Con le vacanze imminenti si acuisce il fenomeno del randagismo. Molti proprietari di cani e gatti scoprono improvvisamente di non voler più quell’animale che era parte della famiglia e decidono di consegnarlo a un rifugio. Oppure di compiere il più alto (o basso) tradimento nei suoi confronti: lo lasciano legato da qualche parte, risalgono nella loro bella auto e raccontano ai figli che Pluto si è perso e non si trova più.

Abbandonare è un reato

Da oltre trent’anni il fenomeno è normato in Italia dalla “Legge quadro in materia di tutela degli animali d’affezione e lotta al randagismo” (L. 281 del 14 agosto 1991), che, nell’ambito dei numerosi decreti e regolamenti attuativi, ha istituito l’Anagrafe degli animali da compagnia, la reportistica delle regioni in tema di randagismo, adozioni e sterilizzazioni, cosi come un fondo da un milione di euro che il ministero della Salute devolve alle regioni per la tutela del benessere animale e per la lotta all’abbandono.

A questa normativa si aggiungono da poco alcune novità importanti. Pochi mesi fa è stato modificato l’art. 9 della Costituzione per includere il benessere animale tra i nostri principi costituzionali. E il ministero ha annunciato l’imminente lancio dell’Anagrafe Nazionale, in cui confluiranno tutti i dati regionali per un miglior presidio del fenomeno e un migliorato sistema informativo, mirato alla tracciabilità degli amici pelosi, sia in situazioni fisiologiche, come un’adozione fuori regione, sia in caso di smarrimento o abbandono.

Foto di Line (Frosty), Pexels.

Anche i gatti avranno il microchip

Inoltre, con il recepimento del regolamento europeo n. 429 del 2016, si allargherà il controllo anche alle strutture che hanno avuto in cura gli animali, rifugi, pensioni e ovviamente veterinari. Verrà introdotto anche l’obbligo di microchip per i gatti, che finora erano ammessi a un regime di sola volontarietà.

Romano Giovannoni, presidente di Enpa Verona, è entusiasta del successo di una battaglia che l’associazione porta avanti da anni. «Finalmente vediamo un piccolo passo avanti verso la consapevolezza – commenta –. Aggiungere l’obbligatorietà per i gatti forse non sarà risolutivo per il problema dei randagi e degli abbandoni, ma serve sicuramente a iniziare un cambiamento culturale nei proprietari, che vedono il loro micio riconosciuto come una sorta di persona avente diritti».

Una famiglia su tre ha un animale

Analizzando i dati forniti dalle regioni e raccolti dal ministero della Salute, è evidente come la pratica nei confronti dei felini sia ancora marginale e lasci quindi ampi spazi di miglioramento. Nel nostro Paese, si stima che una famiglia su tre abbia aperto le porte a un membro peloso, si parla di oltre 30 milioni di animali. Di questi circa la metà sono già dotati di microchip: si tratta di 13,5 milioni di cani e solo un milione di gatti, riferiti molto probabilmente alle colonie feline registrate o alle poche regioni dove è obbligatorio, come la Lombardia. In Veneto sono registrati 1.400.000 cani e circa 125.000 gatti.

Non solo microchip, urge sterilizzare

Tornando ai felini, sono circa 80.000 ogni anno gli abbandoni ogni anno. Un vero incubo per i volontari che si ritrovano spesso a raccogliere sacchi o cartoni pieni di mici appena nati, solo perché non si è praticata una banale sterilizzazione della gatta di casa.

Emanuela Giarraputo, presidente diell’associazione Animalisti Verona

«Verrebbe da chiedere che diventi questa obbligatoria, sia per i gatti che per i cani – azzarda Emanuela Giarraputo, presidente di Animalisti Verona. – Non sono convinta che il microchip migliorerà più di tanto la condizione dei felini, finché non si cambia sotto il profilo culturale. Ci sono troppi animali che girano liberamente, senza un controllo da parte dei proprietari, che poi, quando capita “l’imprevisto” non sanno fare di meglio che buttare via i cuccioli. I veterinari hanno le mani legate, non possono costringere al microchip, solo suggerirlo. Come accaduto per i cani, una legge aiuta come deterrente, ma temo che non sarà abbastanza.»

Giovannoni concorda sul fatto che un obbligo possa non essere sufficiente, ma «è un’occasione per informare tutti i proprietari sulla natura di un animale che finora è sempre stato considerato autosufficiente e quindi abbandonato con maggior facilità. La gente pensa che un micione abituato al divano sia in grado di cavarsela, di cacciare il cibo e soprattutto di non finire tristemente sotto una macchina. Purtroppo non è così, lo vediamo dai recuperi di ogni giorno. Il microchip può dare dignità al gatto come membro della famiglia, è davvero un passo necessario e nella giusta direzione».

I luoghi comuni che favoriscono l’abbandono

Insieme alla sterilizzazione, ben venga quindi il microchip e una presa di coscienza dei proprietari sugli assurdi preconcetti che circondano i felini:

  • no, un gatto non “deve vivere libero”, è perfettamente felice anche in appartamento;
  • no, un gatto lasciato per strada non “si arrangia”, anzi non sopravvive quasi mai e se abbandonato in una colonia è vittima di aggressioni;
  • no, un gatto non “si procura da solo il cibo” dopo che è stato abituato a una comoda ciotola.
Un gatto domestico non riesce facilmente a sopravvivere in strada. Foto di Barış Erdoğan, Pexels.

Queste sono solo bufale che contribuiscono ad alleggerire il senso di colpa e amplificano il problema degli abbandoni. Quando si accoglie in casa un animale, inizia una relazione che dura per tutta la vita, in salute e in malattia. Un animale ha la sua dignità di essere senziente, bisognoso e prodigatore di affetto.

Non è un giocattolo, è un membro della famiglia. Se non bastano fusa e pance rovesciate a ricordarcelo ogni giorno, speriamo nel microchip per elevare il nostro senso di responsabilità nei confronti del suo benessere.

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