Da qualche mese ormai, con l’invasione dell’esercito russo in Ucraina e le contromisure decise dal blocco occidentale, gli analisti denunciano un certo scetticismo sulle effettive ricadute delle sanzioni che la UE ha deciso sulla scia degli USA, con una certa preoccupazione sulle conseguenze, per noi europei come per il resto del mondo dipendente dall’importazione di materie prime, specialmente a fini energetici.

Sanzioni a doppio taglio

L’idea di una parte di mondo, purtroppo poco ascoltata, è che la UE avrebbe potuto diventare un mediatore tra le parti solo mantenendo una neutralità dalle strategie americane, nella convinzione che le sanzioni avrebbe fatto il solletico a Putin e addirittura ritorcersi contro chi le emanava. Gli eventi successivi hanno purtroppo confermato tale tesi.

Secondo un’analisi del Center for Research on Energy and Clean Air (CREA), negli ultimi due mesi gas, petrolio e altri combustibili fossili hanno fruttato alla Russia ben 62 miliardi di euro (44 miliardi solo dalla UE), quasi il doppio dello stesso periodo 2021. Nonostante i volumi esportati si siano ridotti di quasi un terzo in aprile, rispetto ai due mesi precedenti, il ruolo dominante del Paese a livello globale ha creato instabilità e prezzi in rialzo. Putin ha fatto cadere la UE in una trappola, per cui ulteriori restrizioni provocheranno nuovi aumenti e andranno a finanziare proprio quella guerra che si vorrebbe contrastare.

Una via d’uscita (o forse due)

Cosa fare allora? Questa è LA domanda, legittima e pure logica, mentre la risposta non appare proprio immediata. Dobbiamo capire che le alternative possibili sono soltanto due: andare in guerra o trovare un accordo. Proviamo a valutare le opzioni partendo da un fondamento inattaccabile: l’Ucraina sta combattendo una guerra giusta.

L’invasione russa è un atto deliberato di guerra, al di là dei proclami retorici della propaganda del Cremlino e dei meravigliosi discorsi del Presidente declamati di fronte a una popolazione entusiasta e sbandierante. Le petulanti lagnanze sull’espansione della NATO a oriente e sul trattamento della minoranza russofona nel Donbass non sono causa sufficiente per un’aggressione armata. Nessuno ha invaso la Russia e nessuno aveva peraltro intenzione di farlo. Sembra una frase scontata ma in questi tempi di disinformazione le cose è meglio metterle in chiaro.

La guerra sul campo

Altra cosa ovvia ma necessaria: una guerra lunga lascerà solo macerie, ogni giorno di guerra in più aggiunge milioni di sfollati e aumenta la probabilità che non avranno un posto, che sia casa o impiego, a cui tornare. In questo senso, continuare a fornire armi agli Ucraini è garanzia di una guerra duratura. Se poi le armi arrivano condite da commenti e proclami secondo i quali “l’Ucraina vincerà” oppure “la Russia ha fallito” si tocca il lirismo del nonsenso.

La realtà ci parla di un’avanzata russa rallentata ma continua, quasi ogni giorno una nuova città cade nelle mani degli invasori, la cui area di influenza è circa cinque volte quella dei primi giorni. Se la Russia va avanti a “perdere” in questo modo, tra due mesi Odessa sarà ridotta come Mariupol e non esisterà più una nazione ucraina. Resterà un cumulo di macerie già battezzato informalmente come Novorossiya, la nuova Russia.

Soluzione nr. 1 – La terza guerra mondiale

La “guerra per procura” – parole del Cremlino il giorno dopo il vertice di Ramstein – non può essere una soluzione, serve solo a prolungare l’agonia di un Paese già fortemente indebolito. Ma a nessuno piace iniziare una nuova guerra mondiale, nemmeno i guerrafondai professionisti della Casa Bianca sono arrivati da proferire le parole di non ritorno.

Sarcasticamente, viene il dubbio che non si decidano proprio perché, per una volta, sarebbe un intervento sostenuto dal diritto internazionale, in quanto a difesa di un’aggressione non provocata. Per aggiungere sarcasmo, si potrebbe applicare il precedente creato proprio dalla Russia che, a suo tempo, giustificò l’ingresso in Siria come “risposta alle richieste di aiuto di un governo legittimo”. Trattandosi di Assad, le virgolette sono d’obbligo.

Soluzione nr. 2 – La diplomazia

Non è che non abbiano provato. Molti leader si sono fatti avanti per promuovere una cessazione delle azioni militari e favorire un dialogo costruttivo. Vuoi perché di influenza minimale (pensiamo a Israele) o per la massa dispersiva di argomenti da risolvere tutti subito (vedi Bielorussia o Turchia), nessuno ha avuto un minimo impatto.

Una UE neutrale, slegata dalle linee guida statunitensi, avrebbe probabilmente potuto esercitare un certo peso diplomatico. Mentre gli USA pensano a vincere, la UE si sarebbe potuta concentrare sul con-vincere. E invece siamo al punto in cui la presidente von der Leyen annuncia nuovi provvedimenti sanzionatori e fa la voce grossa. Serpeggia questo snobismo per cui non ci si dovrebbe “abbassare” a discutere con uno che si è “posto al di fuori del mondo civile” come abbiamo sentito da più parti.

Cosa facciamo?

Ora, sorvoliamo un attimo sul fatto che la persona in questione ha una concezione diversa dalla nostra di quel che si chiama mondo civile, ambiente di cui non ha probabilmente mai fatto parte. Soprassediamo anche sul voltafaccia di chi fino a gennaio considerava la Russia un partner strategico fondamentale, un fornitore affidabile di materie prime e – qualcuno c’è sempre – lo chiamava addirittura amico.

È ora necessario mettere da parte la superiorità dei “buoni” e trovare un compromesso che metta fine alle ostilità. Si è fatto in passato con il dolcissimo Slobodan Milošević, pochi mesi dopo l’eccidio di Srebrenica, chiudendo l’accordo di Daytona che mise fine alla guerra tra Serbia e Bosnia. Certo, oltre a lasciare a casa l’orgoglio, la diplomazia UE e USA dovrà aprire la mente e assimilare la regola per cui un accordo prevede concessioni e stravolgere la percezione universale che una concessione sia quasi un premio per l’invasore, per riportarla alla sua natura di scambio negoziale. In una guerra non vince nessuno, c’è solo la possibilità di ridurre le perdite, prima di tutto umane.

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