Questo articolo doveva essere pungente e cinico, doveva insomma iniziare in tutt’altro modo. Ma le ultime notizie impongono alla tenerezza che pur io possiedo, ben nascosta, di avere il sopravvento. Nel momento più difficile per la Regina, vorrei ricordare che potrebbe lasciarci (ma noi facciamo il tifo per lei!) una donna intelligente, ironica, testarda e molto preparata. La donna più potente del mondo che, pur avendo “solo” ereditato tale potenza, si è dimostrata sempre all’altezza del compito, anche il più gravoso.

La sua assenza sarà ancor più sentita in questa fase storica del Regno che per tantissimi anni ha guidato, un Regno che si trova ad affrontare anche altri cambiamenti fondamentali, anche se paiono inezie all’impietoso confronto con la Grandezza.

E ora torniamo al sarcasmo, anche se nessuno sarà mai al livello di Elizabeth Alexandra Mary, Queen of the United Kingdom (e altre 14 nazioni sovrane).

Il nuovo Governo

Accantonata l’èra Boris Johnson, il premier biondo che fa impazzire il mondo, si è insediato il nuovo governo conservatore del Regno Unito e Liz Truss ha scelto un gruppo di ministri molto inclusivo. Sei su ventitrè membri sono persone di colore, seconde o terze generazioni di immigrati dalle colonie e non solo. Per la prima volta nella storia, nelle posizioni più importanti del governo non c’è nessun uomo bianco. Se poi l’approccio inclusivo mostrato nelle nomine si tradurrà in politiche governative a supporto delle minoranze e dei deboli, beh qualche dubbio è legittimo.

Inoltre, ben nove sono donne. Non fa specie in Inghilterra, dove Truss è già la terza arrivata nel ruolo, dopo Thatcher e, più recentemente, May. Lascia molto a cui pensare a noi italiani, così lontani da una così attenta rappresentanza femminile, con otto donne di cui solo tre a capo di un dicastero con portafoglio. Forse le prossime settimane ci sarà finalmente un rinnovamento in questo senso anche da noi, ma attenzione che – ed è una donna a scriverlo – scegliere qualcuno solo perché appartiene a un determinato sesso non è garanzia di successo.

Scelte di merito

La nuova premier inglese è una donna con lunga esperienza di governo, tra i cui uffici bazzica da molti anni nel tentativo di scalare il vertice. La sua caparbietà è stata premiata e dimostra che sa muoversi a Palazzo ma le sue scelte circa i più stretti collaboratori sembrano dettate più da legami di amicizia e lealtà che dal curriculum delle personalità nominate.

La Regina Elisabetta

Niente di male a mettere nel ruolo più importante un alleato storico, quel Kwasi Kwarteng che ha sicuramente preparazione accademica ma un’esperienza di meno di due anni nel Ministero dell’Economia. Nominato Cancelliere dello Scacchiere, avrà la responsabilità del bilancio dello Stato, mica di comprare le candeline per il prossimo party in giardino di Boris, oops! C’è anche chi ha meno esperienza di lui, quel James Cleverly, che sostituisce Truss agli Esteri è nel governo solo da luglio, probabilmente scelto perché conosce meglio la geografia, o almeno si spera. Infine il simpatico aristocratico Jacob Rees-Mogg, famoso per non aver mai concluso un progetto di legge uno, oltre che per la sua vocazione anti-europeista. Ora è segretario di Stato per energia, clima e diritti dei lavoratori. La persona giusta per affrontare una contingenza senza precedenti in cui il numero dei posti di lavoro vacanti supera quello dei disoccupati. Buona fortuna Mr Bean!

Donne (du du du) in mezzo a una via

Tornando alle ragazze di Liz, lasciano perplessi alcune nomine, a partire da quella che vede la sua miglior amica storica, Thérése Coffey, come vice premier e ministra della Salute. Donna di molta esperienza politica, nota ai tabloid per essersi fatta cacciare dal Somerville College di Oxford per voti pessimi e per le foto in cui si mostra con alcolici in una mano e un sigaro in bocca. Aggiungiamo – è scorretto ma sotto gli occhi di tutti – un fisico poco atletico e si ha il ritratto di quel che non ti aspetteresti mai a governare la salute di un popolo.

Un’altra scelta particolare è quella di Suella Braverman, figlia di un immigrato fuggito dai tumulti in Kenya alla fine degli anni Sessanta ma decisamente figlia di tutt’altra mentalità politica. Nominata al ministero degli Interni, lo scorso luglio scriveva nel giornale del Parlamento che “abbandonare la Convenzione europea per i diritti umani (ECHR) è l’unica soluzione per il problema dei clandestini in linea con il diritto internazionale”. Sembra quindi probabile che non avrà sensi di colpa deportando i migranti in Rwanda, persone come il suo stesso padre. Cara lei, sensibilità femminile, si dice così no?

“Chi ben comincia…”

Nonostante la zazzera bionda, Truss non è Johnson. Cioè gli somiglia ma almeno lei ha accettato di rispondere alle domande del Parlamento, un rituale molto inglese da cui BoJo si era distaccato. Risponde, è vero. Ma non dice le cose che gli inglesi vorrebbero sentire. E non solo loro.

Sempre le solite convinzioni sul fatto che i profitti delle aziende siano intoccabili, che l’unica manovra utile alla fiscalità d’impresa siano tagli. Dice che lo Stato deve intervenire con un pacchetto emergenziale a sostegno delle famiglie, per bloccare il costo delle bollette ma poi diventa un po’ Boris quando le viene chiesto dove intende reperire i fondi.

Insomma, uno stile diverso ma la stessa forma di miopia nei confronti del quadro generale. Ora che c’è da “uscire dalla tempesta”, come ha detto in un’enfasi alla Churchill, si vedrà se mentre imparava ad arrampicarsi fino in cima, ha appreso anche come ci si resta.

Una gaffe transoceanica

Per ora, da segnalare in concreto c’è solo un passo falso e mica di quelli lievi. Nel discorso al Parlamento Truss ha toccato il tema del protocollo concluso con la UE per il mantenimento di un confine aperto tra le due Irlande nel post-Brexit. Ha detto che «la (sua) preferenza va nella direzione del negoziato, ma l’accordo dovrà soddisfare tutte le richieste già elencate, prima che la situazione sfugga». Un negoziato scritto da una parte sola, chissà perché non ci aveva pensato nessuno!

La neo premier Liz Truss

Tale approccio non è piaciuto ai colleghi statunitensi che non hanno lasciato passare neanche un giorno per inviare un caloroso messaggio attraverso la portavoce della Casa Bianca che ricorda come «un tentativo di smontare il protocollo per l’Irlanda del Nord non crea l’ambiente favorevole ad altri accordi di tipo commerciale tra UK e USA». Tradotto dal politichese: quella tua legge non s’ha da fare.

Un messaggio che si rivela anche nella diversa formulazione che le due parti danno della prima telefonata con Joe Biden dopo l’elezione. Gli inglesi dicono che i due «hanno concordato sull’importanza di proteggere il Good Friday agreement», mentre la Casa Bianca ci mette il carico, dichiarando che «hanno discusso l’impegno comune a proteggere i benefici dell’accordo di Belfast e l’importanza di raggiungere un accordo negoziale con l’Unione Europea per il protocollo dell’Irlanda del Nord». Le parole, si sa, possono essere molto pesanti.

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