Risale al 15 marzo 2007 la circolare con cui l’allora ministro della Pubblica Istruzione Fioroni dettava le linee di indirizzo in materia di telefoni cellulari, con relative sanzioni. Sono passati 15 anni, vari governi e nulla è cambiato: ecco fresca fresca l’ennesima grida manzoniana del 20 dicembre 2022 del novello Ministro dell’Istruzione [non più pubblica, mala tempora currunt] e del Merito, Giuseppe Valditara.

L’urgenza della circolare

Una circolare che, nel comunicato stampa del MIUR, allega il documento del 9 giugno 2021, frutto di audizioni della VII Commissione permanente. In questo testo, dopo aver segnalato che l’uso degli smartphone è causa di “danni fisici: miopia, obesità, ipertensione, disturbi muscoloscheletrici, diabete. E ci sono i danni psicologici: dipendenza, alienazione, depressione, irascibilità, aggressività, insonnia, insoddisfazione, diminuzione dell’empatia”, viene stabilito un paragone stringete tra dipendenze, lo smartphone come la cocaina. Insomma: “a preoccupare di più è la progressiva perdita di facoltà mentali essenziali” tanto che il testo definisce i nostri ragazzi “giovani schiavi resi drogati e decerebrati: gli studenti italiani. I nostri figli, i nostri nipoti. In una parola, il nostro futuro.”

Quindi, sono davvero vietati i cellulari a scuola? Certo che no: “l’utilizzo dei cellulari e di altri dispositivi elettronici può essere ovviamente consentito, su autorizzazione del docente, e in conformità con i regolamenti di istituto, per finalità didattiche, inclusive e formative, anche nell’ambito degli obiettivi del Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) e della “cittadinanza digitale”. Cosa cambia rispetto alla circolare del Ministro Fioroni? Niente, se non che, nel testo di Valditara “con la circolare, non introduciamo sanzioni disciplinari, ci richiamiamo al senso di responsabilità”. Armiamoci e partite, vien da pensare e, in ogni caso, se la sbrighino le scuole.

L’ipocrisia del sistema

Siamo onesti. Sono i genitori stessi a fornire i cellulari ai figli per controllare dove si trovano e spesso ad aprire profili social – teoricamente vietati a minori – ai ragazzi per evitare che si sentano tagliati fuori dai loro coetanei. L’età minima è 13 anni, l’88% degli under 14 usa i social: o sono tutti geni informatici o c’è una sostanziale complicità degli adulti. D’altronde, la cronaca non aiuta questi genitori a prendersi alla leggera il peso di un “no”: se la cronaca passa notizie di suicidi tentati o compiuti perché senza like su Instagram, esclusi da una chat o perché privati del cellulare per punizione, si fatica ovviamente ad opporsi. Se il ragazzino in pizzeria la sera disturba, poi, meglio dargli il cellulare, così la pianta e sta fermo. E sono gli stessi adulti che poi, proprio durante le ore di lezioni, chattano o scrivono ai loro figli mentre questi sono in classe, magari complimentandosi col docente che al ragazzo ha dato una nota. Ma allora il problema sono i genitori?

No, o meglio: siamo noi adulti. Il fatto è che questo ennesimo richiamo è inutile, perché ipocrita. Chiediamo ai giovani di seguire il nostro esempio, dei cari vecchi bei tempi andati, e non quello dei fenomeni di social come TikTok, Instagram o OnlyFans. Ma, se andate per strada, gli adulti, i modelli, sono attaccati al telefono h24, mentre guidano, chiacchierano; anche quando stanno coi figli. E sono sempre gli adulti – meglio ricordarlo – che foraggiano i fenomeni di OnlyFans. I nostri figli che – a differenza di quanto credono al Ministero – non sono decerebrati ma ci guardano, imparano e si adeguano.

Le scelte che ci aspettano

Stefano Quaglia, ex Provveditore degli Studi di Verona

E qui si aprono più scenari. Uno è quello proposto da Stefano Quaglia, ex Provveditore degli Studi di Verona: «È una circolare tutto sommato equilibrata, perché ricorda come un uso indiscriminato e privo di capacità critica degli strumenti digitali elettronici sia negativo e possa anche produrre dipendenza ma, nello stesso tempo, non dice che non si debba educare a un uso intelligente dei telefonini e di tutti gli altri strumenti. Ovviamente il tablet e il computer si prestano maggiormente a un’educazione digitale intelligente rispetto al cellulare che, però, è anche pur vero che rimane lo strumento principe che i ragazzi usano. Quindi, è necessario piuttosto abituarli a un uso intelligente, anche a rinunciare se necessario; viene affidato il compito agli adulti di vigilare, di trovare le forme migliori e di dialogare con i ragazzi perché fondamentalmente si arrivi a una consapevolezza nell’uso degli strumenti piuttosto che a divieti a forme di proibizione che, poi in realtà suscitano ribellione e desiderio. Strategie non produttive con questa generazione, che è stata abituata ad avere tutto e subito

È un strada lunga e difficile e la scuola, per quanto abbia cercato di opporsi storicamente a certi tipi di cambiamenti sociali e culturali, oramai è marginale e gioca sostanzialmente in difesa, non fosse altro per l’elevata età media del corpo docente e la distanza sempre maggiore con le generazioni che si trova ad educare.

L’altro, il modello cinese, punta a risolvere alla sorgente il problema e prevede ad esempio misure restrittive per i giochi online per i minori di 18 anni: da venerdì a domenica, non più di tre ore alla settimana. Draconiano, certo, ma mirato allo scopo.

E, seppur lenta, incerta e affidata a un personale docente sempre più irrilevante e screditato, la proposta di Quaglia sembra l’unica con qualche chance. Perché, diciamocelo: come Stato, saremo in grado di imporre limiti a multinazionali online che su questo fondano il loro business? Come adulti, siamo davvero in grado di vigilare su quel divieto e intervenire in prima persona con l’esempio? Siamo disposti a imporre dei limiti a noi stessi per dare autorevolezza ai no che dovremo dire ai nostri figli?

La risposta la conosciamo già.

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