Oggi bancaria, con in passato un ruolo di assistente amministrativa alla Prefettura di Verona, fondatrice dell’associazione “Afroveronesi“, entra nel Consiglio comunale di Verona a soli 28 anni per le preferenze ricevute alle amministrative all’interno della lista “Damiano Tommasi sindaco”. E a metà luglio sarà lei a presiedere il primo consiglio comunale dell’era post Sboarina.

Mamma e papà operai, una sorella neolaureata che fa l’infermiera in un reparto oncologico. Vivete in Borgo Roma, quartiere spesso visto come difficile.  È anche la sua esperienza?

«Ci sono delle criticità ma è pur vero che è un quartiere ricco di iniziative. Un quartiere che non può essere visto solo dal punto della sicurezza e che ha bisogno di risposte concrete, che non siano né il semplice allarme a cui non segue un’azione, oppure una scelta di intervento esclusivamente repressiva. C’è una grande voglia di aggregazione, ma mancano gli spazi, molti giovani si riuniscono al parco ma non hanno luoghi adatti per svolgere attività diverse e quindi spero che con questa giunta si possano creare spazi per loro. Considerando la pandemia, la didattica a distanza, la difficoltà di relazione, quante rinunce i nostri ragazzi hanno dovuto subire, è quindi necessario soprattutto intervenire a favore di questa fascia d’età, che è molto delicata, come ci dimostra anche il fenomeno delle baby gang.»

Infanzia e percorso scolastico a Verona, superiori alle Einaudi. Si è mai sentita “diversa”?

«Penso che la diversità non debba essere condannata. Da una parte io ho fatto un percorso personale per cui adesso è molto facile per me dichiarare che mi piace essere anche un po’ quella “macchiolina diversa” in questa città. Dall’altra parte sono convinta che tutte le persone dovrebbero essere fiere della ricchezza che è la diversità. È chiaro che, in realtà, non è un percorso sempre così facile soprattutto quando ti trovi come minoranza. Non ti senti diverso finché non sono gli altri a vederti e farti sentire come tale. Io devo dire che, nel mio percorso di vita, non sempre mi sono sentita adeguata qui a Verona, anche se poi va sottolineato che, se pure ci sono persone che non accettano la tua presenza in una città, a tante altre invece non importa il fatto che tu sia diverso. Io, alla fine, sono nata e vissuta in questo ambiente, non ho fatto il percorso di una persona che viene da fuori, per cui certe situazioni non sono sempre riuscita a leggerle correttamente. Di fatto questa è la mia città e da una parte ho tutta quella mentalità che proviene dall’essere veronese e dall’altra la ricchezza di un altro punto di vista, che mi hanno trasmesso i miei genitori, originari del Togo.»

Veronica Atitsogbe

Come diceva, la sua famiglia prende origine dal Togo. Ha conoscenza diretta di quel Paese?

«Sono una di quelle persone fortunate che ho avuto la possibilità di andarci quattro volte e ogni volta ci lascio il cuore perché è un popolo davvero molto accogliente, mi fanno sentire parte integrante della famiglia. Il Togo è un Paese complesso, un territorio bellissimo, che consiglio di visitare, ma dal punto di vista politico c’è una gran voglia di un cambiamento che però non sta arrivando. I miei coetanei sono molto disillusi, un po’ come per i giovani europei, salvo che la loro attesa dura da almeno trent’anni. Come Paese che ha vissuto la colonizzazione francese, non mostra un grande incompatibilità con la cultura occidentale, anzi. Direi che è molto matriarcale, le donne sono molto molto indipendenti ed è la parte più forte anche della mia famiglia.»

Ora che professione svolge?

«Sono bancaria, ma ho concluso un’esperienza importante come assistente amministrativa presso la Prefettura di Verona. Esperienza che nasce probabilmente dalle esigenze del mio contesto familiare, di quando i miei genitori erano ancora stranieri e, di conseguenza, bisognava essere abili a capire quali fossero le documentazioni importanti da tenere. Ho sempre amato navigare nelle scartoffie. È stata una bella esperienza poter in qualche modo dare un contributo e lavorare in una materia che mi piace, soprattutto quello dell’immigrazione percui ho bellissimi ricordi.»

Quali sono i maggiori scogli per un migrante qui a Verona?

«Verona è una città ricca anche rispetto ad altre città, alcune difficoltà sono meno visibili rispetto ad altri contesti, come il Sud Italia. Una concreta difficoltà che mi raccontano sta nel trovare un appartamento in affitto, ricerca quasi impossibile pur avendo un lavoro stabile e documenti regolari. È piuttosto facile invece trovare lavoro, anche se poi bisognerebbe approfondire a quali condizione viene offerto.»

Veronica Atitsogbe

Con la sua esperienza in prefettura e come cofondatrice dell’associazione “Afroveronesi”, ci sono Paesi d’origine o condizioni culturali che secondo lei sono più in difficoltà nell’accettare e condividere i nostri valori?

«Credo sia in realtà un falso problema, legato non a una cultura o a particolari Paesi di origine quanto alla volontà del singolo di integrarsi. Ho visto tantissimi che hanno preferito evitare la comfort zone delle comunità affini e chiuse per mescolarsi con gli italiani e imparare in fretta la loro cultura. Verona dispone di un Terzo settore straordinario e ricco di offerte, soprattutto per le persone che arrivano qui in Italia. Quello che manca piuttosto è il supporto economico da parte del governo o del Comune.»

In un’intervista a “Il Fatto Quotidiano”, ha affermato: “Ho potuto fare tutto questo grazie alla cittadinanza italiana che ho avuto la fortuna di ottenere fin da piccola: era un requisito necessario per l’Erasmus, per il lavoro in prefettura…”. Qual è il suo punto di vista rispetto alle proposte oggi sul tavolo, come lo ius culturae o lo ius soli?

«Io davvero non credo ci sia una posizione giusta o sbagliata, nel senso che credo sia un necessario dare la cittadinanza a ragazzi nati e cresciuti in Italia. Quando frequentavo la scuola dell’obbligo, non ho visto questa differenza tra i ragazzi, anzi. Penso che le scuole siano proprio un motore di inclusione, dove persone con origini diverse ma cresciute qui hanno le stesse possibilità delle altre. Non capisco quindi perché poi debbano trovarsi di fronte a certe scelte: ad esempio, non avere la cittadinanza rende problematico partecipare ad esperienze e percorsi come l’Erasmus. La scelta tra ius culturae e ius soli in realtà credo sia un falso problema, in quanto non fa altro che creare nuove differenze e divisioni. La legge risale a trent’anni fa e l’Italia in questi anni è cambiata: sarebbe arduo persino definire cosa sia l’italianità. Il fatto è che, se da una parte vogliamo immigrati per lavorare nelle nostre campagne, è allora necessario, una volta che si siano stabiliti qui e abbiano messo su famiglia, riconoscere i loro figli come parte integrante di questa società.»

Verona è una città con un elettorato storicamente di destra. Qual è stata la chiave per la vittoria?

«La chiave vincente è stata coinvolgere più parti della città. Noi nasciamo come lista civica e questo ci ha permesso di coinvolgere personalità che non avevano finora avuto a che fare con il mondo politico. Abbiamo fatto una campagna diversa, con l’associazionismo e creando una rete dove davvero tutti i partiti e tutte le liste hanno collaborato in tutto e per tutto nella scrittura del programma e nel fare campagna elettorale. Lo abbiamo visto nelle camminate all’interno dei quartieri o negli eventi, dove la gente era molto partecipe. Quando abbiamo deciso di identificarci semplicemente con una maglietta gialla definendoci come “l’onda gialla” che dipingeva la città, moltissimi ci chiedevano le magliette per strada perché volevano essere coinvolti. Ha partecipato una marea di giovani che ne ha coinvolto poi altri. Igiovani hanno voglia di fare, di stupire, di dire la propria e di sentirsi parte della città. Sono ancora molto fresche in me le emozioni, perché non ho mai visto la città in questo modo.»

L’ultima parte della campagna elettorale ha visto uno scontro molto duro tra i candidati. C’è qualche tema e scelta dell’ex sindaco che le ha dato fastidio?

«Io in realtà penso che sia stato davvero molto positivo da parte nostra non rispondere alle provocazioni che sono state fatte: mi riferisco a temi secondo me ormai superati come l’invasione o l’uso scorretto di meme. Credo, invece, che le persone ci abbiano premiato, perché ci troviamo in una situazione molto delicata e c’è voglia di risposte concrete, non di un modo di fare campagna elettorale ormai vecchio. Il messaggio è stato recepito, ed era: “non abbiamo tempo per rispondere a situazioni che avete creato voi stessi, noi vogliamo veramente lavorare su altro e sulla città”. E lo avremmo fatto anche se non avessimo vinto.»

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