Nato: un patto di sangue
Mai come in questi ultimi mesi il Patto Atlantico sembra aver trovato un senso alla propria esistenza. Ripercorriamone le tappe, dalle origini ai giorni nostri.
Mai come in questi ultimi mesi il Patto Atlantico sembra aver trovato un senso alla propria esistenza. Ripercorriamone le tappe, dalle origini ai giorni nostri.
Su molti giornali internazionali sono apparsi titoli esaltanti per la prova di forza della Nato contro l’invasione russa in Ucraina. “Nato is back” sembra essere il sentimento comune con l’Alleanza atlantica che pare tornata più grande e più forte che mai. Preferiamo sorvolare sul fatto che le parole usate rievocano il finale di Terminator, perché non ci sembra di buon auspicio. Vogliamo però portare un po’ di chiarezza su cosa sia la Nato, perché esista e come sopravviva.
La storia prende la forma di chi la racconta. E qui non si fa eccezione, ognuna delle parti in causa ha una versione diversa. Per Mosca è un progetto del nemico mirato a ridurre l’influenza geopolitica della Russia; per Washington, nasce come strumento per proteggere l’Europa da se stessa (e dal comunismo, ovviamente) per trasformarsi poi in un vettore di democrazia, diritti e, certo, capitalismo.
Nell’Europa stessa le visioni possono essere diverse, se non contrapposte: gli Stati orientali considerano la Nato uno scudo contro il ritorno dei carri armati russi nelle piazze, per quelli occidentali è servita a far convergere risorse sullo stato sociale piuttosto che sugli armamenti, resi quasi ridondanti dalla vigilanza attiva di una potenza nucleare.
Partiamo dal nome. Della traduzione “Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico” resta poco: non è un’organizzazione, non è legata da alcun trattato e ancor meno si può definire atlantica o nordica. Eppure, la definizione resta, risuona ancora come minaccia all’invasore.
Nato è poi un fenomeno culturale talmente radicato nel tessuto politico e militare europeo da sembrare quasi parte del paesaggio da sempre; migliaia di basi operative punteggiano l’Europa, ma ci sono intere cittadelle militari, scuole e accademie come il Defense College di Roma. La Nato ha un suo inno, un suo alfabeto, perfino un foulard di Hermés.
Creata nel 1949, nello stesso periodo di altre istituzioni ormai “vintage”, come l’ONU e il GATT, ora divenuto World Trade Organization, rappresenta l’alleanza tra 30 Stati, fondata in massima parte sull’articolo 5 (spesso citato nei reportage) che “vincola i membri a difendere collettivamente qualsiasi membro venga attaccato”. In ottica militare, lo spirito è chiaro fin dal primo segretario generale, Hastings Ismay, che ne definisce la missione nel “tenere fuori i russi, dentro gli americani e sotto i tedeschi”.
Sulla carta la Nato ha un budget piccolino, 2,5 miliardi di euro, a cui contribuiscono tutti gli Stati membri. In realtà può contare sulla spesa per la difesa americana, coi suoi roboanti 800 miliardi di dollari. Con lo stesso principio, ufficialmente le decisioni sono prese per consenso ma in pratica non si tenta nemmeno di nascondere chi comanda davvero. E no, non è la UE.
Facciamo qualche esempio tangibile. La sede formale è a Bruxelles ma il quartier generale a Norfolk, in Virginia (USA). Se uno Stato desidera lasciare la Nato deve dichiarare la sua intenzione al Presidente degli Stati Uniti e poi, semmai, alla Nato stessa. Tutti i comandanti supremi alleati sono stati prima ufficiali dell’esercito USA, che è anche il maggior contribuente in termini di risorse umane. Di fatto, praticamente tutte le guerre della Nato sono state guerre a matrice diretta o indiretta americana.
Il più efficace deterrente nelle mani della Nato è rappresentato dalle testate nucleari, con Francia, UK e USA che, almeno pro forma, ne coordinano la gestione per conto dell’alleanza. Ci sono numerose armi nucleari disseminate in Europa, anche in Italia, anche in Veneto, ma sono più che altro “di rappresentanza”. Non ci sono dubbi infatti che se la Russia lanciasse un’offensiva nucleare verso la UE, la risposta verrebbe da Washington.
La procedura richiede che, prima di reagire a un attacco, la Nato trovi un consenso interno e poi chieda la parte dei codici di lancio dei missili di base in Europa. Avrete già indovinato a chi.
A quella stessa persona che, invece, potrebbe decidere un lancio in totale autonomia, senza l’autorizzazione di altri membri della Nato. Lo stesso signore attempato che prova a stringere la mano a un manichino in un video diventato virale.
Dopo la seconda guerra mondiale, l’Europa ha bisogno di concentrarsi sulla ricostruzione e, con il beneplacito degli USA, si crea una prima alleanza, l’Unione Occidentale, basata sul trattato di Dunkirk tra UK e Francia esteso a Lussemburgo, Belgio e Olanda. Il progetto viene presto indirizzato da influenti diplomatici americani verso il format che diventerà la Nato.
La prima versione vede 12 Stati, con gli USA ovviamente al comando. La discussione sull’inclusione dei Paesi mediterranei si arena in un primo momento per motivi culturali, o forse razziali. Noi meridionali non abbiamo i lineamenti WASP che possano farci accogliere nel club dei Nord-atlantici e poi, in Italia sono numerose le manifestazioni anti-Nato. Tipo quelle che vediamo in questi giorni in Svezia, che probabilmente (non) avranno lo stesso effetto.
Con la ripresa economica, gli Stati europei cominciano a parlare di una Comunità di Difesa europea, che unisca gli eserciti di Francia, Italia, Benelux e Germania Ovest, ma divisioni interne e i timori che uno Stato potesse prevalere (fosse mai proprio la Germania, di nuovo) fanno tramontare l’idea e l’Europa riconosce nella Nato quella soluzione super partes che accontenta tutti.
Negli anni Sessanta, la fine della Nato sembra imminente; il presidente francese de Gaulle tuona contro “le bugie della Nato che mette l’Europa alle dipendenze degli USA senza che nessuno se ne accorga” e arriva perfino a uscirne, anche se solo a parole.
Un’altra botta arriva con le accuse di aver aiutato i colonnelli fascisti a prendere il Governo in Grecia nel 1967 e poi, nel 1974, con la crisi di Cipro tra Turchia e Grecia (entrambi Stati membri), ancora non risolta dopo quasi cinquant’anni. Più recenti sono i casi della Libia, con Francia e Turchia (e Italia) su fazioni opposte; per non dire di quando il presidente Macron dichiara la “morte cerebrale” della Nato in seguito agli attacchi della Turchia contro i curdi, alleati dell’Occidente nella guerra in Siria.
Ogni volta la Nato incassa il colpo e va avanti, a dispetto di ogni logica. Sopravvive perfino alla sua unica ragione d’esistere.
A partire da fine anni Ottanta, sono numerosi i tentativi da entrambe le parti (pensiamo a Mitterrand per la UE e Gorbaciov e Shevardnadze sul fronte russo) per spingere verso una “casa comune europea dall’Atlantico agli Urali”, che superi il concetto di blocchi contrapposti.
Eppure, non solo la Nato sopravvive alla fine dell’Unione Sovietica, ma trova la forza di mutare forma, passando dall’essere un custode difensivo a una vocazione più offensiva, di spinta verso il cambiamento dell’Europa centrale.
Due presidenti USA, Bush sr. prima e Clinton poi, guardando la cartina europea ci vedono un trionfo della democrazia sempre più allargato fino ai confini della Russia. Avanti quindi con l’unificazione della Germania (1990), i primi addestramenti alle truppe ucraine (1991) e l’ammissione di Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia nella Nato (1999). Tutti avvenimenti voluti e resi possibili dalla strategia USA.
La spinta espansionistica si traduce in voti dagli immigrati europei e crea nuovi mercati per l’economia americana, con pesanti investimenti nelle nazioni ora “sicure” al riparo della Nato. Negli anni Novanta, l’Ucraina diviene un amico speciale: terza dopo Egitto e Israele per aiuti, si stima che prima dell’invasione avesse ricevuto più di 3 miliardi di dollari, cui si sono aggiunti altri versamenti per 14 miliardi e impegni per ulteriori 33 miliardi. Nel frattempo, gli addestramenti militari continuano a infittirsi, con armi sempre più sofisticate; forze armate ucraine partecipano a tutte le operazioni USA successive alla Guerra Fredda, inclusi Iraq e Afghanistan.
Con l’11 Settembre il paradigma Nato si trasforma nuovamente, a includere tra i propri compiti il coordinamento globale dell’anti-terrorismo. Anche in questo caso, sembra a tutti, semplicemente, la soluzione ovvia. Le critiche europee non mancano ma nell’epoca di Bush jr si può stare con gli USA o contro di loro, nessun compromesso. L’Europa orientale sceglie di stare con gli USA, nella consapevolezza che un alleato esterno di peso può tornare utile anche intra-UE: non sembra un caso se l’amico migliore della Nato è la Polonia con tutte le sue “beghe” sullo stato di diritto, insomma.
Ai tempi dell’elezione di Trump, la cancelliera tedesca Merkel dichiara giunto il tempo per l’Europa di pensare alla propria sicurezza ma, alla prova dei fatti, i rari casi in cui un governo ha opposto resistenza alla Nato si sono risolti con un nuovo governo in quel Paese (pensiamo all’Olanda nel 2010, contraria alla missione in Afghanistan).
In Europa qualcuno descrive la Nato come un “sistema per cui gli Stati membri mandano offerte di uomini per le guerre americane”; altri la definiscono “niente più di una sudditanza politica e militare consensuale”. Parole forti ma vane, visto che è bastata una parola e tutti gli Stati europei si sono tempestivamente mossi verso l’aumento delle spese per la difesa, perfino la Germania, per la prima volta in cinquant’anni. E gli Stati nordici, da sempre orgogliosi della loro indipendenza dall’Alleanza, ora scodinzolano per entrare.
La Nato torna quindi ancora più forte, rafforzata proprio dal suo nemico, quel Putin e le sue smanie da dittatore che accendono perfino gli animi più pacifisti e chiamano a gran voce un intervento per ristabilire la democrazia e i diritti. Per assurdo, un Putin liberale poteva affossarla, se solo ci avesse pensato.
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