Il referendum sulla giustizia alla prova del voto
Domani, oltre alle elezioni amministrative in 26 capoluoghi di provincia italiani, nelle urne porteremo anche le cinque schede per il referendum sulla giustizia proposto dal centro-destra.
Domani, oltre alle elezioni amministrative in 26 capoluoghi di provincia italiani, nelle urne porteremo anche le cinque schede per il referendum sulla giustizia proposto dal centro-destra.
Giornata di elezioni per l’Italia, quella di domenica 12 giugno. Sono 26 i capoluoghi di provincia che si preparano ad eleggere i nuovi amministratori locali, ma c’è anche il referendum sulla giustizia, promosso dal centro-destra, a rappresentare un altro banco di scontro. Un referendum molto tecnico, da “addetti ai lavori”, e per questo ad alto rischio di disaffezione per gli elettori distratti da temi più urgenti e concreti, come il rincaro energetico e il conflitto tra Ucraina e Russia.
Vediamo in particolare cosa dovranno scegliere i cittadini italiani e cosa accadrà nel caso venga raggiunto il quorum ( il 50% più uno) degli aventi diritto.
Il primo quesito ( scheda di colore rosso) chiede di cancellare la cosiddetta Legge Severino, il decreto legislativo che prevede l’incandidabilità, l’ineleggibilità e la decadenza automatiche per parlamentari, rappresentanti di governo, consiglieri regionali, sindaci e amministratori locali che abbiano avuto una condanna definitiva per una serie di reati gravi contro la pubblica amministrazione.
Questa misura ha valore retroattivo e prevede, anche a nomina avvenuta regolarmente, la sospensione dalla carica se la condanna avviene dopo la nomina.
Agli amministratori locali si applica un regime più rigoroso: anche una condanna non definitiva ( quindi una sentenza per la quale non sono ancora trascorsi i termini per proporre appello) è sufficiente per l’attuazione della sospensione, che può durare per un periodo massimo di 18 mesi.
In caso di vittoria del sì, si tornerebbe alla legislazione precedente, in base alla quale l’interdizione dai pubblici uffici è una pena accessoria che il giudice, in caso di condanna, può applicare discrezionalmente. Voci del centro-destra bollano come “superflua” la norma, dato che il codice penale prevede già la disciplina generale. Peccato che le norme speciali siano tali perché disciplinano con maggior precisione fattispecie più complesse.
Il secondo quesito (scheda di colore arancione) chiede la limitazione dell’applicazione delle misure cautelari. In sostanza, si tratta di eliminare la reiterazione del reato dai motivi per cui i giudici possono disporre la custodia cautelare in carcere o i domiciliari per una persona durante le indagini e quindi prima del processo. Resterebbe in vigore la possibilità di carcerazione preventiva nei casi di rischio di fuga o inquinamento della prova e rischio di commettere un reato di particolare gravità “con uso di armi o altri mezzi di violenza personale”.
Il terzo quesito (scheda di colore giallo) riguarda la separazione delle carriere dei magistrati, per impedire loro, nel corso della loro carriera, di passare dalla funzione requirente (il pubblico ministero) alla funzione giudicante (il collegio giudicale). Il sogno di Berlusconi riappare a undici anni di distanza dalla riforma Alfano.
Resta ancora del tutto incomprensibile il motivo di tanto astio da parte di Lega e Radicali su questo punto, dato che se andiamo a vedere i numeri, dalla riforma Castelli del 2016 al 2021 su un totale di 8620 magistrati in servizio, il numero di passaggi dalla funzione giudicante alla funzione requirente ha coinvolto solo due magistrati su mille, mentre il percorso inverso solo tre su mille. Difficile, con questi numeri, parlare di “porte girevoli” come invece afferma certa stampa.
Dal 2006 – anno dell’entrata in vigore dell’art. 13 d.lgs. n. 160/2006 che ha ridotto a quattro il numero massimo di passaggi – al 2021, il numero dei passaggi effettuati dal medesimo magistrato è stato di regola uno solo; 39 magistrati hanno effettuato due passaggi, solo un magistrato ne ha effettuati quattro (peraltro in funzioni di legittimità civili).
Al quarto quesito (scheda di colore grigio) si parla invece della valutazione dei magistrati. Nel sistema giuridico italiano esistono i consigli giudiziari, organi che si occupano delle valutazioni dei magistrati poi sottoposte al Consiglio superiore della magistratura. Oltre ai magistrati ne fanno parte anche avvocati e professori universitari, ma solo i primi firmano i giudizi di merito. I promotori del referendum vorrebbero allargare, quindi, anche ad avvocati e professori universitari l’onere di partecipare a queste valutazioni.
Il quinto quesito (scheda di colore verde) mira – votando sì – ad abrogare l’obbligo per un magistrato di raccogliere da 25 a 50 firme per presentare la propria candidatura al Consiglio superiore della magistratura (Csm). L’organo di governo della magistratura è infatti composto da 27 membri ed è presieduto dal Presidente della Repubblica in carica.
Ci sono altri due membri che entrano di diritto, entrambi appartenenti alla Corte di Cassazione, ma gli altri 24 vengono eletti: 16 magistrati e 8 tra professori di materie giuridiche e avvocati, con almeno 15 anni di professione, scelti dal Parlamento.
Questo sistema, secondo i promotori del referendum, lascia troppo potere alle correnti in cui è diviso il “sindacato” dei magistrati, l’Associazione nazionale magistrati. Nel referendum quindi viene proposto di eliminare il numero minimo di firme.
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