«Ho imparato molte cose, a Sarajevo. Che l’umanità, in guerra, sa dare il meglio e il peggio di sé. Che il giornalismo non salva nessuno, non cambia la storia: al massimo impedisce che qualcuno possa dire, poi: “non lo sapevo”.»

Balcania, pubblicato quest’anno da Edizioni Biblioteca dell’Immagine, è il penultimo lavoro di Toni Capuozzo. L’autore, nato a Palmanova (Udine) alla fine del 1948, è un inviato di guerra, scrittore, blogger e conduttore televisivo.
La sua lunga carriera da giornalista è stata contraddistinta da diverse collaborazioni con la carta stampata: “Lotta Continua”, “Reporter”, “Panorama”, “Epoca”, “Il Foglio”.
Capuozzo, inoltre, è stato vicedirettore del Tg5 nel 2013, conduttore di “Terra”, programma di approfondimento su Canale 5 e poi su Rete 4, per poi passare alla realizzazione di diversi servizi televisivi di attualità. In occasione dei trent’anni dall’assedio a Sarajevo, nel 2022, su Canale 5 ha dedicato uno speciale sulla città più martoriata nella guerra dei Balcani.
È autore di numerosi libri. Tra i più recenti: Lettere da un paese Chiuso. Storie dall’Italia del coronavirus (Signs Publishing 2018) e Piccole Patrie (Edizioni Biblioteca dell’Immagine 2020).

Balcania, voci di una guerra fratricida

Balcania raccoglie una serie di articoli realizzati da Capuozzo tra il 1992 e i giorni nostri. Un insieme di storie, di ricordi, di circostanze, che hanno permesso all’autore di consegnare al pubblico una narrazione centrata su uno dei momenti più oscuri che l’Europa ha vissuto.

Il libro tuttavia non si presenta come un semplice e distaccato manoscritto storico su un conflitto civile di un Paese europeo, ma come un’opera che tocca la sfera personale di alcune delle persone coinvolte da quella orribile guerra fratricida.

Le testimonianze – di serbi, musulmani, croati, bosniaci – raccolte dal giornalista narrano, in modo diretto e crudo, la rabbia, le paure, il bagaglio emotivo. Un affresco di vicende con al centro non la guerra in sé e per sé, vista dal punto di vista politico, piuttosto un racconto delle storie degli esseri umani che l’hanno vissuta.

Racconti di resistenza

Come l’amore tra Boško e Admira, il serbo e la musulmana uccisi perché di etnie diverse mentre cercavano di fuggire dall’assedio di Sarajevo, o come la coppia di anziani, che faticavano a camminare, intenti a raccogliere dell’erba per la strada per insaporire la brodaglia di cui dovevano cibarsi, perché non si trovavano nemmeno i beni di prima necessità.

O ancora come il racconto di Adica, 17 anni, detenuta nei lager serbi, in cui non si potevano tenere anelli se non si voleva che venissero tagliate le mani, dove le donne venivano stuprate e gli anziani erano costretti a lavorare fino allo a sfinimento, per poi essere ammazzati e buttati nelle fosse comuni.

Uno scatto preso durante un funerale a Sarajevo nel 1992 da Mikhail Evstafiev.

Capuozzo riesce a tratteggiare un quadro estremamente autentico del conflitto, si percepisce la volontà di voler far sentire al lettore una vera vicinanza emotiva con tutto ciò che la guerra può provocare, narrando storie semplicissime di persone normali che si trovano scaraventate nella devastazione, nell’angoscia, nella sofferenza.

«Il giornalismo non cambia il mondo»

Nello snodo della lettura ricorre spesso la “contabilità” delle morti. È interessante come l’autore utilizzi questo termine poco umano proprio per dare maggiore efficacia al messaggio che vuol fare passare, ovvero quanto sia violenta e crudele la guerra. Infatti, oltre il sentire disperato che si percepisce dalle storie raccontate, si coglie in maniera immediata e diretta quanto Capuozzo sia coinvolto dalle vicende e la volontà di far comprendere quanto non abbiano senso le guerre e quel sentimento di impotenza, come giornalista, come spettatore e testimone, di fronte a tutto questo.

«Eppure è stato proprio nei Balcani che ho perso l’illusione che il giornalismo potesse cambiare il mondo, fermare questa emorragia. È lì che ho capito che non è una missione salvifica né ha il potere di un allarme, o qualcosa di più di un modesto tentativo di persuasione morale, destinato a restare inascoltato. Puoi raccontare stragi e orrori e non cambia niente.»

Coinvolgersi per salvare una vita

Invece Capuozzo ha salvato davvero qualcuno e lo rivela durante il racconto. Si tratta di Kemal, un bambino musulmano di tre mesi, che a causa di una granata perse la madre e una gamba. Lo scrittore, insieme alla giornalista Anna Cataldi di “Panorama” e con l’aiuto del collega americano, premio Pulitzer John Ficher Burns, del “New York Times”, decise di prenderlo con sé, col consenso del padre, e portarlo in Italia per dargli una possibilità di vita. Oggi Kemal è un uomo e vede nell’autore un secondo padre.

«È semplice: è una conta dei morti, fino a che uno dei due, o dei quattro, si stanca e cede. O qualcuno cede al tempo, e la spossatezza prevale sulla vendetta e sulla rabbia. Solo che dopo, bisogna evitare una domanda: a che cosa è servito?».

Toni Capuozzo presenterà il libro Balcania a Villa Palazzoli di San Giovanni Lupatoto, sabato 15 ottobre alle 18.30, nell’ambito della rassegna “Parole Amiche”, organizzata dall’associazione culturale Balder.

Il programma di Parole amiche 2022 a San Giovanni Lupatoto