E venne il giorno della nomina del nuovo CdA dell’Ente Fiere di Verona spa. Chi ricorda il nostro precedente intervento, può ora verificare l’adeguatezza della previsione (che abbiamo mutuato da un giornalista veronese conosciuto per sapere leggere i fondi del caffè della politica cittadina).

Risultato del risiko?

Federico Bricolo (foto Ennevi, da sito ufficiale Ente Fiera)

Presidente: Federico Bricolo (azzeccato) che ha confermato il passaggio del testimone da una nomina dell’imprenditoria veronese, che si annida nel Palazzo della Camera di Commercio e da lì contratta con la politica incarichi e responsabilità, a una nomina politica in un canonico quadro spartitorio dove è stato premiato chi ha saputo portare truppe cammellate a sostegno della riconferma a sindaco di Federico Sboarina (sempre che siano sufficienti e fedeli);

Vice presidente: Romano Artoni (novità solo nel ruolo) sebbene confermato come da tradizione a curare gli interessi del secondo socio per impegno finanziario: Fondazione Cassa di Risparmio di Verona, etc.etc;

Vice presidente: Matteo Gelmetti (confermato nel ruolo) in qualità di espressione fisica del sindaco che lì l’ha piazzato e non ha trovato motivo per avvicendarlo, dimostrando che la fedeltà, a lui,  paga;

Consigliere: Maurizio Danese (azzeccato) in attesa che venga incaricato al ruolo di amministratore delegato, come da riforma statutaria;

Consigliere: Alberto Segafredo (new entry) con evidente riferimento alla Fondazione Cassa di Risparmio, che così si appresta a condizionare le decisioni strategiche dell’ente

Consigliere: Alex Vantini (in sostituzione del precedente presidente Coldiretti), confermando così la convinta e storica presenza del settore primario nella gestione dell’ente fieristico, nel solco di una tradizione che travalica il peso dell’agricoltura nei prodotti fieristici da questo gestiti

Consigliere: Mario Veronesi (new entry) dell’omonima azienda mangimistica e agroindustriale, al secondo posto delle imprese veronesi per fatturato; espressione di quella Confindustria che era abituata ad indicare il nome del Presidente ed ora si candida a un ruolo fondamentale per definirne le strategie;

Direttore Generale: Giovanni Mantovani (sorpresa), forse per poco; forse resistendo al passare del tempo, il Direttore Generale rimane al comando e sbarra la strada all’unica nomina che non è stata azzeccata, quella di Flavio Piva, per la quale dovremo verificare se è solo una pausa “di riflessione” o una scelta dettata dall’opportunismo.

Fra Tomasi di Lampedusa e Shakespeare

Poco è cambiato perché nulla cambiasse, nella versione veronese del Gattopardo, che dimostra come in riva all’Adige le sorprese non siano particolarmente gradite e le logiche spartitorie continuino imperterrite, nulla valendo i gridi di dolore dell’opposizione che chiedeva un briciolo di dignità a chi governa gli enti di cui il Comune di Verona è il principale azionista, in barba al risultato delle imminenti elezioni, che qualcuno ritiene saranno vinte senza timore.

Una recente immagine del Vinitaly (Foto Ennevi – Veronafiere)

Tanto rumore per nulla: un aumento di capitale importante, con molti soldi dei contribuenti, e il cambiamento dello statuto per vedere alla fine un risultato così “misero” fa davvero impressione. C’è una città in difficoltà, abbagliata dalla ripresa con la zavorra dei debiti contratti per ovviare al lockdown governativo, ci sono decisioni importanti da prendere per uscire dall’angolo e la soluzione è stata quella di soddisfare le rendite di posizione e premiare chi si è speso a difendere il sindaco a fine mandato e non a scegliere manager affidabili e competenti con una visione e una strategia vincente.

Un CdA al maschile

Le donne mancano totalmente in questa oscena rappresentazione della prepotenza di chi governa la città; ci auguriamo perché non abbiano voluto far parte di una sceneggiatura pinteriana dove la realtà viene rifiutata in attesa di un fulgido futuro, per una fiera tagliata fuori dalle aggregazioni nazionali e che la vedranno, prima o poi, diventare preda e non predatrice.

I veronesi, quelli che hanno a cuore l’economia, il suo valore nel panorama nazionale, hanno quindi un altro esempio delle logiche spartitorie che hanno fatto perdere loro una banca, un’assicurazione, un aeroporto e la governance dell’azienda delle utilities, abbagliati da una retorica del “sistema Verona” che non è altro che l’illusione di contare mentre in altre città si vedono progressi e successi.

La vicenda di queste nomine dovrebbe spronarli a mandare un messaggio nelle urne: un referendum se così va loro bene oppure vogliono cambiare registro. C’è chi dice no; c’è chi ha chiesto una moratoria in attesa del responso del voto.  Ancora un mese abbondante e sapremo se qualcuno potrà bussare in Viale del Lavoro e chiedere conto, da politico a politico, come conciliare il governo della città con la gestione delle sue partecipate.

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