Una bicicletta in difesa della Terra
Intervista a Omar Di Felice, campione di ultraciclismo: fra Artico, Antartide e tante altre zone estreme del mondo, un'impresa dopo l'altra a favore del Pianeta Terra.
Intervista a Omar Di Felice, campione di ultraciclismo: fra Artico, Antartide e tante altre zone estreme del mondo, un'impresa dopo l'altra a favore del Pianeta Terra.
Omar Di Felice, 41 anni, romano, ex ciclista professionista e oggi campione di ultracycling, usa la bicicletta per girare il mondo e comunicare agli altri i cambiamenti climatici di cui è testimone. E questo lo fa da 12 anni macinando tra i 30.000 e i 40.000 chilometri all’anno.
«L’ultracycling, la disciplina sportiva in cui mi cimento, è soprattutto un vero e proprio stile di vita», racconta Di Felice. «La bicicletta, per me, non è soltanto il mezzo per raggiungere dei traguardi sportivi», prosegue, «ma anche un modo per scoprire il mondo e vivere le mie giornate usando questo potentissimo veicolo come mezzo di trasporto quotidiano per i brevi tragitti urbani oltre che per gli allenamenti. Inoltre, posso dare il mio piccolo contributo alla difesa del pianeta dai cambiamenti climatici».
Di Felice, a settembre ha pubblicato il libro “Artico: guardate con me il mondo che cambia” (Baldini+Castoldi, euro 18) nel quale racconta il giro in bicicletta che ha compiuto a inizio 2022 intorno al Circolo Polare Artico percorrendo 4200 chilometri in 45 giorni, tutti in solitaria, con temperature sempre sotto lo zero fino a una punta minima di –42 °C. Lo scopo quale era?
«Da un lato la voglia di esplorare il mondo Artico, quello a me più caro, e realizzare un challenge sportivo mai completato prima, dall’altro quello di mostrare la bellezza e la fragilità, al tempo stesso, di uno dei luoghi del Pianeta che sta soffrendo maggiormente a causa dei cambiamenti climatici».
Questa avventura, come altre, rientra nel progetto “Bike to 1.5° C”. Di che cosa si tratta?
«Il progetto prevede una parte di divulgazione scientifica legata alle mie avventure. Divulgazione che comprende la presenza di esperti e scienziati, con cui ho dialogato durante le imprese ciclistiche sui miei canali social di tematiche relative alla crisi climatica che ci troviamo a vivere. Abbiamo sempre più la necessità di dar voce alla scienza ma, per farlo, serve presentarne i contenuti in una forma e con un linguaggio di facile comprensione. Nell’ambito di “Bike to 1.5°C” sto portando avanti anche la parte relativa la formazione nelle scuole grazie ad una serie di incontri con i ragazzi».
Quanto tempo occorre per preparare una impresa come quella dell’Artico che abbina una parte sportiva a quella divulgativa sulla crisi climatica?
«Sicuramente non è possibile improvvisare. Sia la parte di organizzazione logistica che quella di allenamento e preparazione richiedono molto tempo. A questo va aggiunto lo studio delle problematiche e di tutti i temi che tratto durante gli appuntamenti divulgativi. Soprattutto quest’ultima parte richiede concentrazione e tempo che, spesso, in ambienti difficili ed estremi come quelli artici, non sono facili da conciliare con le lunghe giornate trascorse pedalando».
Non ha viaggiato solo con la bicicletta, ma ha trainato anche una slitta…
«In alcune zone dell’artico, come le Isole Svalbard e la Groenlandia, per esempio, ho dovuto trainare anche una slitta caricata con tutto il necessario, dal cibo agli accessori necessari per ogni riparazione o far fronte ai guasti, per essere indipendente durante i lunghi tragitti in cui non avrei potuto trovare nessuna forma di vita. La slitta pesava all’incirca 40 chilogrammi».
Qual è stato il momento più terribile che ha dovuto affrontare all’Artico?
«Di momenti terribili non ne ho mai vissuti, onestamente, parlerei più che altro di giornate difficili e complesse. Senz’altro l’attraversamento della frontiera tra Russia e Finlandia a pochi giorni dallo scoppio del conflitto in Ucraina è stato un momento di tensione in quanto la situazione, già complessa, rischiava di peggiorare vedendomi bloccato in territorio russo con l’imminenza dell’invasione».
Nonostante avesse un accredito solo come observer è riuscito a far entrare alla Cop 26 (la conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si è tenuta a Glasgow, Scozia, nel novembre del 2021) anche la sua bicicletta. Con questo gesto cosa voleva dimostrare?
«Il gesto è stato puramente simbolico: tutta la parte di divulgazione è stata portata avanti durante il lungo viaggio da Milano a Glasgow. Ci tenevo, però, a dare un segnale forte che ponesse la bicicletta visivamente presente all’interno dei padiglioni dove si svolgevano le fasi negoziali. Credo fortemente che la bicicletta rappresenti un simbolo di cambiamento per stili di vita sempre più sostenibili e rispettosi delle esigenze non solo del pianeta ma anche, e soprattutto, della vita dell’essere umano».
Nel suo curriculum di ultraciclista ci sono anche altre imprese, come: l’attraversata dell’Arctic Highway in Canada, dell’Islanda, dell’Alaska e dell’Himalaya con l’arrivo al campo base dell’Everest posto a 5.364 metri di quota e dopo 1300 chilometri e 34.000 metri di dislivello. Qual è stata quella più difficile dal punto di vista sportivo e quella, invece, dove ha trovato l’ambiente in pessime condizioni?
«Ogni avventura è arrivata come momento in cui ho scelto di alzare l’asticella rispetto al passato, cercando difficoltà via via crescenti. Riguardo alle condizioni ambientali, più che parlare di una singola esperienza, posso portare la mia presenza in Islanda che visito ormai con frequenza semestrale da circa 14 anni. Quest’isola, dal clima e dagli scenari unici, sta soffrendo dei cambiamenti climatici e la crisi è visibile ormai a occhio nudo su tutti i ghiacciai che la ricoprono. Le stime dei glaciologi parlano di una costante riduzione della superficie del ghiaccio fino alla sua completa estinzione nel corso dei prossimi cento anni».
La sua ultima avventura di attraversare l’Antartide non ha avuto buon fine. È durata solo otto giorni e poi si è ritirato. Cos’è successo?
«L’Antartide ha richiesto una preparazione e uno sforzo fuori dal normale rispetto a quelli solitamente messi in campo per altre avventure, seppur complesse e difficili. Purtroppo, bisogna mettere in conto il fatto che durante sessanta lunghissimi giorni può accadere di tutto sia in Antartide che lontano dal continente dei ghiacci e proprio perché un atleta non è un robot, ma una persona con affetti e persone care, anche di ricevere notizie che non vorremmo dover ricevere. Per questo, pur mantenendo il riservo sul dettaglio delle motivazioni e dei problemi personali, ho ritenuto di dover alzare bandiera bianca e rientrare velocemente in Italia».
Subito dopo il ritiro ha detto che con l’Antartide è solo un arrivederci. A quando la nuova impresa?
«Se tutto dovesse andare come previsto ritenterò la traversata il prossimo novembre, come da stagionalità dell’Antartide e secondo i permessi che si possono ottenere per questo tipo di spedizioni».
Visto che si è dichiarato a disposizione delle scuole per parlare delle sue avventure e del cambiamento climatico, come si fa a contattarla?
«Inviando una richiesta attraverso il format presente nella sezione “Bike to 1.5°C” del sito Internet www.omardifelice.com o inviando una email di richiesta a comunicazione@ultracyclingman.com».
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