I dati divulgati questa mattina al congresso regionale e territoriale di Uila-Uil, il sindacato di settore dei lavori agroalimentari, tenutosi oggi a San Giovanni Lupatoto, riportano che in Veneto la raccolta e il lavoro nei campi, ma anche nelle tante attività turistiche è svolta sempre più da lavoratori stranieri e immigrati. Lo sottolinea Giuseppe Bozzini, segretario regionale di Uila-Uil, riconfermato per il prossimo quadriennio.

I numeri inoltre sottolineano che il Veneto il 97,8% dei lavoratori nel settore agricolo è a tempo determinato e gli stranieri costituiscono il 70% della forza lavoro. Il nero si attesta al 14%, un dato superiore rispetto al altri settori (9%) ma inferiore alla percentuale nazionale in agricoltura (24%). Attività che non interessano i giovani, alla ricerca di attività più in linea con i propri progetti di realizzazione o con migliori condizioni retributive.

Da sinistra, Daniele Mirandola, segretario territoriale Uila di Verona e Trento, Stefano Mantegazza, segretario nazionale di Uila-Uil, e Giuseppe Bozzini, segretario Uila-Uil Veneto.

E l’occupazione dipendente è scesa da 80.500 addetti del 2020 a 73.000 del 2021, anno in cui le assunzioni sono 71.290 a tempo determinato (97,8%), 1.375 a tempo indeterminato (1,9%) e 260 in apprendistato (0,4%).

La ricaduta dei contratti a termine

«Il rischio è che in prospettiva la difficoltà si manifesti anche nelle aziende alimentari – ha dichiarato Bozzini -, a causa dell’eccessivo utilizzo dei contratti a termine, al ritmo logorante e spersonalizzante delle catene degli impianti di produzione. Di fatto, siamo fermi da vent’anni con i salari rispetto alla crescita economica».

Il segretario regionale Uila-Uil ha stigmatizzato la politica, che insieme ad alcune associazioni di categoria «ha ritenuto la manodopera un fattore invasivo e nello stesso tempo necessario, da utilizzare e pagare con voucher. Il risultato è aver prodotto fenomeni di sfruttamento e fuga di braccianti dai nostri territori. I lavoratori dell’Est europeo ormai si stanno spostando in altri Paesi della comunità Europea, dove trovano accoglienza e salari migliori».

Il 40% delle aziende non innova per contenere i costi

Inoltre, a fronte di un peso significativo del settore agroalimentare per l’economia della regione, in questi anni secondo Bozzini «si sono dirette risorse particolari solo verso chi detiene la produzione. I problemi legati al clima e all’ambiente, e le pandemie come Covid, aviaria, peste suina, hanno evidenziato l’urgenza di cambiare modalità nel fare agricoltura, che va pensata anche come attività fondamentale per la salvaguardia della vita e il rispetto della natura».

Il numero delle aziende agricole attive nel registro delle imprese delle Camere di Commercio 2020 venete è di 61.397, di cui il 25% a Verona, seguita da Treviso (23%), Padova (19%), Vicenza (12%), Rovigo (8%) e Belluno (3%). Le imprese attive nell’industria alimentare vedono primeggiare Treviso con il 20%, seguita da Verona con 708 (19%) a pari merito con Padova. Seguono Vicenza, Rovigo e Belluno.

Ben il 40% delle aziende non ha ancora adottato tecnologie per ridurre il consumo di risorse primarie, come acqua ed energia e migliorare la produttività.

Da sinisitra, Daniele Mirandola e Giuseppe Bozzini, rispettivamente segretario Uila-Uil Verona e Trento e segretario Uila-Uil Veneto.

Energia e caporalato: due sfide da vincere

«In questo contesto, tra guerra in Ucraina, aumento dei costi energetici e riscaldamento globale – ha detto Daniele Mirandola, anch’egli riconfermato per i prossimi quattro anni come segretario territoriale della Uila di Verona e Trento -, le aziende agricole dovranno cambiare visione. Dovranno quindi essere messi in atto progetti di produzione di biogas, di copertura fotovoltaica degli edifici agricoli e zootecnici o dei bacini idrici, evitando il consumo di suolo destinato a produzione alimentare».

In merito al tema dello sfruttamento, Stefano Mantegazza, segretario generale nazionale di Uila-Uil, ha sottolineato che sarà presentata una modifica alla legge 199 sul caporalato, per «valorizzare l’incontro tra offerta e domanda di lavoro gestito dalle parti sociali e dagli enti bilaterali. L’idea è di copiare dalla Spagna, con un provvedimento di legge che faccia costare molto di più il lavoro a tempo determinato, in modo da ridurne la quantità.Difendere i salari dall’inflazione è un’ulteriore sfida, che indichiamo nella riduzione del costo contributivo, in Italia pari al 46% e strangola sia le imprese, sia i lavoratori».

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