, ancestrali, usando la simbologia a tinte sessuali di H.R. Giger.

Paure recondite secondo James Cameron

È di quest’ultimo il design del celebre alieno, poi ribattezzato Xenomorfo da James Cameron in Aliens – Scontro finale. Una creatura viscida, dalla forma fallica, che nasce da un parto sanguinoso e distorto. Una creatura – qui interpretata dallo studente di design nigeriano Bolaji Badejo, 2 metri e 8 di altezza, scoperto per caso in un pub da uno dei direttori casting – che è quasi indefinibile per come viene ripresa da Scott. Esattamente come le nostre paure più recondite, che si nascondono negli angoli bui ed emergono quando meno ce lo aspettiamo.

Per conoscere il programma della seconda edizione di Extra Sci-Fi Festival il sito è www.extrascififestival.it.

Alien è dunque un film che scava nel profondo della psiche umana, che sceglie deliberatamente di non dare risposte. Scott le avrebbe date, male, oltre trent’anni dopo, in Prometheus e Alien: Covenant.

Alien, al contrario, cala lo spettatore in un universo terrificante senza dargli indicazioni. Quando l’equipaggio della Nostromo incontra lo scheletro fossilizzato dello Space Jockey, non sappiamo chi o cosa fosse quella creatura, perché sia naufragata su quella luna inospitale e se abbia creato essa stessa i mostri che ne hanno decretato la fine. È tutto lasciato in sospeso, come la nebbiolina che avvolge le uova aliene. Spiegare significherebbe rendere quel luogo famigliare, e la famigliarità è la nemica numero uno della paura.

La nuova eroina incarnata da Sigourney Weaver

Ma Alien non è solamente lo Xenomorfo, è anche Ripley, l’eroina working class interpretata da Sigourney Weaver, qui al suo primo ruolo importante. È curioso, rivedendo oggi Alien, notare come Ripley non fosse la protagonista a inizio film.

Addirittura, il Dallas di Tom Skerritt viene accreditato per primo nei titoli di coda. Ripley, al contrario, è qui più assimilabile alla final girl della tradizione horror – anche se, ovviamente, in un film che mostra il parto, l’atto di dare la vita come un incubo angosciante, il fatto che a sconfiggere il mostro sia una donna aggiunge al tutto un ulteriore livello di lettura.

Sigourney Weaver alla fine del film Alien.

Eppure, proprio per la forza della sua interpretazione, Sigourney Weaver si ritaglia uno posto speciale nel film e, per la fine, è la sola protagonista possibile. In linea con personaggi analoghi del cinema dell’epoca – pensiamo soprattutto alla principessa Leila del coevo Star Wars o alla Laurie Strode di Halloween, Ripley è un personaggio nuovo.

Sì, è bella, e sì, come da programma dell’epoca si trova il modo di farla spogliare senza un motivo valido. Ma è anche una donna risoluta e forte, che proietta autorità senza rinunciare alla sua femminilità.

È anche grazie a Ripley e Sigourney Weaver se Alien è diventato il cult che conosciamo e ha generato sequel. Non a caso ci sono voluti quarant’anni (esclusi gli Alien vs. Predator e i prequel) per arrivare, oggi, a un nuovo capitolo della saga senza Ripley. Lo sta girando Fede Alvarez, regista del remake de La casa. Allo stesso tempo, Noah Hawley, creatore di Fargo, sta lavorando a una serie che arriverà su Disney+.

Oltre quarant’anni dopo, il mito lanciato da Ridley Scott, dagli sceneggiatori Dan O’Bannon e Ronald Shusett e dai produttori e co-sceneggiatori Walter Hill e David Giler è ancora vivo e vegeto, pronto a riemergere dai nostri incubi per stringerci in un abbraccio letale. Nello spazio, nessuno potrà mai sentirvi urlare.

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