C’è uno sport alquanto curioso e completamente anti-intuitivo, in cui la palla si passa solo all’indietro per andare avanti, in cui il sostantivo “mischia” si accorda con l’aggettivo “ordinata”, in cui i giocatori escono puntualmente dal campo con un occhio nero per andare a mangiare a fianco di chi quell’occhio l’ha annerito.

È uno sport seguito da circa 800 milioni di persone in tutto il globo (dati del 2018), la sua popolarità è in crescita esponenziale negli ultimi anni e l’ultima Coppa del Mondo ha fatto girare la bellezza di 3,5 miliardi di dollari. Nonostante questo la nazionale azzurra di questa disciplina (che porta il nome di una cittadina del Warwickshire, in Inghilterra), entra e soprattutto esce dalle pagine dei giornali sportivi e comunque quando compare poi non ci resta mai troppo a lungo. A lungo, invece, questi ragazzoni si fermano a Verona, nelle strutture del Payanini Center, casa del Verona Rugby che milita nel campionato di Serie A, anche se nessuno in città, purtroppo, sembra saperlo.

A pochi chilometri dal centro storico

La permanenza dell’Italrugby a Verona dura ormai dal 2018 (anno in cui l’impianto di via San Marco venne inaugurato), quando per la prima volta gli Azzurri della palla ovale decisero di preparare in terra scaligera i test-match autunnali in programma quell’anno. Da allora, e con sempre maggiore  frequenza, la Nazionale torna con regolarità in riva all’Adige, dove la selezione si sta preparando per il Sei Nazioni, il torneo più importante a livello continentale e che vedrà l’Italia affrontare la Francia nella gara d’esordio in uno Stadio Olimpico di Roma che si preannuncia già da tempo tutto esaurito, domenica 5 febbraio alle 16.

Un’immagine del Payanini Center

A seguire i rugbisti azzurri in questi giorni c’era anche un team targato Netflix – lo stesso che ha realizzato le serie “Drive to survive” sulla Formula 1 – che sta realizzando una docu-serie dedicata proprio al prossimo Sei Nazioni. SkySport, nel frattempo, ha girato gli spot del torneo che verranno visti da mezzo mondo, mentre i giornalisti sportivi nazionali e internazionali si collegano da remoto per riportare le ultime sui giocatori.

Tutto questo accade a solo un paio di chilometri dal centro di una città che – semplicemente – non ne sta approfittando. La presenza della Nazionale al Payanini Center è certamente motivo di prestigio per Verona e per il centro che la ospita, ma è anche – fino a questo momento – una grande occasione persa per la città e per un movimento che vuole crescere e far conoscere i suoi valori.

Una questione culturale

Certo, allargando lo sguardo è chiaro che si tratta innanzitutto di una questione culturale. La copertura mediatica del rugby lascia in tutta Italia ampiamente a desiderare . Basti pensare che nella prima settimana di preparazione al prestigioso torneo quello che ancor oggi viene considerato il primo giornale sportivo italiano non ha menzionato il termine rugby nemmeno una volta. La conferenza stampa federale di presentazione della manifestazione è stata coperta con un trafiletto di dieci-righe-dieci e solo il 28 gennaio, dopo un’intera settimana di allenamenti, la “rosea” si è degnata – finalmente – di parlare di rugby, ma l’ha fatto in realtà in relazione a un caso di razzismo tra compagni di squadra. Dello sport, invece, non si parla quasi mai. Tutto è fagocitato dal calcio, che fa muovere i soldi per carità, ma che non è l’unico sport che interessa agli italiani, in generale, o ai veronesi, in particolare.

Il sindaco della città Damiano Tommasi, per sensibilità e storia personale in primis ma anche per il compito istituzionale che ricopre particolarmente vicino alle questioni sportive, è passato nei giorni scorsi dal Payanini Center, intrattenendosi a lungo a parlare con il presidente della Federazione Italiana Rugby Marzio Innocenti, con la squadra e con tutto lo staff azzurro.

Il sindaco Damiano Tommasi con il presidente della FIR Marzio Innocenti

Dopo quell’incontro Tommasi ha caldeggiato l’organizzazione di eventi e iniziative che coinvolgano la comunità, sia per promuovere l’importanza di Verona a livello nazionale, sia per far crescere la cultura rugbistica tra le mura scaligere dove il calcio, come altrove, la fa da assoluto padrone.

Un’operazione di marketing, perché no?

A proposito di calcio, viene abbastanza spontaneo pensare come una cittadina come Coverciano, da molto tempo sede del Centro federale della Nazionale italiana, sia diventato agli occhi di tutti la “Casa”, con la C doverosamente maiuscola, degli Azzurri. Certo, lì si parla appunto del Centro federale, che per il rugby, si sa, è ubicato a Parma. È quella la sede ufficiale e non si scappa, visto che per Verona si parla, al contrario, di un centro sportivo privato. Però certo, vista la frequenza con cui la massima espressione del rugby nostrano si affianca alla città di Verona, riuscire in qualche modo ad abbinarne il “marchio” non sarebbe del tutto sbagliato.

Un’operazione di puro marketing? Può darsi, ma visto che a Verona in questo non siamo certo secondi a nessuno – si pensi soltanto al mito del Balcone di Giulietta e a tutto ciò che vi ruota attorno – qui le premesse sarebbero confortanti.

Verona, grazie alla presenza di strutture di primo livello apprezzatissime dallo staff tecnico della nazionale, potrebbe diventare nel tempo sempre di più la seconda casa del rugby italiano, attraendo in questo modo migliaia di appassionati (magari in occasione degli allenamenti, aperti al pubblico) e mettendosi ancora una volta sulla mappa delle città più importanti del Paese, dove già figura in molteplici voci, anche a livello sportivo.

Certo ora si deve solo decidere se si vuole farlo o meno.

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