Verona e i bisogni della scuola
Il 28 aprile si è tenuto un incontro sul mondo della scuola, con particolare attenzione a Verona e alla fascia dell'infanzia. Ne diamo qui resoconto.
Il 28 aprile si è tenuto un incontro sul mondo della scuola, con particolare attenzione a Verona e alla fascia dell'infanzia. Ne diamo qui resoconto.
“Verona e i nuovi bisogni del mondo scolastico“: un incontro sull’Istruzione per addetti ai lavori e non, quello tenutosi giovedì 28 aprile presso la sala Fevoss in via Santa Toscana, organizzato dal PD e da Rete e che ha visto la partecipazione del candidato sindaco Damiano Tommasi.
Presenti come relatori Niki Leonetti (a sorpresa), Luca de Marchi (a sorpresa pure lui), la consigliera comunale Elisa La Paglia, che ha trattato il tema della segregazione scolastica a Verona, Alessandro Marchi, pedagogista e presidente del Centro Servizi Educativi (Cse) che parlato del tema dell’autostima negli adolescenti, Laura Donà, dirigente tecnico dell’Ufficio scolastico regionale (Usr) per il Veneto sul tema del progetto zerosei, Ombretta Cecchinato e Susanna Zago, che hanno trattato i processi di apprendimento e Matteo Danese, presidente del Centro Studi Immigrazione (Cestim), che ha affrontato l’aspetto dei progetti di pari opportunità in ambito scolastico rivolti ad alunni con background migratorio. A chiudere la serata Elisabetta Gualmini, europarlamentare e già assessore al welfare dell’Emilia-Romagna. Ha moderato la docente Rita Andriani.
Il primo, sicuramente più interessante per la sua valenza oggettiva e statistica, è stato aperto da Elisa La Paglia che, dati alla mano, ha mostrato gli squilibri nel mondo educativo nella fascia d’età 0-6 anni. Infatti, nel Comune di Verona le scuole dell’infanzia fascia (3-6 anni) sono per il 31% comunali, per il 39% paritetiche (FISM, ovvero religiose e comunali), per il 23% statali, per il 7% scuole cooperative. Un’offerta ampia, ma qui l’anomalia: il 47% delle scuole ha più del 30% dei bambini bilingue, il che significa che le famiglie italiane preferiscono evitare gli istituti con un’utenza straniera per diffidenza e per evitare che i propri figli subiscano rallentamenti causati dalla presenza di non madrelingua. Insomma, rette e ragioni culturali determinano una situazione per cui l’integrazione risulta molto difficile da realizzare.
A questo si è agganciato l’intervento di Matteo Danese che ha rilevato come, mentre il MIUR lavora per l’inclusione anche a partire dal lessico (i ragazzi non sono più stranieri ma “alunni provenienti da contesto migratorio”) la società invece sembra non ancora pronta e sovente rifugge gli ambienti che andrebbero condivisi. A Verona, le disuguaglianze sono notevoli: la povertà colpisce prevalente le famiglie non italiane e i loro ragazzi anche per questo hanno maggiori problemi di ritardo scolastico (dato certificato dall’INVALSI), tendono a scegliere il tecnico o il professionale. In questi anni, il CESTIM ha perciò lavorato con un progetto per l’apprendimento della lingua italiana anche col supporto di docenti in pensione.
Di respiro più ampio e più focalizzato sugli adolescenti l’intervento di Alessandro Marchi che, in anteprima, ha comunicato per sommi capi i risultati dell’indagine “relazioni positive e supporto dell’autostima” che dimostrano un disagio dei giovani che va ampliandosi anche per effetto della DAD, ma non solo.
Il secondo tema è stato la presentazione di progetti inclusivi come quello illustrato da Luca de Marchi (Associazione Culturale “Il Giardino del linguaggio”, progetto “suoniamo insieme”) che ha raccontato come l’esperienza dell’educazione musicale dell’infanzia, con giochi con regole non verbali, sia un metodo altamente inclusivo per la fascia 3-6 anni. Il progetto “Disegnare il Futuro” (Cecchinato-Zago), invece, si è posto come obiettivo quello di una scuola fondata sulla didattica attiva, con ore di laboratorio in orario curricolare con un ampliamento al pomeriggio e laboratori gestiti dagli insegnanti con l’aiuto di esperti. Quindi, un’idea di istruzione sia per compiti di realtà che di supporto alle famiglie fragili che possono godere di un prolungamento “di qualità” del tempo scuola.
Damiano Tommasi, dopo aver comunicato che in questi giorni stanno lavorando al programma, ha riconosciuto che il sistema educativo a Verona è di qualità, ma che molto ancora è necessario fare per le disabilità emotive e la difficoltà nell’interpretazione delle emozioni dei ragazzi. I docenti, secondo Tommasi, dovrebbero mettersi in ascolto non solo dei ragazzi ma anche dei genitori. Poi le proposte da candidato: ritiene necessario curare l’alimentazione delle mense a scuola (soprattutto nei nidi anche con l’educazione al cibo) e aumentare lo spazio dello sport nella scuola anche dal punto di vista relazionale; infine, tutti devono essere posti nella condizione di poter scegliere se mandare il figlio al nido.
Il terzo tema è stato il ruolo dei gestori del sistema scolastico. Laura Donà, dopo aver segnalato che l’epidemia ha fatto proliferare associazioni che si autodefiniscono scuola in aperta polemica col modello pubblico e privato – il che sta generando non pochi problemi -, ha rimarcato che il ruolo di un’amministrazione comunale deve essere teso all’equità nell’accesso ai servizi pubblici e paritari; la proposta è di “poli per l’infanzia” per permettere l’accesso anche ai ragazzi di origine straniera nelle scuole paritarie attraverso l’abbattimento delle rette anche perché a Verona e nel Veneto, a differenza del resto d’Italia, il ruolo delle paritarie [private e comunali] è preponderante.
Di respiro europeo l’intervento di Elisabetta Gualmini, che ha cercato di dimostrare che l’UE si stia trasformando da entità meramente economica a motore delle trasformazioni sociali attraverso interventi come Next Generation EU, Garanzia Giovani e le risorse del PNRR. Nello specifico della fascia 0-6 anni, ci sarebbero 3 miliardi da investire con oculatezza, visto il problema della denatalità (anche a Verona) e la difficoltà delle scuole di produrre progetti anche per la scarsità dell’organico degli amministrativi. Anche Gualmini segnala la necessità di ampliare il tempo scuola nell’ottica della flessibilità per venire incontro alle necessità delle famiglie, sia con fondo sociale europeo che può essere utile per abbassare le rette, sia portando l’esempio dell’Emilia-Romagna che ha contribuito al finanziamento dei centri estivi. Nello specifico su Verona, invece, sottolinea l’assenza di politiche scolastiche di contrasto alla dispersione nel primo biennio delle superiori.
In conclusione, una serata che, onestamente, per certi versi lascia perplessi. Tolte le buone intenzioni e i progetti più o meno significativi, rimangono sul piatto una serie di questioni non ignorabili: il ruolo del docente, che progressivamente si deve sempre più occupare di tutto (ragazzi, genitori, custodia, educazione, aspetto psicologico, supporto sociale, prevenzione, progetti, burocrazia…) tranne che della didattica; le scelte delle famiglie, che non si capisce perché non dovrebbero pensare prima di tutto al futuro del proprio figlio in mancanza di risposte concrete in termini di qualità dell’apprendimento, che oggettivamente diventa problematico con classi non omogenee; infine, il tema della meritocrazia, che non può essere semplicemente sostituito dall’uguaglianza. Sullo sfondo, l’ombra di una montagna di soldi che viene dall’UE e che, già lo sappiamo, non saremo in grado di spendere.
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