Basta con le immagini di braccianti agricoli alle prese con la raccolta dei pomodori. Basta con le panoramiche sulle baraccopoli in Puglia e in Campania, che ancora esistono certo, e rimangono un’offesa indiscutibile alla dignità umana.

Negli ultimi due anni c’è stato un cambiamento in Italia, relativo al fenomeno del caporalato e dello sfruttamento lavorativo, che ci deve far cambiare drasticamente il modo di raccontare questa grave piaga della nostra società.

Lo descrive l’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil (Federazione lavoratori agroindustria), che all’ormai consolidato Rapporto Agromafie (in autunno uscirà la sesta edizione), da quest’anno ha deciso di affiancare nuove pubblicazioni periodiche sul tema del caporalato, tra cui la serie Quaderni che ha preso il via a Roma il 23 marzo.

La geografia del caporalato in Veneto

Il Primo Quaderno, presentato alla Sapienza di Roma, dal titolo La Geografia del Caporalato, oltre a fotografare l’attuale distribuzione del problema sul territorio italiano, approfondisce lo strumento della “Rete del lavoro agricolo di qualità”, teoricamente messo a disposizione dalla Legge 199 del 2016, la legge per il contrasto al caporalato.

Infografica sul Veneto

Il quadro descritto dal Quaderno, è una rappresentazione impietosa sulla capillarità del fenomeno dello sfruttamento lavorativo e del caporalato in agricoltura.

La prima novità della ricerca ci dice che su 260 procedimenti giudiziari aperti, la maggior parte si trova nel centro-nord dell’Italia: 143 contro i 117 aperti nel sud Italia e nelle Isole.

Questa tendenza negativa per il nord Italia è confermata dagli accertamenti ispettivi a cura dell’Ispettorato del Lavoro.

Se in tutto il Paese, nel periodo 2012-2020, è stato misurato un calo generale del 28% di lavoratori irregolari coinvolti nelle violazioni accertate, il dato delle macro aree ci rimanda un andamento molto diverso: sud -42% (mezzogiorno), centro -23%, nord +26%.

Se si va poi a guardare con più attenzione la situazione in Veneto, ci si accorge che la nostra è proprio una delle regioni più colpite dal fenomeno dello sfruttamento lavorativo.

Giosuè Mattei, segretario generale Flai Cgil Veneto, attraverso un comunicato stampa seguito alla presentazione del Quaderno, ha confermato che l’unica provincia veneta ad oggi senza alcun procedimento giudiziario aperto, è quella di Belluno.

“Un altro elemento di preoccupazione che abbiamo riscontrato è che il fenomeno dello sfruttamento lavorativo e del caporalato, in Veneto, ha varcato i confini dell’agricoltura per trovare terreno fertile negli appalti delle aziende industriali nei settori: manifatturiero, della logistica, edile, del volantinaggio.” continua Mattei.

Inoltre in Veneto il volto dello sfruttamento ha i connotati delle cooperative cosiddette “senza terra”, che svolgono intermediazione di manodopera a bassissimo costo tra lavoratori vulnerabili ed aziende agricole autoctone.

I costi umani ed economici dello sfruttamento lavorativo

Foto autorizzata da Sabrina Baietta – Agri.Bi Verona

L’ultimo Rapporto Agromafie stimava che tra il 2018 e il 2020 i lavoratori gravemente sfruttati in condizioni indecenti e servili nella regione Veneto fossero oltre 5.500, pagati tra i 3 e i 4 euro l’ora.

Tutto questo, oltre a ledere i diritti dei lavoratori sfruttati e continuare a mantenerli nell’illegalità e nella marginalità, costa all’economia regionale 5,4 miliardi di euro, che equivarrebbero al 3.8% del Pil Regionale.

Quello che va per la maggiore è il cosiddetto lavoro grigio, ovvero rapporti di lavoro sanciti da contratti ingannevoli redatti con la complicità di società di consulenza del lavoro.

Una delle difficoltà nel contrastare il fenomeno in Veneto è la mancata istituzione in tutte le province venete della Sezione Territoriale del Lavoro Agricolo di Qualità prevista dalla legge 199/2016, dalla cui promulgazione sono già passati 5 anni.

Sostanzialmente il compito delle sezioni territoriali è implementare, con la sinergia tra i soggetti istituzionali e le parti sociali del settore agricolo, le azioni utili a fare emergere ed eliminare l’illegalità nel lavoro agricolo e le situazioni di degrado sociale in cui vivono molte lavoratrici e lavoratori, soprattutto stranieri.

Con le prossime campagne agricole in arrivo, con i prezzi delle materie prime alle stelle come conseguenza della crisi ucraina, c’è la preoccupazione di una nuova crescita del fenomeno del caporalato.

Si teme infatti che dietro il buon proposito di lasciare le imprese quanto più possibile libere di muoversi perché continuino a essere produttive nonostante la crisi, si nasconda il pericolo che al diminuire dei controlli, aumenti ancora lo sfruttamento.

Buone prassi a Verona

Acquista quindi, ancora più significato la realizzazione del primo corso, organizzato da Agri.Bi, ente bilaterale per l’agricoltura veronese, di cui fanno parte Confagricoltura, Coldiretti, Cia, Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil, rivolto alle vittime o potenziali vittime dello sfruttamento e del caporalato.

I partecipanti alla prima edizione del corso. Foto autorizzata da Sabrina Baietta – Agri.Bi Verona

La sede prescelta per il primo corso è quella della Ronda della Carità, organizzazione di volontariato che si occupa di persone senza dimora (a cui Heraldo ha assegnato il premio Veronesi dell’Anno 2021).

Il corso rientra nel progetto Farm (Filiera dell’Agricoltura Responsabile), cofinanziato dall’Unione Europea, che coinvolge Veneto, Trentino – Alto Adige e Lombardia, con l’Università di Verona, capofila del progetto Farm nel territorio scaligero.

Parteciperanno 120 cittadini di Paesi terzi, suddivisi in sei edizioni tra marzo e aprile, per lo più giovani dai 18 ai 25 anni, da poco arrivati in Italia e quindi più a rischio di cadere nella catena dello sfruttamento.

Inoltre a 40 migranti, selezionati tra i 120 sulla base dell’interesse e delle motivazioni, sarà riservato un ulteriore corso di formazione specializzata sulla coltivazione, raccolta e prima lavorazione dei piccoli frutti.

Abbiamo chiesto a Sabrina Baietta, responsabile dello Sportello Lavoro di Agri.Bi, un’impressione a caldo sulla prima edizione del corso, che si è concluso il 30 marzo.

Foto autorizzata da Sabrina Baietta – Agri.Bi Verona

“Siamo molto soddisfatti di questa prima edizione. È stato molto emozionante vedere entrare i primi allievi nella sala messa a disposizione dalla Ronda della Carità, e che noi abbiamo attrezzato ad aula didattica.

Avevano l’espressione stupita di chi trovava qualcosa di bello preparato per loro: la stanza, i materiali didattici, gli istruttori che li attendevano… Tutti i ragazzi hanno partecipato con attivo interesse.

Ed è anche stato importante vedere come si sono lanciati a creare interazioni nei vai momenti di pausa e in quello del pranzo che abbiamo voluto fare tutti insieme.

Alla fine, quando hanno ricevuto l‘attestato di partecipazione, mi sono resa conto che per loro quel diploma non significava solo aver partecipato ad un corso di formazione sulla sicurezza.

Per un ragazzo vittima, o potenziale vittima di sfruttamento, significa avere in mano qualcosa che certifica delle loro competenze, che attesta che sono lavoratori con un valore, con delle capacità che possono essere riconosciute in un rapporto di lavoro.

Vede, è questo l’obiettivo finale di questo corso. Non solo dare delle informazioni tecniche, per quanto utili e necessarie, ma fare in modo che questi ragazzi a rischio di sfruttamento, possano invece entrare nel mercato del lavoro vedendosi riconosciuti le loro competenze e i loro diritti.”

©RIPRODUZIONE RISERVATA