Dopo aver spiegato, in un precedente articolo, in cosa consiste una legge di bilancio e aver presentato in linea generale quella del 2023, da poco approvata, entriamo nel dettaglio di alcuni elementi della manovra finanziaria.

I punti della manovra

La legge di lilancio può essere divisa in alcuni punti. Particolare rilevanza in termini di risorse destinate ha il pacchetto di misure contro il caro energia, seguito dal pacchetto famiglia e dal pacchetto pensioni. Molto poco innovativo il pacchetto di misure per le imprese, sul quale viceversa ci si aspettava una diversa e rivoluzionaria “mano” di governo. Chiudono la manovra altri e non irrilevanti punti. Quello relativo al Reddito di Cittadinanza e la tanto sbandierata tregua fiscale, peraltro non così impattante. Nulla di significativo sul fronte sanità, cultura e scuola, i tre capisaldi sui quali, viceversa, si dovrebbe sviluppare la maggior parte dell’azione di governo.

Lo spauracchio del caro energia

L’impegno del governo è stato rivolto soprattutto al caro energia. Le azioni previste mettono in gioco circa 21 miliardi di euro a favore di famiglie e imprese per calmierare gli aumenti previsti. Misure che godono di grande consenso popolare, ma che intervengono in maniera significativa, forse esagerata se consideriamo due aspetti.

Il primo è che il mercato nel medio-lungo termine trova sempre un suo equilibrio. I supposti scenari catastrofici sull’aumento dei prezzi sembrano già scongiurati dai fatti. Il secondo, che le variazioni climatiche in corso paiono essere arrivate in periodo propizio per limitare l’effetto del caro energia, quantomeno sulle famiglie.
Il problema serio, per queste ultime, ormai sembra più essere legato ad una fase di indiscriminato aumento inflattivo, solo in minima parte causato dall’aumento dei costi di energia. Un aspetto che non pare essere stato compreso fino in fondo.
In sostanza, nonostante il lodevole impegno profuso, la manovra sembra già essere datata prima ancora della sua entrata in vigore. Vista la carenza di risorse, l’errore appare macroscopico.

Il taglio del cuneo fiscale per i lavoratori

Tra le misure a favore delle famiglie, è stato fatto un primo passo verso il taglio del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti. L’esonero contributivo pari al 2% e 3% a fasce di reddito fino ai 35.000 euro orienta il legislatore verso una riduzione del costo del lavoro. Azione sempre più necessaria, vista anche la perdita del potere d’acquisto di salari e stipendi a cui stiamo assistendo in questi mesi.
Purtroppo, anche in questo caso, gli effetti benefici del provvedimento rischiano di evaporare al cospetto dell’inflazione reale.

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Dipendenti e autonomi, perchè fare differenze?

Entrando nell’argomento redditi da lavoro dipendente, non può non essere oggetto di dibattito il diverso approccio del legislatore fiscale se si confronta con la tassazione cui vengono assoggettati i redditi da lavoro autonomo.
Gli scaglioni progressivi sono infatti il 23%, 27% e 43% per i dipendenti a seconda delle fasce di reddito. Per il lavoro autonomo, invece, è stata confermata la flat tax al 15%, ma aumentando il massimale fino agli 80.000 euro.

Ora, sarebbe superficiale effettuare un diretto confronto tra aliquote. Il lavoratore autonomo, infatti, sostiene costi attinenti alla propria attività che, aderendo alla flat tax, non può dedurre, salvo i contributi previdenziali. Però appare del tutto evidente una particolare attenzione di questo legislatore alla categoria degli autonomi rispetto a quella dei dipendenti. Specie se il confronto lo facciamo, a parità di condizioni, su redditi tra i 50.000 e gli 80.000 euro.
Il tema non è semplice. L’equità assoluta è impossibile da raggiungere, tali e tante sono le categorie diverse degli autonomi, così come le diverse tutele di cui beneficiano tipologie diverse di lavoratori dipendenti. Rimane in ogni caso il fatto che questa manovra si allontana dal principio di equità.

I bonus a “pioggia”

Abbiamo vissuto una stagione particolare nella passata legislatura, ante governo Draghi, in cui l’esecutivo allora in carica aveva disposto una miriade di misure di individuale scarso impatto (ricordiamo i vari bonus bici, bonus bebè, bonus colf etc…) per far fronte all’emergenza Covid-19. In questa manovra tale approccio è stato fortunatamente ridotto e, in parte, sconfessato. Rimane però qualche provvedimento ancora retaggio del passato. Misure con le quali vengono destinati contributi a fondo perduto che drogano alcuni settori senza che poi ciò alimenti un volano utile all’economia.

Tra questi citiamo il bonus psicologo, già presente con un limite di 600 euro, incrementato ora a 1.500. Se la misura, letta singolarmente per quello che è, può avere anche un fine positivo e venire incontro a un’emergenza sociale, specie nell’età adolescenziale, è altrettanto vero che i bonus a “pioggia” sono soldi buttati. Con queste misure non si aiutano in modo strutturale famiglie e imprese, non si delinea una vision, e nemmeno quella già citata idea di Stato necessaria per un buon governo.

Discorso diverso, anche se di impatto quasi irrilevante, è il provvedimento che riduce al 5% l’iva sui prodotti per l’infanzia e l’igiene intima femminile. In quest’ultimo caso parliamo di un tema che ha occupato a lungo le pagine dei giornali e ha catturato l’interesse dei media. Ben venga se simbolicamente si è provveduto ad abbassare l’imposta sul valore aggiunto di questi beni. D’atra parte, il provvedimento appare solo come una misura a impatto mediatico e non sostanziale. Anche perchè, come si è sempre verificato, a riduzione dell’aliquota iva non corrisponde mai un beneficio di pari importo per il cittadino. A meno di non avere un rigoroso osservatorio sui prezzi e un regime sanzionatorio efficiente.

Superbonus edilizia, poco coraggio

Il superbonus è stato prorogato, con dei limiti, con la riduzione al 90%, ma ancora farà parte del sistema per il 2023. Non sarà una manna per i cittadini, per i quali, in larga parte, il superbonus è coinciso con un indiscriminato aumento di prezzi nell’edilizia e con la necessità di vivere vere e proprie odissee infinite per ottenere la cessione del credito, avviare i lavori e terminarli. Non sarà un bene anche per tutti gli operatori di un settore drogato in maniera del tutto irragionevole negli ultimi anni, complicato all’inverosimile da un punto di vista burocratico e che non sappiamo a quali conseguenze dovrà far fronte nel futuro.

Bisognava aver coraggio di eliminare ogni provvedimento e misura diversa dal tradizionale “risparmio energetico” e “bonus ristrutturazioni edilizie”. Queste tanto bene avevano fatto nel passato a cittadini (incentivi veri ed equi), imprese (riduzione del sommerso a favore dei soggetti virtuosi) e Stato (aumento del gettito fiscale). Si è avuto paura di tornare all’antico, di creare uno scossone troppo vigoroso nel settore, ma bisognava avere coraggio. Anche il 2023 sarà un anno schizofrenico nell’edilizia e ciò non sarà un bene per l’economia di settore.

Fronte imprese, variazioni quasi assenti

La manovra 2023 conferma in sostanza il quadro normativo vigente, rifinanziando la Sabatini (la misura sui beni strumentali), e il bonus Ipo per la quotazione in borsa. Confermati anche i provvedimenti a favore del Mezzogiorno con agevolazioni e crediti d’imposta per chi investe al Sud. Rinnovato pure il regime di deducibilità degli ammortamenti.

Raffaele Fitto, ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di coesione e il PNRR. Foto con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT

Insomma, nulla di innovativo, nessuna impronta caratteristica del governo Meloni.
Giova però ricordare che circa due terzi dei 21 miliardi destinati al caro bollette, punto illustrato precedentemente, verranno assorbiti dalle imprese, specie quelle energivore. Un supporto non irrilevante e che, nelle intenzioni di questo esecutivo, andrà a ridurre in maniera significativa il numero di aziende che cesseranno la propria attività nel corso del 2023.

Tetto al contante, una farsa a favore del sommerso

Ci sono vari tipi di evasione, ma è certo che la piccola e diffusa evasione si basi sul contante. L’esperienza di ogni cittadino nella sua personale vita privata è costellata di esperienze in tal senso e chi lo nega è in malafede.
L’aumento a 5.000 euro della soglia previsto dalla manovra non rivoluzionerà usi e costumi, ma è simbolicamente uno strizzare l’occhio al piccolo evasore.

Fisioterapisti, tapparellisti, imbianchini, attori vari dell’associazionismo (per citare ingenerosamente alcune categorie di potenziali evasori, non certo meno virtuosi di altre categorie non citate per brevità) sono tutti soggetti che potenzialmente beneficiano di questa manovra.
Tale misura non era urgente e nemmeno necessaria e va archiviata come mera compensazione a favore di alcune correnti parte di questo governo, che tanto si sono prodigate a favore di una liberalizzazione del contante.

Quota 103 e reddito di cittadinanza

Infine, affrontiamo i due temi che più hanno coinvolto l’opinione pubblica e i partiti politici nei dibattiti. Sul Reddito di Cittadinanza il governo ha rinunciato a decidere rinviando al 2023 ogni revisione strutturale della legge. Certo, si è ridotto a 7, rispetto ai 18 precedenti, il numero dei mesi di diritto al reddito, ma di sicuro i primi ad essere delusi dalla manovra sono gli stessi esponenti principali dell’esecutivo.

La popolarità e il consenso, però, assumono forza diversa in caso che li si guardi dagli scranni dell’opposizione, rispetto a quando si è a Palazzo Chigi.
In ogni caso, nel mercato manca manodopera e, in parte, lo si deve proprio ai meccanismi perversi introdotti dal Reddito di Cittadinanza così come oggi in vigore. Continuare ad utilizzare risorse pubbliche per un sistema dagli evidenti effetti collaterali forse doveva essere evitato.

Quota 103 è invece un provvedimento che permette in sostanza di superare e eludere la Legge Fornero, ma che non potrà prescindere a breve termine da una sempre più necessaria e, forse del tutto impopolare, riforma del sistema pensionistico, che faccia fronte ad un Paese sempre più anziano e nel quale la tenuta dei conti dell’Inps si farà sempre più incerta.

Il dubbio sul futuro da imboccare

La manovra 2023 è una legge di bilancio scialba, che non porta nessuna novità di rilievo. Piacerà di sicuro a Matteo Salvini, per il quale contanti e Fornero hanno rappresentato un buon 50% delle attività elettorali. Invece, piacerà molto meno agli altri elettori di questo governo. Specie a tutti quei cittadini che ambivano ad un cambio di rotta, alla declinazione di un’impostazione politica chiara.

Piacerà forse ancora meno a Giorgia Meloni, che ha già assaggiato la forza dei veti e la difficoltà di realizzare una propria linea di governo in una democrazia matura come la nostra e con un apparato statale di fatto in regime di amministrazione controllata quale è l’Italia. Una manovra che non sarà antipopolare (misure contro il caro energia e reddito di cittadinanza), e per questo non produrrà grandi opposizioni, ma che nulla dice su quale futuro vogliamo costruire.

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