Ma tu ci credi a quella cosa di Paul che sarebbe morto?

Non si contano le volte in cui questa domanda è stata posta a chiunque si venda come un cultore della musica e della storia dei Beatles. Viene formulata spesso in disparte, sottovoce o quasi, in bilico tra vergogna e (morbosa) curiosità. La risposta è più o meno sempre la stessa: “Difficile crederci, però…”.

È quel però che tortura, perché di norma – per rispondere alla domanda – chi ne sa inizia a mettere in fila qualche aneddoto, un paio di circostanze nebulose, due coincidenze di quelle che aumentano la foschia e il gioco è fatto. Google immagini alla mano, si trasformano cene o serate intere in racconti del mistero, che vedono come protagonista un certo James Paul McCartney, nato a Liverpool il 18 giugno del 1942 e, secondo alcuni, morto a Londra in 9 novembre del 1966, in occasione di un incidente stradale (storicamente avvenuto per davvero).

Believe or not believe, that is the question

Non ci dilungheremo sugli indizi a favore o sulle teorie contro, perché nessuno ha mai fatto, in tale ambito, un lavoro più metodico, accademico e completo di Glauco Cartocci, studioso e musicologo romano. Si rimandano i più curiosi al libro “PID, il caso del doppio Beatle”, un master pièce del settore, che raccoglie ogni indizio mai sussurrato da alcuno, attribuendo un voto al “peso”, all’importanza o, quantomeno, alla verosimiglianza dell’indizio stesso. Dal libro non si capisce se l’autore è un believer o un notbeliever (terminologia mutuata dalle guide che fanno il tour al lago di Lockness) ma dalla lettura del testo si evincono senza sforzo alcune certezze: la prima è che sull’argomento sono state dette una miriade di fregnacce, baggianate prive di alcun senso e sparate a vanvera, senza dignità; la seconda è che basta leggere con attenzione i pochi indizi cui l’autore attribuisce il voto massimo, per non dormire la notte.

La considerazione più immediata, che salta alla mente a chiunque, è questa: fosse vero, che Paul è morto e l’hanno sostituito perché l’industria Beatles non cessasse di produrre milioni di sterline, dove l’hanno trovato un tizio altrettanto intonato, scaltro musicista, dell’età giusta e somigliante al punto da reggere il confronto con uno dei mostri sacri della musica mondiale, un genio che in pochi anni era stato capace, assieme a un certo Lennon John, di sconvolgere il mondo, inventando il pop? Non abbiamo la risposta a questa domanda, ma ricordiamo bene una fotografia di un motoscafo con a bordo una dozzina di Saddam Houssein.

Per altri, al contrario, la baggianata della morte di Paulie sarebbe stata una trovata di marketing, per dare ossigeno al mito dei Beatles, in affanno. Questi “altri” sbagliano, e di grosso, perché la favoletta, nella realtà dei fatti, ha iniziato a circolare per le radio quando i quattro di Liverpool avevano già pubblicato il penultimo LP, e l’ultimo era già stato inciso. Beatles e affanno, inoltre, è un ossimoro grosso come l’Everest. Obiezione respinta, vostro onore.

Il dito di George

Ma passiamo alle cose allucinanti. Pochi sanno che i menestrelli della foce del Mersey hanno inventato molto meno di quanto viene attribuito loro. Più che altro loro hanno avuto il merito di portare al grande pubblico intuizioni altrui, facendole proprie, centrifugandole nel pozzo senza fine della loro creatività e trasformandole in avanguardia. Alcune cose le hanno inventate per davvero, al contrario, e tra queste una delle consuetudini che qualunque fruitore di musica considera ovvia a dir poco: i testi delle canzoni nei libretti dei CD. Lo hanno fatto loro, per la prima volta, nel retro del celeberrimo LP “Sgt. Pepper’s”, nel 1967.

Quei testi, proprio alla luce di tale innovazione, rivoluzionaria, non sono stati messi lì a caso, diremmo. I quattro moschettieri del pop appaiono nello sfondo e uno di loro, il mite George Harrison, ha un dito alzato che sembra indicare qualcosa. Aguzzando la vista, il ditino punta la seguente frase della splendida ballata “She’s leaving home”: <<Wednesday morning at five o ‘clock >>. Il fato vuole che l’incidente automobilistico realmente occorso a Paul, nel quale sarebbe morto decapitato, abbia avuto luogo proprio alle 5 di un mercoledì mattina.

Il tour del vero Paul

La cosa appena sopra è spaventosa, e non può essere frutto del caso, dai, su. Indizi ulteriori ce ne sono tanti, e quelli degni di nota sono un numero consistente. Quindi qualcosa dietro c’è, punto e basta, alla faccia dei “no-vax”, che ci sono anche in questo ambito (i famigerati no-pid), per i quali è tutto un complotto a prescindere e chi parla del PID (“Paul is dead”) un idiota.

Meglio finirla subito qui, evitando di parlare delle frasi all’incontrario trovate nei dischi, della miriade di indizi scovati nelle copertine o nelle foto pubblicate dai Beatles, anche perché se ne trovano anche in lavori antecedenti alla data della presunta morte, sfiorando il paradosso spazio-temporale caro al Doc di “Ritorno al futuro”. Per dare l’ultima spallata, però, invitiamo believers e non a cercare su YouTube il video “the real Paul with Beatles tourist”. Apparirà un anziano signore, a Liverpool, che chiacchiera con alcuni fan di fronte alla casa natale di McCartney. A guardarlo con attenzione, pur non assomigliando eccessivamente al Paul degli anni 2000, quel tizio è davvero simile, anzi a dirla tutta, esageratamente simile, al Paul giovane dei primi Beatles, invecchiato con qualche app di basso profilo. Quando sorride c’è da sudare freddo… è identico. E cosa fa nella vita questo signore, che per altro è mancino e pare suoni bene chitarra e piano? All’epoca del video era il custode notturno proprio della casa natale di McCartney, da anni proprietà del National Trust. Vabbè ma allora ditelo che volete farci diventare imbecilli.

Sosia come se piovesse

Ritornando seri, ribadiamo che qualcosa c’è, anche se verosimilmente la verità su uno dei misteri più affascinanti della storia del rock morirà assieme ai suoi protagonisti. È molto probabile che all’epoca del boom della beatlemania i quattro ragazzi avessero dei sosia per sviare fans e maniaci (c’è una foto in una barca sul fiume con tre Paul diversi) e non è da escludere che, magari per qualche periodo, i più somiglianti fossero in grado di sostituire i titolari in occasioni ufficiali. Nel caso di Paul, chi scrive l’ha seguito in ogni dove riuscendo, in un paio di occasioni, ad avvicinarlo. Qualche anno fa è capitato di farlo a distanza di pochi giorni, in Polonia e in Italia, e vi è la certezza (o quasi), di aver molestato due persone diverse, per quanto molto simili (capelli cresciuti troppo, gote smagrite, diversi kg in meno). Magari, si potrebbe pensare, sono 2: il sosia fa il bagno di folla e rischia il proiettile come è successo a Lennon, l’altro sale sul palco e intona i suoi inni immortali.

Non sappiamo dire, in definitiva, se il vero Paul sia morto e se quello di adesso sia un rimpiazzo. Se così fosse, come molti sottolineano, la copia avrebbe surclassato l’originale, dato che, “Yesterday” a parte, il secondo Paul avrebbe composto la maggior parte dei capolavori dei Beatles maturi, quelli della svolta artistica. 

E se invece…

Lanciamo, però, una provocazione, per quanto blasfema… e se Paulie fosse invece morto e poi risorto? Innanzitutto, abbiamo un paio di precedenti (Lazzaro e quello più famoso), sui quali ha scritto un bel po’ di gente, quindi nulla di così nuovo all’orizzonte, a ben vedere. Questa idea, un po’ velleitaria in valore assoluto, trova riscontro nel testo di una delle canzoni meno note dei 4: “The one after 909”, composta in gioventù ma pubblicata sull’ultimo LP della band. Nel titolo torna il nove, numero ricorrente assai nella storia dei quattro, secondo alcuni il numero del demonio. “1 dopo 909”, oppure, estendendo, 1909. È come se qualcuno volesse dirci che succede qualcosa ogni 1909 anni. Del resto, Gesù è morto a 33 anni, mi risulta, quindi di fatto nell’anno 33. Se sommi tale numero al 1909… ottieni 1942. Guarda un po’ i casi della vita, e della morte… Paul McCartney, quello originale, era proprio del 1942. 

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