Raphael Vieira de Oliveira è uno dei più grandi palleggiatori dell’ultimo ventennio in tutto il panorama internazionale. Brasiliano di nascita e per formazione pallavolistica, ha giocato in Italia, Turchia e Russia. Dopo essersi costruito un palmares di grande rilievo, da quest’anno ha messo a disposizione della Verona Volley la sua esperienza e classe. Con lui abbiamo parlato della stagione in corso, ma soprattutto di cosa significa affrontare nella vita un percorso di atleta professionista.

Raphael, il suo percorso di atleta si è sviluppato in Brasile. Che differenze ci sono rispetto all’Italia o rispetto ad altre realtà che ha vissuto?

«Ho avuto esperienze in diversi campionati ed è stato un bel percorso. Ognuno ha caratteristiche peculiari e uno specifico stile. Io mi sono formato apprendendo qualcosa da ogni esperienza vissuta. La grande differenza tra Brasile e Italia è nelle diverse possibilità che un giovane atleta incontra. Nel mio Paese ci sono pochissime squadre giovanili, le società durano solo alcuni anni e poi spariscono, per un ragazzo brasiliano le opportunità di formarsi per affrontare il professionismo sono davvero scarse. C’è la scuola, ma non può garantire uno sviluppo di alto profilo. In Italia, invece, ogni piazza ha la sua storia, ci sono tantissime realtà che offrono percorsi eccellenti, che insegnano valori e che hanno radici profonde nel territorio. Pensiamo a Modena, Trento, Treviso, la stessa Verona. Le opportunità che ci sono in Italia per un pallavolista non sono paragonabili a nessun’altra parte del mondo.»

Da un punto di vista metodologico, invece?

«In Brasile si insegna a giocare più veloce possibile, ad essere furbi. Si rispetta poco un piano tattico, si tende a cambiare molto spesso. In Italia c’è più serietà, più applicazione e disciplina tattica. Ho avuto la fortuna di vivere entrambi i metodi. Per me è stato davvero importante. In ogni caso, per dimostrare di essere dei fuoriclasse, è indispensabile confrontarsi con il campionato italiano. È il più difficile in assoluto e se un giocatore di eccellenza non viene in Italia non può dire di essere tra i migliori.»

A Trento ha vissuto l’apice della sua carriera. Un periodo irripetibile per i successi ottenuti. Quali difficoltà ha incontrato in mezzo a tante soddisfazioni?

«Ho realizzato tutti i miei sogni sportivi in quel periodo. Arrivare in Italia, vincere, non una ma tante volte. Sì, davvero è stato Il periodo più bello della mia vita pallavolistica. Però, proprio tra tanti successi, ho imparato che anche in quei momenti bisogna superare alcune difficoltà. La più grande è quella di imparare a vincere. Che per me significa soprattutto saper affrontare i successi nel giusto modo. A volte arrivare in alto può rappresentare una fregatura perché rischi di dimenticare un po’ tutto ciò che hai fatto per arrivare a quel livello, perdi un po’ di umiltà, pensi che alcune cose non siano più necessarie, fai meno sacrifici e ti credi il migliore. A Trento ho imparato tutto questo: bisogna imparare a vincere, il che non è una cosa scontata.»

Veniamo a Verona Volley. Quali ragioni e stimoli l’hanno spinta ad accettare la proposta dei gialloblù?

«Sono sincero, non pensavo quasi più di tornare in Italia. Invece, l’estate scorsa mi ha contattato “Rado” Stoitchev. Mi ha detto che il suo obiettivo era quello di portare Verona tra le principali piazze della pallavolo nazionale e internazionale. Ci ho messo un minuto ad accettare. Rado quando dice qualcosa, quando fa progetti, li persegue con serietà. Con lui ho lavorato tanti anni nel passato, mi piace il suo metodo ed è congeniale per le mie esigenze. Davvero, ho deciso in un attimo.»

Ha un ruolo specifico in questo gruppo? Ci spieghi meglio che contributo offre al team

«In sintesi, mi sento come un amico esperto che offre un consiglio, una parola giusta nel momento in cui serve. Vedere tanti giovani crescere e poter offrire loro il mio contributo, in campo e fuori, è una vera gioia. Poi con l’allenatore giusto e gli obiettivi giusti, è tutto perfetto.»

Che voto darebbe alla propria stagione fin qui e a quella di Verona Volley?

«Direi 7,5, forse anche 8. Sì, sono contento della stagione. Qualche volta avremmo potuto fare meglio, ma fa parte del percorso di crescita di questo gruppo in cui ci sono atleti giovani, ma di sicuro potenziale.»

Raphael si prepara al servizio – Fonte: Verona Volley

La carriera di un campione è messa in vetrina soprattutto quando le cose vanno molto bene o molto male. Per un atleta non è facile gestire tutto questo. Che consiglio darebbe ad uno dei compagni più giovani o a un adolescente che si avvicina all’agonismo?

«Se ti aspetti unanimità di consensi, se speri che nessuno ti critichi, vai incontro a delusioni. Anche se sei il migliore al mondo, ci sarà sempre qualcuno che contesterà il tuo valore o che ti farà sentire non all’altezza. Per questo ho capito che la vera sfida non è pensare a sé stessi, ma alla squadra che si rappresenta. Ho imparato a lavorare per la squadra, si ottiene di più. Inoltre, per reggere le pressioni dell’alto livello bisogna saper essere consapevoli, per potersi affidare unicamente al proprio giudizio. Ogni giorno mi analizzo, mi faccio domande e mi piace lavorarci su. Cerco un mio vero parere, mi isolo dalle opinioni degli altri.
E poi, in fondo, aspetto più importante, servono le motivazioni. Due sono quelle, a mio modo di vedere, che ti spingono a vivere la vita dell’atleta professionista, ma che in generale contano nella vita. La necessità e la passione. Quest’ultima o ce l’hai o non rimani ad alti livelli a lungo.»

Possiamo quindi affermare che uno dei parametri per giudicare le qualità potenziali di un atleta sia la presenza di una passione profonda e radicata e di una sua individuale capacità di valutarsi?

«Sì. Nella pallavolo, ad esempio, se vedi uno alto di solito dici che è forte. Però potrebbe non dimostrarlo nel futuro. Conta quello che sei dentro, quanto sei cosciente delle tue caratteristiche e quanto vuoi fare in base ad esse. Questo è ciò che rende forti i giocatori, imparare a giocare ottimizzando le proprie qualità. Sognare in grande e conoscersi bene.»

Lei è ormai a fine carriera, dopo tante esperienze accumulate, il ruolo del palleggiatore per lei non ha molti segreti. Ce ne rivela uno?

«Ciò che più conta nel ruolo del palleggiatore è la capacità di capire le persone che hai intorno, saper creare il feeling giusto, leggere negli altri quel particolare momento o segnale. Dal primo minuto che ci si forma come palleggiatore bisogna imparare questo. Certo, si lavora tanto per migliorarsi nella tecnica, ma ad un certo livello tutti hanno qualità importanti sotto questo aspetto, la differenza emerge più in relazione all’aspetto psicologico.»

Rimarrà a Verona anche per la prossima stagione e nel prossimo futuro?

«L’anno prossimo di sicuro. Sono innamorato di questo progetto, di questa squadra e di questa città. Con la famiglia stiamo valutando il da farsi. Qui la qualità della vita è eccellente, specie per i bambini. Ci troviamo davvero bene a Verona. Si può passeggiare a piedi per le strade del centro, posso portare i miei figli a scuola in pochi minuti. Loro sono italiani e probabilmente lo diventerò anch’io tra circa un anno. Vedremo, magari poi rimarremo qui anche dopo la fine della mia carriera.»

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