Agsm-Aim: quando la politica danneggia l’economia
La vicenda che sta interessando la gestione della società di energia veronese ha assunto negli ultimi giorni dei contorni a dir poco assurdi.
La vicenda che sta interessando la gestione della società di energia veronese ha assunto negli ultimi giorni dei contorni a dir poco assurdi.
Tanto tuonò che piovve. La presenza della “mano pubblica” nell’economia porta strascichi che diventano di dominio pubblico solo quando i media segnalano anomalie; ecco che il gioco delle parti vede un Paese profondamente statalista (nel senso che la politica si interessa di economia oltre allo scrivere le regole e controllare) fino al suo livello più elementare, rappresentato dal Comune, prendere parte alle decisioni che coinvolgono le società con parametri e condizionamenti che poco hanno a che fare con la necessità di una gestione efficiente ed efficace finalizzata alla produzione del profitto.
Così è per AGSM AIM spa dove, dal momento della fusione e prima ancora nella gestione della multiutility, l’influenza della politica, dei personalismi e degli interessi dei partiti prevaricano la buona gestione e il buon senso. Solo per rimanere alla cronaca dell’amministrazione Sboarina, chi si è scordato il siluramento dell’avvocato Michele Croce per l’avversità alle ipotesi di fusione progettate durante il suo mandato? Fatto sta che in un rapporto 61,2/38,8 (AGSM/AIM) del valore attribuito alla partecipazione del Comune di Verona della società conseguente alla fusione tra AGSM e AIM, venne stabilito che gli amministratori debbano essere in numero pari e il maggior valore viene riconosciuto con il diritto del sindaco della nostra città a nominare il presidente e l’amministratore delegato; e nulla più.
La notizia del giorno è che Damiano Tommasi, sindaco di Verona, che ha ereditato un cda nominato dal predecessore, si è ritrovato una questione spinosa a cui ha dato una svolta sollecitando le dimissioni di chi ha creato un problema e cercato soluzioni che rischiano cause di risarcimento milionarie a danno delle casse della società (che per recuperare poi il danno dai responsabili giudizialmente passano poi i lustri…).
La vicenda nasce nel 2021 quando all’amministratore delegato Stefano Quaglino viene dato mandato di cercare di espandere l’attività della società mediante acquisizioni di realtà con pacchetti clienti significativi; nel luglio del 2022 l’amministratore delegato comunica al cda il risultato del suo lavoro presentando il contratto di acquisto di una partecipazione significativa in Compago srl e riceve l’assenso all’unanimità per un’operazione che avrebbe dovuto essere perfezionata il 30 settembre scorso. Il 27 di quel mese però, il presidente del cda Stefano Casali (politico navigato, approdato alle sponde di Fratelli d’Italia quando non era il primo partito italiano) propone e ottiene la revoca delle deleghe all’ingegner Quaglino motivando la decisione con la comunicazione proveniente dalla partecipata AGSM AIM Energia spa che, per mezzo del suo presidente Mario Faccioli (già sindaco di Villafranca e, guarda caso, compagno di partito del Presidente Casali) lamenta una serie di criticità che suggeriscono di interrompere l’investimento.
Come si dice a Verona? Peso il tacon del buso: in un maldestro tentativo di impedire l’acquisto delle quote della società, trincerandosi dietro l’alibi che l’operazione non avrebbe potuto essere perfezionata da un mandatario in difetto di mandato, e cercando di mascherare la palese retromarcia, sua e del cda, il presidente riusciva a far perdere al Comune di Verona la differenza di valore dell’investimento in AGSM AIM, di fatto svalutandone l’importo, aprendo scenari apocalittici in termini di risarcimento giudiziale per danni patiti o prospettici al manager, alla società in via di acquisizione e al valore stesso dell’investimento (e per fortuna che di mestiere fa l’avvocato…).
A questo punto cosa poteva fare il sindaco Tommasi se non chiedere ai suoi (due su tre) consiglieri di amministrazione di relazionare al socio di maggioranza il motivo del voltafaccia e adeguarsi alle indicazioni che avrebbe loro comunicato?
Chi lo accusa di pretesto per perseverare nello spoil system dei dirigenti indicati dall’amministrazione del centro destra è ingeneroso, oltre che inutilmente malizioso: le carte dimostrano una palese contraddizione nel comportamento di chi amministra la principale azienda posseduta dal Comune di Verona e a nulla valgono le difese d’ufficio degli amministratori indicati.
La richiesta di dimissioni di Casali e Vanzo (e non quella di Quaglino) dimostrano la valutazione dei ruoli che ognuno di loro ha avuto nella vicenda e le logiche conseguenze.
La richiesta delle loro dimissioni è legittima, oltre che dovuta, mentre la revoca (che lo statuto prevede solo per l’intero cda e con maggioranze qualificate irrealizzabili allo stato dei fatti) apre scenari giuridici dalle conseguenze incalcolabili, visto l’orientamento giurisprudenziale.
Ma tutto questo perché? Questo è il dilemma che Casali e il suo cda non hanno spiegato perché sostanzialmente irrilevante: le decisioni non sono state ottenute con la forza, l’inganno e senza verifiche dell’Authority competente. Eppure è stato montato un teatrino dell’assurdo cercando di mascherare con motivazioni inconsistenti un investimento che, se anche antieconomico, alla luce dei fatti non sarebbe stato il peggiore fatto da manager pubblici veronesi e più oneroso della spada di Damocle dei danni che più tribunali potrebbero dover decidere di infliggere per la mancata conclusione dell’affare concordato.
E la storia continua…
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