C’è da chiedersi se le vicende urbanistiche di questo millennio troveranno interpreti della statura di un Francesco Rosi de “Le mani sulla città”, magari riguardo a come è cambiato il volto di Verona negli ultimi anni.

Il paragone è sicuramente esagerato: non abbiamo ancora visto episodi tragici come quelli descritti nella Napoli degli anni ’50, ma il panorama a dire il vero non è meno inquietante, visto che abbiamo avuto assessori arrestati e lotte politiche bellicose per approvazioni di deroghe al dispositivo urbanistico con riferimenti a normative nazionali emergenziali per ottenere cambi di destinazione d’uso e possibilità di costruzioni in deroga di cui rimangono effetti visibili definitivi.

Il filo conduttore è sempre il medesimo: il denaro. In questo caso la messa a reddito originale di aree edificabili o immobili che rinnovano la propria vocazione per un nuovo uso, anticipatore dei tempi ed espressione delle esigenze dei titolari.

L’esempio dell’albergo di Via Garibaldi è emblematico: abbiamo una fondazione finanziaria dal carattere spurio, effetto della riforma delle fondazioni bancarie che dalla commistione tra pubblico e privato hanno ricevuto ruoli variamente interpretati a seconda delle sensibilità territoriali, che chiede all’amministrazione in carica un riconoscimento straordinario per i tanti investimenti concordati per fornire alla politica cittadina ingenti risorse per scopi utilitaristici; una Giunta e un Consiglio comunale agli sgoccioli ai quali viene chiesto di approvare nell’ultimo mese utile provvedimenti con effetti di lungo periodo; una contrapposizione politica che soffre già della campagna elettorale e delle competizione tra i candidati.

Avviene così che, dopo tre anni di discussioni senza risposte, si condensano in pochi giorni decisioni dalle implicazioni storiche per Verona e il futuro urbanistico del suo centro storico, con la cittadinanza che osserva inerme, tra l’indifferenza di quelli che tra poche settimane assumeranno il ruolo di elettori, la preoccupazione dei residenti, le aspirazioni degli operatori economici, i timori delle cassandre, la cupidigia di chi è coinvolto negli affari.

Quello che era il Piano Folin, con una visione strategica che vedeva in un complesso immobiliare unitario materiale informe per idee stupefacenti a cui tanti architetti ci hanno abituati (alcuni valenti con realizzazioni di pregio, altri mediocri  con brutture che sono ferite aperte nei panorami di tante città italiane)  è stato ridotto a quella che il giudizio più equilibrato ha descritto essere una speculazione edilizia.

Di per sé essere una speculazione edilizia è male? Non necessariamente: in un libero mercato è l’espressione dell’imprenditoria che rischia i propri soldi nel realizzare immobili con nuove caratteristiche. Il problema sorge quando per questo scopo si esce dalle regole stabilite da chi ha il compito di amministrare il territorio (quindi dove il concetto di libertà è contingentato alla pubblica utilità) e si gettano le basi per effetti definitivi che saranno ereditati dalla storia.

E non è un problema solo del centro storico visto che questa amministrazione, al cui capo c’è un sindaco che è in lizza per la conferma, ha approvato o approverà con le stesse modalità, oltre alle 140 stanze in Via Garibaldi, 423 camere in Viale Piave, più di 300 alla ex Manifattura Tabacchi, altre centinaia tra ex Fedrigoni e ex Scalo Merci, la conversione in alberghiero di 21 stanze in Via S.Antonio, e sorvoliamo su quanto commerciale è stato autorizzato dopo la rottura della diga ad opera dell’altro candidato ed ex sindaco… .

A questo punto i giudizi ricadono sui soggetti coinvolti e sulle persone che rappresentano le istituzioni: il sindaco, gli organi collegiali, i promotori, i cittadini di Verona.

Il sindaco, candidato a replicare il mandato, è stato protagonista indiscusso della faccenda, dimostrando volontà ed energie che non ha saputo equivalere per le tante partite aperte di una città complessa e senza personalità e visione come Verona ha dimostrato purtroppo spesso di essere, malgrado le agende promosse da associazioni di categoria impegnate a giustificare la compartecipazione nel disastro corrente. Ma come la moglie di Cesare, ha necessità di essere al di sopra di ogni sospetto, e nella vicenda in oggetto fa fatica a non dimostrare compiacenza per un istituzione importante quale è rappresentata dal promotore.

Gli organi collegiali, in coda di amministrazione, hanno dimostrato valori  assai scarsi: la maggioranza tra tira e molla e discussioni senza fine, approvazioni legate alla ricerca dei favori, ha dimostrato una tenuta precaria; l’opposizione  invece è nettamente spaccata: tra chi è riconosciuto un praticante esperto ed affidabile (nel senso che non si risparmia e interpreta il ruolo con indefessa determinazione: contro a prescindere), nella solitudine del numero primo (al quale concediamo la ribalta: Michele Bertucco) e coloro i quali hanno preferito l’Aventino invece di una denuncia di un metodo osceno per l’approvazione di un provvedimento con questo grado di polarizzazione.

Saranno forse alla ricerca di una captatio benevolentiae per quando, tra pochi mesi, i ruoli potrebbero essere invertiti? O perché verso i potenti è meglio sempre essere condiscendenti?

I promotori: qui la faccenda si complica. La tentazione di un paragone bellico che richiama le tristi vicende ai confini dell’Europa e individua in un prepotente la volontà di usare ogni mezzo pur di raggiungere il proprio scopo è grande e pericolosa.

Le pretese sono note: per chi tanto ha dato alla città e tanto potrebbe ancora dare (con immobili prestigiosi dalla destinazione incerta e risorse da destinare a Verona, in concorrenza con le altre province su cui è distribuita la competenza della Fondazione) è necessario un occhio di riguardo e una deroga al piano regolatore rappresenta un risarcimento ritenuto congruo che spetta alla futura amministrazione l’eredità degli effetti nonché la gestione della sperequazione che altri attori potrebbero denunciare per analoghe iniziative.

Il palazzo di via Garibaldi, 1 a Verona al centro del piano Folin.

Infine i cittadini: questa entità eterea che sembra sempre sulla bocca degli amministratori, nell’eterna contrapposizione tra gli interessi legittimi e le pretese prevaricatrici a danno di altri soggetti (generalmente gli operatori economici) e che molte volte sono un alibi dietro cui nascondere la cultura del privilegio e della sopraffazione.

A loro gli effetti definitivi: disagi per i cantieri, probabili nuove tensioni per il traffico che ogni attrattore genera, forse dei benefici se ogni più rosea aspettativa verrà confermata, nuovi tormentoni quando la cronaca registrerà conflitti giudiziari o appelli alla perequazione per ulteriori contenitori attualmente in stato di degrado per i quali altri illuminati investitori richiederanno utilizzi non previsti e non troppo originali.

Loro, i cittadini, dovrebbero però ricordare che tra poche settimane diventeranno importanti e attribuiranno col loro voto la legittimazione a chi sostituirà nei ruoli gli attuali consiglieri, nella consapevolezza che le azioni sono più importanti delle promesse, soprattutto di quelle elettorali.

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