“Il podcast e il giornalismo del futuro” è il titolo del quindicesimo incontro della kermesse veronese dedicata al mestiere del giornalista e dintorni, giunta quest’anno alla sua seconda edizione. Per trattare l’argomento la scelta non poteva che ricadere su due podcaster: Jennifer Guerra, conosciuta per il suo podcast di divulgazione femminista Anticorpi, e Leila Belhadj Mohamed, nota per Matassa, nel quale – in ogni puntata – cerca di spiegare la situazione geo-politica di un Paese in particolare e le varie implicazioni ad esso connesse, spesso trattati dalle testate giornalistiche in maniera superficiale e frettolosa.

Utilizzare i podcast per fare giornalismo

Si è partiti discutendo delle opportunità di utilizzare i podcast nel giornalismo. Per Guerra il podcast può avere varie impostazioni, in primis nella tecnica: possono essere più o meno impostati la voce e i testi; e anche le sue applicazioni e scopi possono variare molto. Per esempio, il suo primo approccio è stato più di tipo artistico con The Heart: un podcast realizzato da tre ragazze che parlano d’amore con toni e sfumature particolari. Ma possono essere altrettanto coinvolgenti le puntate dedicate a casi d’inchiesta, in particolare se presenti interviste di ospiti direttamente coinvolti.

Leila Belhadj Mohamed

Mentre per Belhadj Mohamed è uno strumento molto valido che meriterebbe di essere sfruttato al massimo del suo potenziale. Permette di approfondire argomenti senza sottostare ai tempi molto ristretti e tematiche “acchiappa-audience” delle radio.

Le problematiche dei podcast

Leila Balhadj Mohamed ha poi individuato come ulteriore problema l’opinionismo non dichiarato e la mancata specificazione del posizionamento degli ospiti intervistati e testate. In questo modo l’audience è portata a credere che un’opinione sia un dato di fatto. Al quale, aggiunge Guerra, si affianca il problema della verifica delle fonti, nonostante si possa ricorrere a link in descrizione o specifiche durante il podcast.

I podcaster e le opportunità di lavoro

Entrambi gli ospiti hanno evidenziato come dal punto di vista retributivo il lavoro del podcaster non sia una sicura fonte di guadagno. Non tanto per la mancanza di persone disposte a finanziarlo, ma piuttosto per la carenza di possibilità. È possibile mettere la pubblicità all’inizio o fine del podcast, spesso cadendo in contraddizione con il contenuto dello stesso (per esempio immaginiamo un podcast di condanna al consumismo preceduto e seguito da delle pubblicità).

Jennifer Guerra

Emerge, inoltre, la questione di quanto sia sostenibile per una persona fare questo lavoro per tutta la vita: si possono guadagnare al massimo 200-300 euro a puntata e solitamente una produzione podcast è limitata. Una valida possibilità consiste nell’acquisto del podcast da parte di un giornale o editore, che permetterebbe una più stabile retribuzione, anche se a spese dell’indipendenza e autoproduzione del podcaster. Non sono rari i casi in cui gli editori chiedono di inserire un certo tono pietistico e di dramma personale a ciò di cui si sta parlando. Una scelta simile a quella fatta dalla carta stampata.

Conclusioni

Per il futuro del podcast sarebbe importante evitare, sottolinea Jennifer Guerra, che tutte le case di produzione “mangino” la produzione indipendente. Il rischio di cancellare dei buoni lavori di qualità in favore di pochi grandi nomi sarebbe dietro l’angolo, soprattutto nell’eventualità che la “mania” per i podcast venga meno.

Leila Belhadj Mohamed sottolinea, inoltre, come sia importante che le testate giornalistiche comprendano che la società sta cambiando e che potrebbe fare la differenza indirizzare gli investimenti proprio sui podcast. Non solo un investimento ma anche un’occasione per recuperare tutte le persone che non leggono e che hanno sviluppato sfiducia verso i mezzi informativi tradizionali.

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