Dopo la batosta – nel punteggio e nel morale – subita contro la Fiorentina, il Verona doveva ritrovare se stesso in cinque giorni per giocarsi la partita della vita. La vittoria non è arrivata, i gol nemmeno, ma il Verona ha evitato una botta che poteva essere il colpo di grazia, e ora può continuare a scalare la classifica un passo alla volta.

Il dibattito tra il partito del punto d’oro e quello dell’occasione sprecata è sempre stucchevole, lo è ancor di più dopo una partita in cui la posta in palio era così alta e in cui l’Hellas aveva così tanto da perdere.

Una partita che poteva chiudere un capitolo aperto proprio contro lo Spezia al Bentegodi, in una gara che già pareva l’ultima spiaggia e in cui il Verona era già naufrago alla deriva della retrocessione. Una vittoria al ritorno, in casa dello Spezia, a completare una rimonta in classifica incredibile e insperata e a rendere la pariglia a chi ci aveva condannato alla disperazione, sarebbe stata perfetta. E invece i campionati non hanno sceneggiatori.

Fare di necessità virtù

L’Hellas in brandelli visto solo pochi giorni fa si è ripreso, si è rimesso in piedi, ha perso il portiere titolare e si è fidato di un ragazzo di ventotto anni all’esordio in Serie A di fronte al pericoloso attacco dei liguri. È sceso in campo e ha perso subito la sua arma migliore in attacco, Ngonge, e nel corso del match ha perso anche la regia, con l’infortunio di Duda.

Il Verona al Picco combatte con quello che ha disposizione. La difesa fa un buon lavoro, Tameze e Duda a centrocampo sono uno dei pochi punti fissi di questo Verona, Abilgaard porta chili e centimetri e non sfigura: è suo il pallone in profondità che Kallon spreca malamente a tu per tu con Dragowski.

Un attacco “spuntato”

Già, Kallon. E prima di lui Gaich, e Lasagna al Bentegodi. Il problema del Verona è tutto lì. Gli attaccanti non segnano nemmeno con le mani. Sono tutti a disposizione della squadra, tutti si sacrificano e tutti fanno i movimenti richiesti dagli allenatori. L’impegno non manca e non manca la disponibilità. A calcio però si vince con i gol.

La vera sfida di fronte a Zaffaroni e Bocchetti, in questo momento delicatissimo, è quella di trovare la combinazione giusta in attacco con il materiale umano a disposizione. Gaich è fisico, sportella e può essere un punto di riferimento, Kallon è rapido e può essere utile in campo aperto, così come Lasagna, se non fosse che nessuno dei tre ha l’istinto del killer. E certo, il fiuto del gol se uno non ce l’ha, mica se lo può dare.

Quel che va evitato come la peste è di allargare il cosiddetto braccino anche a chi, fino a questo momento, non l’aveva. Se il gol dovesse diventare un peso psicologico per tutti gli attaccanti, allora per l’Hellas si farebbe davvero dura.

Non è finito niente

Salvo nuovi arrivi provvidenziali dall’universo degli svincolati, l’Hellas dovrà affrontare il resto del campionato con un gruppo che, comunque, ha saputo racimolare tredici punti in dieci gare. Quel che resta della partita è la promessa di Sogliano ai tifosi: non è finito niente.

L’Hellas ha raccolto il minimo indispensabile, ha evitato la disfatta e può continuare la sua impresa impossibile. È sopravvissuto, per combattere ancora domani.

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