Negli ultimi giorni abbiamo sentito parlare parecchio a proposito di fiabe, favole e della loro trasposizione in film action o cartoni animati, diventando terreno di confronto, discussione e, in qualche caso, anche scontro. Di fatto ad ogni nuova uscita di film che renda esplicite le immagini delle fiabe, ne vengono commentati i singoli fotogrammi come nel recente caso della “nuova” Sirenetta.

La questione, ormai nota, va ben oltre la bontà della pellicola cinematografica e della scelta di Halle Bailey nel ruolo di Ariel e affonda le sue radici nella paura del cambiamento nel quale il mondo degli adulti spesso nuota. È un mare di paure fatte di possibilità di lasciar andare le certezze per la paura di perdere qualcosa. È un mare fatto della paura di avere spazio per nuove possibili interpretazioni o soluzioni di quella fiaba che “ci appartiene” e nella quale, nel ripetersi costante, continuiamo a rivivere, in modo stereotipato, scene e soprattutto finali che ci rassicurano. Invece, il mondo dei bambini vive di variabili possibili, ancora non è incanalato nell’egoico binario del “è giusto così e così dev’essere o è sempre stato così”.

Ai bambini, spontaneamente, piace di certo la nuova Sirenetta e anche quella sarà la loro Ariel, mentre molti adulti hanno paura di accogliere una seconda Ariel perché, forse, potrebbe piacere di più della prima o forse potrebbe mettere in discussione l’idea, strutturata nel tempo, di sé. Questo significa accettare l’idea che ci sono nuove soluzioni e nuovi scenari possibili e per farlo è necessario dare ascolto al bambino che eravamo e che ancora vive dentro di noi; quel bambino che ci permette di crescere sempre, nelle immagini simboliche che, grazie anche alle fiabe, riusciamo a conoscere e che sono vive proprio nella mancanza di una loro traduzione in significato.

Una valenza simbolica universale

Quindi, bellissima la nuova Sirenetta che ci propone una nuova Ariel; vale la pena accoglierla in tutte le sue sfumature, nel bene e nel male di ciò che propone e vale la pena discutere con questa novità per non perdere di vista lo sguardo sulle possibilità del nostro mondo interno e per non rimanere vincolati solo al nostro Ego adulto; ma non scordiamoci che, dietro a queste proposte che si proclamano come faro contro gli stereotipi, talvolta si nascondo altri stereotipi, in grado di raggiungere luoghi ancora più lontani, andando a distruggere, in modo disseminato e diffuso, l’immaginario simbolico collettivo.

La “vecchia” Sirenetta (1989)

Molte fiabe, provenienti da qualunque parte del mondo, narrano dei medesimi temi archetipici collettivi. Non dobbiamo quindi scordarci della valenza simbolica universale che caratterizza le fiabe, indipendentemente dal colore della pelle dei protagonisti di cui, ai bambini e al bambino che siamo, non interessa nulla.

Spesso le proposte cinematografiche tratte dalle fiabe gambizzano proprio l’immaginario e la vita simbolica che contiene. Quindi il vero pericolo, non risiede nel colore della pelle della Sirenetta, ma proprio nel fatto che si faccia di questo colore un problema. Cioè nel fatto che ci siamo allontanati dal nostro mondo interno (a cui appunto non interessa nulla di tutto ciò nei termini in cui viene proposto ma in cui vivono nuove possibili combinazioni di noi stessi, belle o brutte che siano), fatto di simboli la cui funzione vitale si perde proprio nel tentativo di volerli spiegare, traducendoli in segni con un significato preciso perché incanalati in temi e questioni che non c’entrano nulla, in quanto riguardano l’incapacità di stare e riconoscere davvero lo stereotipo e le sue metastasi.

“Poetry is what gets lost in translation”

David Frost

E così nelle fiabe non è necessario andare a tradurre le immagini; i bambini sanno già che una Sirenetta può essere anche africana o cinese; le fiabe non hanno una valenza educativa in senso stretto. Le fiabe ci insegnano che dobbiamo fare i conti con il nostro mondo interno che è fatto di mostri e draghi, paure e fragilità ma che già contiene tutte le risorse necessarie per farvi fronte a patto di dare spazio e seguire la vera nostra parte più autentica, a patto di dare spazio al divenire del nostro Sé.

Ed è qui che si annida la vera paura di molti adulti perché, come dice Verena Kast, le fiabe sono “cose da ragazzi” perché così gli adulti possono distanziarsi dai veri, profondi insegnamenti in esse contenuti. Salvo poi farne solo una questione di pelle.

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