I complimenti di Mourinho nel post partita di Verona-Roma sono la beffa finale dell’ennesima serataccia al Bentegodi: «Sono vicino al Verona, non meritano l’ultimo posto, hanno difeso bene anche in dieci, Bocchetti è un buon allenatore.» Se la classifica si potesse migliorare con le buone parole, l’Hellas sarebbe ampiamente fuori dai guai, e invece è all’ultimo posto con la disgraziata Cremonese.

Detto ciò, Mourinho non ha torto. Il Verona visto contro il Milan e ieri sera al Bentegodi non sembra una squadra che possa retrocedere in questa pessima Serie A. La prima mezz’ora dei gialloblù è stata buona malgrado le assenze pesanti di Verdi, Doig e Lazovic.

La fiera degli errori

Il vantaggio di Dawidowicz sembrava aver messo la partita sul binario giusto, poi, invece, è andata in scena la solita fiera dell’autolesionismo calcistico: entrata scriteriata dello stesso Dawidowicz – rosso – palla persa da codice penale di Tameze – pareggio – uomo dimenticato al limite dell’area a pochi minuti dalla fine. Gol e zero punti. Ancora una volta. 

Purtroppo per l’Hellas a questo punto della stagione fare prestazioni sufficienti senza raccogliere punti è una beffa ancora più difficile da digerire, e i black-out mentali di giocatori esperti come il francese e il polacco sono una diretta conseguenza della tranquillità che manca, e che in questa situazione di classifica non ci può essere.

Lo ha detto Faraoni a fine gara: qualcosa non va. Non parla di sfortuna o di classifica l’esterno gialloblù, ma di qualcosa che va cercato in campo. Il Verona visto nelle ultime settimane costruisce, esce bene e sa impostare le ripartenze, fa girare la palla a centrocampo e sale con gli esterni.

Il potere di spaventare

Tutto sommato un potenziale adeguato a una squadra che deve salvarsi, ma manca un elemento fondamentale: il potere di spaventare. Se gli attaccanti non preoccupano nessuno, tutta la squadra avversaria è libera di girare meglio, attaccare con più uomini, causare gli errori dei difensori. Tutto però parte da lì davanti.

Un esempio lampante dell’importanza dell’apprensione è la gara di Champions League tra Benfica e Juventus. La scorsa settimana, allo Stadio Da Luz di Lisbona è andato in scena uno spettacolo calcistico. Il Benfica ha insegnato come si gioca a calcio alla Juventus per quasi 80 minuti. Poi il blackout. Sparita la qualità, sparita la garra, sparita la squadra. Per poco i bianconeri non rimettono in piedi una gara in cui sono stati sportivamente presi a schiaffi dagli avversari.

La chiave? L’uscita dal campo di Vlahovic. Fino a quel momento la difesa del Benfica aveva preso le misure all’attacco juventino ed era chiaro che l’unico serbo pericoloso della Juve fosse Kostic. Fermato lui, i problemi erano finiti. Nessuna apprensione. L’attacco e il centrocampo portoghese erano liberi di rischiare la giocata con la mente sgombra, consapevoli che dietro la situazione era sotto controllo. Il risultato è stato uno show da spellarsi le mani. Cambiato l’attacco della Juventus per il Benfica non ha funzionato più nulla. È arrivata l’apprensione.

Un Verona monco

Questa pressione psicologica manca completamente agli avversari del Verona. Sanno che alle loro spalle non c’è un singolo attaccante pericoloso e possono permettersi di dialogare senza la paura di perdere un pallone. Se anche partisse il contropiede chi mai andrebbe a finalizzare? Lasagna che non la butta dentro neanche con le mani? Henry e Djuric che hanno l’accelerazione di un Landini Testacalda? Gli avversari possono giocare rilassati.

Nella notte di Halloween Mourinho – che di calcio qualcosa capisce – ha definito la coppia Henry-Lasagna “una piccola paura”. È stato gentile, ma l’aggettivo non è casuale. Il Verona è monco, non colpisce, e l’avversario lo sa: può abbassare la guardia senza problemi e colpire forte.

La piccola paura di Mou è vero terrore per i tifosi gialloblù: il terrore di retrocedere in una Serie A scarsa come con si vedeva da anni. 

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