La mattina del 2 agosto 1980 una bomba esplose alla Stazione Centrale di Bologna. Quel giorno migliaia di italiani stavano transitando da quello snodo ferroviario – allora come oggi il più importante in Italia –, molti per raggiungere le le località di mare e le agognate vacanze estive. La scelta del giorno e dell’ora non fu certo casuale e l’effetto della deflagrazione fu devastante: 85 persone furono uccise e altre 200 rimasero ferite, alcune gravemente. L’orologio della Stazione Centrale di Bologna rimase bloccato sull’ora dello scoppio, le 10.25 e da allora, a imperitura memoria, non è mai stato sostituito.

Per quell’attentato nel novembre del 1995, dopo quindici anni di indagini e depistaggi, Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, membri dei Nuclei Armati Rivoluzionari (organizzazione terroristica di estrema destra), furono condannati all’ergastolo. Entrambi si sono sempre dichiarati innocenti. Fra i processati e condannati a pene detentive per aver sostenuto i terroristi e aver ostruito la giustizia ci furono anche Licio Gelli, capo della famigerata Loggia P2, e Pietro Musumeci, ufficiale dei Servizi Segreti militari italiani. Due anni fa, nel gennaio 2020, Gilberto Cavalli venne riconosciuto colpevole di favoreggiamento.

Un doloroso anniversario

In questo 42° anniversario , come ogni anno dal 1980, i cittadini di Bologna hanno osservato alle 10.25 un minuto di silenzio, commemorando le vittime i cui nomi sono custoditi su una targa all’interno della stazione. Fra quei nomi c’è anche quello del veronese Davide Caprioli, che come molti quel giorno si trovava sfortunatamente a Bologna per raggiungere il mare.

Un’immagine scattata pochi minuti dopo lo scoppio della bomba, il 2 agosto 1980

«Se la posta in gioco è la creazione di uno Stato inteso come bene comune il nostro impegno civile non dovrà mai cessare», ha affermato oggi Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione Familiari delle Vittime, parlando di fronte a migliaia di persone che si sono radunate nel piazzale di fronte alla stazione e che da quarantadue anni non hanno mai smesso di ricordare questa tragedia per spingere le autorità a cercare verità e giustizia.

L’attentato costituisce ancora oggi motivo di acceso dibattito, visto che permangono seri dubbi sul fatto che siano state davvero catturate le menti che si celano dietro l’attacco. Di certo c’è solo che non si è appurata tutta la verità sulla vicenda e anche per questo l’Italia intera non è ancora riuscita a “far pace” con uno degli eventi più sanguinosi della sua storia più recente. Sulla vicenda alcuni anni fa i veronesi Stefano Paiusco e Raja Marazzini hanno scritto e portato in scena uno splendido monologo teatrale, che racconta le vicende di quei giorni e pone tante domande.

Una modalità collaudata

L’evento avvenne secondo le “modalità” con cui i terroristi di estrema destra avevano già precedentemente operato in Italia durante il periodo della tensione inaugurato con la strage di Piazza Fontana nel 1969 a Milano e proseguito almeno fino al 1974, con l’attentato al treno Italicus. Cinque anni di sangue e puro terrore, con centinaia di morti disseminati in lungo e in largo nello Stivale.

Sebbene ci sia chi afferma che l’attacco alla Stazione di Bologna sia stato progettato da altri (per anni si è parlato anche di una “pista palestinese”, mai confermata dalle indagini) allo scopo di imitare le tattiche dell’estrema destra radicale e scaricare su di essa la colpa, non è stato in realtà solo l’attacco in sé ma anche l’obiettivo stesso a ricordare ciò che i terroristi avevano inflitto all’Italia negli anni precedenti: in fondo la loro strategia è sempre stata quella di piazzare bombe dentro o vicino ai treni, quasi sempre in prossimità o durante l’estate, in modo da causare il numero massimo di vittime civili.

Un problema non solo italiano

A livello internazionale, date anche le crescenti tensioni tra l’Occidente e il blocco del Patto di Varsavia, l’anticomunismo era diventato un potente strumento di reclutamento per la destra radicale in Europa e aveva offerto ancora una volta l’opportunità di formare alleanze con gli ambienti conservatori, come i Servizi Segreti di Stato. Non sorprende, dunque, che un po’ ovunque in Europa l’estrema destra avesse avviato da tempo una vera e propria campagna di terrore per influenzare la politica dei singoli Paesi e spingerli ulteriormente a destra. La campagna iniziò nuovamente nel febbraio 1980 e durò, con alcuni intervalli, almeno fino al biennio ‘84-‘85, quando il regime di Mosca iniziò a vacillare, anche grazie all’avvento di Mikhail Gorbaciov e della sua perestrojka. Tanto che pochi anni dopo, con la caduta del muro di Berlino, nel 1989, e il crollo dell’Unione Sovietica, nel 1991, il pericolo comunista, almeno per come era stato vissuto dall’Occidente durante il periodo della Guerra Fredda, non aveva più motivo di essere sbandierato.

Nel frattempo, però, anche Francia e Spagna avevano cominciato a subire una serie di attacchi da parte delle destre locali e poche settimane dopo Bologna una bomba esplose all’Oktoberfest di Monaco di Baviera, il 26 settembre 1980, uccidendo 13 persone. Data la vicinanza temporale di questi due ultimi attentati si pensò subito a un collegamento diretto tra i terroristi italiani e l’autore della strage tedesca, Gundolf Köhler. Dopo anni di indagine, però, il pubblico ministero tedesco non è riuscito a trovare ulteriori co-cospiratori o sostenitori di Köhler, il quale aveva commesso l’attentato per tentare di influenzare la politica della Germania occidentale a favore di un cambiamento conservatore.

Le dinamiche interne all’estremismo di destra italiano

In Italia la situazione politica del 1980 era “fluida”, anche se al contrario della Germania all’epoca non si stavano profilando nuove elezioni politiche. Francesco Cossiga aveva formato da pochi mesi, nell’aprile 1980, un fragile governo di coalizione tra la sua Democrazia Cristiana, il Partito Repubblicano e il Partito Socialista di Bettino Craxi. Nelle elezioni regionali del giugno 1980 la stessa Democrazia Cristiana aveva ottenuto un buon successo e i terroristi di destra ritenevano, probabilmente, che destabilizzando l’ordine pubblico questa tendenza avrebbe potuto essere ulteriormente acuita, ponendo così fine al coinvolgimento nel Governo dei socialisti.

La rivalità tra le diverse fazioni all’interno di un ambiente terroristico è spesso un fattore importante per spiegare un processo di radicalizzazione. Mentre la strategia della tensione dei primi anni ’70 era dominata da una forma di terrorismo reazionario di destra, la seconda metà del decennio vide l’emergere di un’eterogenea “spontaneità armata” di estrema destra, che mostrava somiglianze con l’idea americana di resistenza senza leader degli anni ’70 e ’80. Tanto che nella seconda metà degli anni ’70 furono messi da parte gli esponenti della strategia della tensione come ad esempio Stefano Delle Chiaie. Quando l’apparato di sicurezza fu in grado di arrestare esponenti della fazione della spontaneità armata, la vecchia guardia del terrorismo di estrema destra colse l’opportunità per riprendere il controllo sull’ambiente e non a caso la bomba di Bologna ne fu solo una delle conseguenze di questo nuovo equilibrio.

Una domanda che rimane aperta

Rimane però aperta una domanda cruciale: perché i terroristi arrestati continuano a negare tutte le accuse? Diffondere terrore e paura è un aspetto centrale di ogni gruppo terroristico. Quindi, quando negano il loro coinvolgimento nell’attacco, che è rimasto avvolto nel mistero per decenni, mirano probabilmente ad aumentare il senso di disagio e la sensazione che qualcosa di simile possa prima o poi accadere di nuovo, ovunque e in qualsiasi momento, perché in realtà i veri responsabili sono ancora fuori. Liberi. Ipotesi, peraltro, che come abbiamo visto non si può del tutto escludere.  

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