Liberi di essere e di rinascere
Conoscersi e crescere implicano il passaggio inevitabile attraverso la crisi e la scelta se proseguire o tornare indietro.
Conoscersi e crescere implicano il passaggio inevitabile attraverso la crisi e la scelta se proseguire o tornare indietro.
Per la psicologia del profondo uno degli scopi dell’essere umano è la sua trasformazione in un individuo “libero di essere secondo il proprio Sè”. Affinché questo accada è necessario comprendere il più possibile la psiche e le manifestazioni interne dell’inconscio, in relazione di scambio con il mondo esterno. Una volta intrapreso, questo percorso di individuazione passa inevitabilmente attraverso tappe che risultano come piccole “morti e rinascite” interne.
Per fare un esempio basti pensare che il bambino deve “morire” per far nascere l’adolescente, che a sua volta deve cedere il passo al giovane adulto e così via. Questi passaggi avvengono anche per il processo di crescita interiore, che avviene secondo il ritmo delle proprie risorse interne e della conseguente capacità di mettersi in relazione con le esperienze di vita. Spesso tutto questo avviene a livello inconscio e, per il meccanismo di coazione a ripetere, il meccanismo si può inceppare. Può quindi accadere di ritrovarsi a esclamare “Mi capita sempre di incontrare la persona sbagliata!” o “Faccio sempre la scelta sbagliata!”.
La psiche fa di tutto per riuscire a vedersi e a conoscersi e lo fa con i mezzi che ha a disposizione, magari “spingendoci” ripetutamente a vivere la medesima situazione fino a quando, più o meno consapevolmente, qualcosa di diverso accade dentro di noi. A quel punto le cose cominciano a cambiare anche fuori. Certo non è possibile comprendere o spiegare sempre tutto, ma la sensazione che resta è che la vita riprenda a scorrere in modo costante e, contemporaneamente, nuovo.
Talvolta devono accadere degli “inciampi” significativi affinché ci si convinca di prestare attenzione alle esigenze del Sé, la parte più vera e autentica del nostro essere fatta di opposti, dove tutto è contemporaneamente una cosa e il suo contrario, contenuta in un continuum funzionale e fisiologico che permette di proseguire, non tanto verso un miglioramento ma verso un manifestarsi autentico di sé stessi.
Non è un percorso facile, quello della crescita nell’autenticità, perché prevede di riuscire a ridurre il più possibile le resistenze quando, spinti dagli eventi, veniamo orientati verso nuovi orizzonti che magari ci sembrano incongruenti con quanto abbiamo vissuto fino a quel momento. Ma se tutto quanto vissuto fino ad ora ha portato, per esempio, a un malessere, ha senso desiderare di tornare alla condizione precedente il malessere stesso, utilizzando energie per ripristinare l’”ordine” delle cose? O forse a quel punto vale la pena lasciar fluire, seppur con tutta la paura e la fatica contingente, le energie per un salto nel nuovo?
Siamo in un momento delicato, ad alta tensione energetica; siamo nella crisi, nel momento del conflitto interno nel quale le due energie opposte “torna-vai” si scontrano. Scegliere di andare, di fare il salto, suona come una meravigliosa melodia unica e irripetibile e a noi non resta che la bellissima avventura di trascrivere le note nuove, sul pentagramma della nostra vita. Molti attribuiscono a tale capacità il senso della resilienza, ma non è certo che si tratti di questo, almeno non nei termini che appartengono originariamente a questa parola. In fisica o in ingegneria, resilienza significa “la capacità di un corpo di assorbire un colpo, fino al suo punto di rottura” (fino, cioè, al punto oltre al quale poi si rompe, ndr); in psicologia, invece, la stessa parola viene usata per indicare “la capacità di adattarsi positivamente ad una condizione negativa o traumatica”.
Ma vale davvero la pena adattarsi? Probabilmente no, a meno che per adattamento non si intenda il processo trasformativo di individuazione, che prende forma dall’attraversare gli eventi lasciandosi trasformare da essi. A meno che non ci si adatti ad essere come la Fenice, simbolo di morte e rinascita dalle proprie ceneri, che si trasforma così continuamente, sempre uguale ma sempre nuova.
Non è detto, quindi, che il processo di individuazione avvenga attraverso la resilienza che, se di certo è da preferirsi alla resistenza e può risultare funzionale in alcuni momenti, altrettanto sicuramente diventa meno utile se si vuole progredire davvero, accettando ciò che di nuovo dentro di noi ha da manifestarsi; è importante però tenere bene a mente che per i processi psichici andare avanti significa discendere nel profondo di sé stessi, alla ricerca dei propri lati oscuri e di quelli in luce, liberando quell’energia necessaria affinché le ricchezze interne (belle e brutte) possano emergere e interagire con il mondo esterno, cercando così di trovare la via per esprimere ciò che siamo veramente. Ma questo significa accettarlo.
Le conseguenze di questa accettazione sono molteplici: una su tutte, l’accettare anche l’altro per quello che è. Quindi i traumi, le ferite, possono rappresentare quello spiraglio che permette di entrare dentro di noi, una volta lasciati i vincoli della resistenza e anche un po’ della resilienza, permettendoci di trasformarci attraverso le ferite stesse e rinascere navigando sempre più verso sé stessi con “il rischio di incontrare sé stessi” (C.G.Jung).
La capacità di “trasformarsi e quindi di crescere”, raccogliendo le forze dalla nostra sofferenza, deve passare attraverso una fase critica, oscura che molte persone hanno probabilmente vissuto. Come avviene per la Fenice, che si rinnova continuamente a partire dalle proprie ceneri e rinasce trasformata, quando si attraversa un momento difficile, tutti “moriamo un po’”, nel senso che si lascia andare una parte di Sé che non tornerà mai più, o che comunque non sarà mai più la stessa. La Fenice è quindi uno straordinario simbolo di trasformazione, associato all’ultima delle fasi alchemiche, la rubedo che avviene per sublimazione, sotto l’effetto del fuoco, dello spirito e rappresenta il compimento finale delle trasmutazioni chimiche, nigredo e albedo: successive congiunzioni di opposti che culminano con la conversione dei metalli in oro.
Nel suo libro Psicologia e alchimia, Jung rintraccia nel percorso alchemico, il ciclico processo di individuazione psichica, avendo in comune la volontà di creare sempre realtà nuove e superiori. L’alchimia cerca di trasformare i metalli in oro attraverso varie fasi “di passaggio” trasformative (nigredo, albedo, citrinitas e rubedo) esprimendo così in termini simbolici, l’evoluzione della personalità che avviene attraverso varie fasi di “morte e rinascita” come espressione di una pulsione attiva nella psiche di uscire dall’oscurità per accedere all’aurea coscienza. L’ultima fase, quindi, come piena realizzazione di tale processo, è finemente associabile al simbolo della Fenice che grazie alla distruzione della sua “vecchia natura” è ora libera di rinascere.
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