“E luce (sostenibile) fu” con Medea Zanon
L'ingegneria energetica come opportunità per combattere lo spreco energetico e l'inquinamento.
L'ingegneria energetica come opportunità per combattere lo spreco energetico e l'inquinamento.
Trovare soluzioni per rispettare l’ambiente e per ricaricare le batterie di industrie e città in modo più efficiente. Sembra un lavoro da supereroi?
Forse, ma in realtà è quello che fa Medea Zanon, ingegnera energetica.
Medea Zanon, ci illumini: di cosa si occupa un ingegnere del settore energetico?
«Il mio lavoro consiste nel trovare le soluzioni più adatta per ridurre l’utilizzo energetico di edifici, soprattutto pubblici. Parte dall’individuare l’opzione su misura, progettarla e quindi mettersi al computer a disegnarla e, infine, eseguire i lavori in cantiere.»
Immagino sia una grande soddisfazione veder passare un progetto dalla propria immaginazione alla realtà..
«Sì, è davvero così. Infatti la sfida più grande è far sì che non resti solo su carta. Soprattutto perché ho principalmente a che fare con edifici pubblici e, quindi, è proprio una soddisfazione rimettere a norma scuole, palestre e spazi per la comunità.»
Quindi lei ha anche il compito di spiegare e accompagnare le amministrazioni e i Comuni nella comprensione e nella scoperta delle norme, delle innovazioni e delle nuove tecnologie?
«Esatto, il mio ruolo mi dà la grande opportunità della conoscenza di tante realtà sparse sul territorio. E si ha spesso a che fare con borghi e micro-comuni, di cui l’Italia è ricchissima. È una meraviglia poter girare e conoscere questi luoghi ma non nego una certa difficoltà, soprattutto inter-generazionale, per spiegare le necessità legate all’efficientamento energetico.»
Mi sembra di capire che è necessaria anche una buona dose di pazienza e di passione, mi sbaglio?
«No, è così. Ma vince la motivazione di contribuire a un mondo più attento al cambiamento climatico, che, a ben vedere, è anche il filo conduttore della mia formazione, ciò che davvero mi ha spinto a studiare ingegneria energetica.»
E servono altre competenze specifiche?
«Di sicuro le conoscenze tecniche in tema di macchinari, sistemi elettrici, motori. Però soprattutto sono fondamentali la pazienza e la capacità di relazione, necessarie sia per lavorare in team con i colleghi, che nel contatto quotidiano con i clienti.»
Ci vuole raccontare qualcosa in più del suo percorso?
«Intanto partirei dicendo che io non volevo diventare ingegnere. Anzi, potremmo dire che ho sempre avuto una certa avversione a questo ruolo e, nell’affrontarlo, mi sono sempre ripetuta che dovevo arrivare in fondo per dare un senso alla mia missione.»
E qual era?
«Io cercavo un percorso di studi che mi facesse essere in grado, poi, di lavorare con l’energia e di contribuire alla lotta allo speco energetico e dell’inquinamento. Però non sono mai stata una grande appassionata di tecnologia e neanche una tecnica.»
Ah no? Non aveva una passione per le materie scientifiche?
«A dire il vero, prima avevo frequentato il liceo classico – e ho scelto di seguire questa formazione universitaria più che altro per via di alcune conferenze in tema energetico, che avevo seguito fra i due cicli scolastici. Più che altro, avevo capito che volevo un mestiere che rispondesse ad un’etica.
Sono cresciuta negli scout e questo mi ha avvicinato molto al senso profondo del proprio impegno civile e sociale, e tuttora caratterizza fortemente le mie scelte.»
E come ha superato questo dilemma?
«Mi ripetevo di lasciar correre, che un titolo di studio non è mai un’etichetta. E comunque il lavoro lo si costruisce passo passo, che siamo noi a riempirlo con quello che vogliamo essere e quello che vogliamo fare.
Glisserei dicendo che “fare l’ingegnere non è essere un ingegnere”.»
Ci sono consigli che darebbe alla se stessa di una decina di anni fa o un mantra che l’ha guidata?
«Riprenderei quello che diceva Baden Powell, il fondatore dello scoutismo:
“Nessun insegnamento vale quanto l’esempio”
Ed è quello che mi ripeto quotidianamente, perché spero che il mio lavoro sia di esempio e ispirazione per gli altri. Sempre ricordando che non è importante per forza quello che fai, ma quello che sei.»
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