Nel veronese esiste una piccola realtà con un progetto speciale come il suo nome. Si tratta del Valpolicella4Special, una scuola calcio per ragazzi dai 3 ai 35 anni con disabilità motorie, cognitive e relazionali, che possono trovare nel mondo del pallone un’opportunità per socializzare e cimentarsi nello sport.

Un progetto nato nel 2021 per volontà di Alessandro Pieropan, ex calciatore del Sant’Ambrogio di Valpolicella, oggi impegnato nel settore del marmo che, dopo una precedente esperienza a livello nazionale, ha deciso di concentrarsi sul territorio.

Una passione del passato trasformata in missione: “Insegnare ai ragazzi che essere se stessi è la più importante delle partite” si legge sul sito web dell’Academy, che con il suo staff di quindici volontari è stata in grado di coinvolgere anche l’Hellas Verona e l’Università di Verona. Dopo una breve sosta invernale, la squadra è tornata ad allenarsi in vista del Torneo regionale sperimentale calcio paralimpico, campionato regionale organizzato in collaborazione con la Figc.

Alessandro Pieropan, lei ha un passato di calciatore nella squadra di Sant’Ambrogio di Valpolicella. Oggi, invece, è passato dall’altra parte, nel ruolo di coach. Però la sua squadra è molto particolare: ci spiega come è nata Valpolicella4Special e che obiettivi si pone?

«Mi sono introdotto nel 2017 in questo mondo attraverso un altro progetto, ancora esistente a livello nazionale, chiamato “Gli Insuperabili di Torino”. Un programma importante, sostenuto da molti giocatori di Serie A, ma con il tempo ci sono stati obiettivi diversi, volevo creare qualcosa a livello territoriale. Per questo io e altri cinque miei amici, che avevano preso parte con me a questa esperienza, abbiamo deciso nel maggio dell’anno scorso di creare il Valpolicella4Special, una scuola calcio per ragazzi con disabilità fisiche, motorie, cognitive e relazionali».

Alessandro Pieropan in campo con un ragazzo in divisa durante gli allenamenti negli impianti sportivi di Sant’Ambrogio di Valpolicella.

Ha incontrato delle difficoltà nel creare questo progetto?

«Chiaramente le difficoltà ci sono, anche a livello burocratico perché è sempre più complicato. Ma sul piano organizzativo ho avuto e ho la fortuna di avere attorno dei ragazzi per i quali il cuore fa la differenza. Noi siamo tutti volontari e non ci ha fatto paura niente. L’amministrazione comunale ci ha messo a disposizione i campi, e il Gargagnago Calcio ci ha dato una mano nell’organizzazione degli allenamenti».

Come è stata accolta l’idea dal territorio?

«Il Comune ci ha messo a disposizione il campo e chi gestisce l’associazione, così come chi partecipa, è del paese o dintorni. Chiunque, tra chi collabora e i residenti del territorio, può venire al campo di calcio e vedere effettivamente come operiamo».

Prima squadra, berretti, giovanissimi, primi calci: che differenze ci sono tra queste categorie e come vi si accede? Quanti sono i tesserati?

«Le categorie sono semplici. Il calcio di questa scuola è suddiviso per diagnosi. Nella nostra prima squadra ci sono ragazzi con problematiche cognitive o relazionali che riescono a rimanere in campo e giocare una partita. Quasi interamente composta da ragazzi con sindrome di Down, la stiamo preparando per un campionato di calcio a cinque. Le altre categorie si allenano con esercizi che gli altri utilizzano per la preparazione di una partita e, pian piano, speriamo di poterli schierare in campo.

La finalità è sempre la stessa: proponiamo esercizi con l’obiettivo di fare goal e vincere. Qui si gioca tutti insieme, ragazzi e ragazze, anche perché la Federazione ci sta mettendo del suo per far crescere questo movimento. Adesso sono poche le ragazze, ma un giorno probabilmente ci sarà anche il paralimpico femminile, che è il nostro obiettivo, così come quello della Federazione. Intanto abbiamo abbassato l’età di iscrizione. Gioia, ad esempio, è una bambina di tre anni e da quest’anno fa parte dei primi calci».

Che rapporto avete con l’Hellas Verona FC? Sul sito risulta essere tra i vostri partner…

Alessandro Pieropan nello scudetto della scuola di calcio Valpolicella4Special.

«Quando si è saputo nel territorio che avevamo creato questa associazione, sono stato contattato direttamente dall’Hellas Verona. Questo perché la Federazione Italiana della Figc da due anni ha gettato delle fondamenta per entrare in un progetto di integrazione dei ragazzi. Tutte le società professionistiche devono avere una prima squadra che giochi un campionato, prima regionale e poi italiano, proprio con queste finalità. Abbiamo fatto in modo che potesse nascere una sinergia tra noi e l’Hellas Verona. I miei ragazzi sono anche tesserati in Federazione come HellasVerona4Special.

Il 7 aprile è stata presentata allo stadio Bentegodi l’Hellas Verona Foundation di cui facciamo parte. Partecipiamo al campionato Veneto per vedere chi sarà a giugno il campione regionale. La mia prima squadra è a tutti gli effetti una squadra di calcio a sette che partecipa ai campionati. L’Hellas Verona ci sostiene con l’abbigliamento, l’attrezzatura e i pulmini».

Avete relazioni con altre istituzioni, anche non propriamente sportive?

«Abbiamo raggiunto un accordo con l’università di Verona per dare l’opportunità ai ragazzi di fare con noi lo stage. Sono già presenti delle psicomotriciste e degli allenatori che fanno volontariato, ma pian piano vogliamo rendere questa realtà più professionale».

Parliamo di allenatori: siete tutti volontari? Come selezionate i vostri collaboratori?

«So che può suonare banale, ma penso che allenare sia sempre qualcosa che viene dal cuore. In team c’è gente che apparentemente sembra un orso, ma quando entra in campo diventa un grande allenatore. Siamo partiti da 16 ragazzi, oggi ne abbiamo 46 e abbiamo fermato le iscrizioni proprio per concentrarsi sui giovani che abbiamo già. Inoltre, con 15 collaboratori, siamo una sessantina di persone, la scuola sta diventando importante».

Dove vi allenate? Come avvengono gli allenamenti? C’è qualche attività ricreativa per far divertire i bambini oltre al calcio?

«Il nostro è solo calcio, uno sport molto amato capace di integrare e far crescere i ragazzi all’interno di questa società. Io mi preparo un po’ con l’esperienza, un po’ leggo, ma li alleno con lo stesso stile con cui allenerei una squadra di persone prive di disabilità. Gli insegniamo i calci d’angolo, le punizioni, come difenderci. I miei ragazzi, al di là delle loro capacità e doti, sono bravi e ascoltano».

Lo sport è un buono strumento per favorire l’inclusione, ma può essere anche motivo di attrito e di scontri. Penso ad esempio a quei genitori che prendono un po’ troppo seriamente la parte del proprio figlio o, al contrario, lo sgridano se non segna un gol o non para un tiro in porta. Che clima si respira nelle vostre partite e allenamenti?

«Anche in questa categoria ci sono genitori che urlano e ti chiamano per chiederti perché il loro ragazzo non gioca o ha fatto solo due minuti. Sono gli stessi che frequentano le categorie dei dilettanti. E questo per me è il bello, tutti vengono trattati allo stesso modo. Dobbiamo essere noi in primis a far capire ai giocatori che questo è il calcio, non è calcio per disabili, ma calcio per tutti. Loro giocano come HellasVerona4Special, con le maglie ufficiali del Verona, devono comportarsi come giocatori di calcio. Tutte le dinamiche che vedi nel calcio dilettantistico, le ritrovi anche qui».

Ragazzi giocano a calcio, Foto di Kampus Production da Pexels.

Come avete gestito il periodo di pandemia? Quando sono tornati in campo come è andata per loro e per voi?

«Abbiamo sempre seguito il protocollo Figc, tamponi e green pass. Le prime due squadre si sono sempre allenate, con tempo brutto o bello. L’obiettivo non è vincere perché dobbiamo vincere, ma se noi per primi non crediamo in questa integrazione, non raggiungeremo l’obiettivo. Per adesso facciamo due allenamenti a settimana, ma per le prime due squadre abbiamo già in programma di farne tre, perché dal prossimo anno parteciperanno al campionato».

Come desidera che cresca questo progetto?

«Vorrei far crescere questa realtà con un po’ di professionalità. Vorrei che ci fosse nei prossimi tempi un mix tra team e senso di appartenenza, e che ai ragazzi venisse insegnato il gioco del calcio. Attualmente abbiamo già due preparatori con un programma preciso, che stanno lavorando con noi. Vorrei che diventasse qualcosa di professionale e oltre a dare l’opportunità di giocare a calcio all’aperto, far capire ai ragazzi che lavoriamo come delle squadre dilettantistiche più preparate. Soprattutto, nei piccoli abbiamo visto tanti miglioramenti: ragazzi che facevano fatica a scendere in campo, dopo due allenamenti hanno cominciato a fare tre percorsi senza fermarsi».

© RIPRODUZIONE RISERVATA