Madame e Faggin, profondità e coscienza quantistica
Il genio tecnologico incontra la sensibilità cantautorale. Generazioni a confronto sul palco con Madame e Federico Faggin in occasione del Premio Basilica Palladiana.
Il genio tecnologico incontra la sensibilità cantautorale. Generazioni a confronto sul palco con Madame e Federico Faggin in occasione del Premio Basilica Palladiana.
Una rassegna per dare risalto a personaggi illustri che portano con onore il vessillo veneto nel mondo. Durante la 58esima edizione del Premio Basilica Palladiana, tenutasi in Villa Sesso Schiavo a Sandrigo (Vi) lo scorso fine maggio, la Pro Loco comunale ha consegnato il prestigioso riconoscimento a due soggetti di vanto, ciascuno nel proprio settore.
Da un lato l’ingegnere e imprenditore Federico Faggin, inventore del microchip e fondatore di imprese che hanno dato un senso a termini come “innovazione” e “tecnologia”, dall’altro, per la categoria Giovani Emergenti, Madame, nome d’arte della cantante vicentina Francesca Calearo, una talentuosa ventenne che, con i suoi testi sensibili e impegnati, sta dando voce a un’intera generazione.
Durante la conferenza stampa prima e poi accompagnati dalle domande del direttore del Giornale di Vicenza, Luca Ancetti, e del giornalista Antonio di Lorenzo, i due hanno dato prova di una particolare sensibilità e intelligenza, intesa come capacità di guardare negli occhi la realtà, un’empatia che fa di loro degli interlocutori privilegiati con il mondo che ci circonda.
Tra le domande più acute, un confronto sul senso di responsabilità nell’esprimere un linguaggio che si discosta dalla massa, un rapporto particolare con il “binario” – inteso come coding informatico da una parte, e come questione di genere dall’altra.
Entrambi hanno confermato la necessità di oltrepassare le apparenze, per approcciarsi ad un livello che vada a dar voce alle emozioni e alle sensazioni che ci contraddistinguono come umani. La previsione è quella di superare le barriere e le definizioni particolari, permettendo quella libertà di espressione e quell’infinità di sfumature che rendono ciascuno di noi unico e parte di un continuum di percezioni.
La banalità, insomma, non è stata di casa nelle risposte dei due e tale tendenza si è confermata anche al punto successivo: “Cosa chiedereste all’altro?”, momento in cui, accomunati dalla passione per la filosofia e dalla curiosità verso la natura delle persone, i due si sono palleggiati considerazioni sulla coscienza, sulla capacità di fare propri punti di vista appartenenti all’altro e conoscerlo da dentro. E si sono ritrovati nella condivisione di uno sforzo: dare voce e spazio alle emozioni più intime, creando così vero spazio di incontro e comunicazione tra le persone.
La conferenza stampa, insomma, può a buon diritto essere paragonata a quel momento di “confessionale” che Madame stessa istituisce durante i suoi concerti, in cui gli spettatori possono dar voce alle riflessioni più intime.
A questa sono seguite le interviste separate ai due ospiti, che hanno rivelato aspetti curiosi e non banali della loro esperienza professionale e personale. In particolare, è stato interessante ascoltare l’aneddoto che vede una Francesca, non ancora Madame, adolescente, non avere una calligrafia specifica.
Come se, dice lei stessa “non avessi un’identità e cercassi di prendere in prestito quella delle persone intorno a me, mi esprimessi mascherandomi dietro forme e simboli non miei”.
E poi, ancora, seguirle nelle sue riflessioni sul peso specifico del silenzio, quel pozzo, come lo definisce la stessa Madame, da cui dovremmo poter pescare risorse, pensieri, emozioni. E lei in quel pozzo si rifugia, mai soddisfatta, sempre scomoda nelle sue vesti, e sempre in ricerca.
L’intervista è continuata toccando il valore dello stare sul palco, un’attività cantautorale che è quasi più un esercizio didattico:
“Non mi interessa confermare il mio successo ma procedere nella mia missione, che è trasmettere insegnamenti, come se mi fosse permesso di stare su una cattedra privilegiata dalla quale mi rivolgo a migliaia di persone e da cui posso ascoltare i loro messaggi.”
E la ventenne affronta anche il rapporto fra gli alter-ego che la animano, Francesca-Madame, e spera solo di poter continuare a essere specchio per i suoi fan, di mantenere con loro quel contatto diretto e senza filtri, e di approfondire la sua ricerca e la sua connessione con l’animo umano attraverso la sua sensibilità e i suoi testi, con l’obiettivo, come dice lei, di scrivere come De André.
Anche Faggin, intervistato in seguito, ha regalato al pubblico una sequenza di contenuti preziosi.
A partire dall’excursus della sua vita, dalla passione per gli aeroplani alla fisica all’ITIS, passando per l’invenzione del microchip Intel 4004 nel 1971 e della tecnologia MOS, che hanno reso possibili supporti digitali portatili come le chiavette USB – per non parlare di touchpad e touch-screen, inventati in una sua azienda nei primi anni Novanta.
Ma se queste scoperte gli hanno valso diverse lauree honoris causa e riconoscimenti come la Medaglia d’oro per la Scienza e la Tecnologia della Presidenza del Consiglio Italiana nel 1988, la National Medal of Technology and Innovation, consegnatagli da Obama nel 2010, e il titolo di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana nel 2019, è sulla sua nuova passione (e occupazione) che si è concentrato: la coscienza quantistica.
Negli ultimi decenni, infatti, la sua attenzione si è spostata dal materialismo al coscienzialismo, perché, come afferma
“Tutto ciò che viviamo è filtrato dalla nostra coscienza e noi conosciamo perché siamo esseri con coscienza. Le macchine non arriveranno mai ai nostri livelli perché sono incapaci di emozioni”.
Più che un intervento, il suo è stato una lectio magistralis di filosofia, in cui ha riassunto concetti importanti e di spessore. Uno fra tutti, la teoria per cui, dato che ogni nostra cellula contiene parte del nostro genoma, ciascun nostro elemento-base porta in sé la conoscenza del tutto, è parte dell’Uno.
La sua conclusione è che saremo sempre superiori alle macchine, dato che queste sono “sistemi soltanto classici, fatti di transistori e interruttori in sequenza, che rimbalzano informazioni senza condividere la conoscenza del tutto. Noi, invece, siamo sistemi classici e quantistici e la nostra coscienza non dipende da algoritmi”.
In conclusione, una rassicurazione definitiva: il prossimo futuro non sarà come nei film di fantascienza, e potremo dormire sogni tranquilli, in cui i computer non prenderanno il sopravvento.
Questo il commento, condiviso, dei due ospiti.
E, per il pubblico, l’opportunità incredibile di assistere ai ragionamenti di due persone profondissime, accomunate da un profondo rispetto per la natura umana e da una sincera curiosità per le sue sfaccettature.
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