Pif, l’amore ai tempi dell’algoritmo
Algoritmi, il lavoro dei rider e il precariato, il mondo virtuale delle app nell'ultimo film di Pif, all'anagrafe Pierfrancesco Diliberto “E noi come stronzi rimanemmo a guardare”.
Algoritmi, il lavoro dei rider e il precariato, il mondo virtuale delle app nell'ultimo film di Pif, all'anagrafe Pierfrancesco Diliberto “E noi come stronzi rimanemmo a guardare”.
Sabato 2 aprile Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif , ha presentato al Cinema Teatro Alcione di Verona, “E noi come stronzi rimanemmo a guardare”, suo terzo film visto alla scorsa edizione della Festa del Cinema di Roma ed uscito sulle piattaforme sky a novembre, senza passaggi in sala.
La presenza del regista è stata fortemente voluta dall’associazione Yanez Verona, una nuova comunità di giovani attivisti, costituita in piena pandemia, che cerca riscatto per la propria città attraverso impegno civile e cultura.
Il film parte dal precariato dei riders e allarga lo spettro alla pesante influenza dell’algoritmo sulle nostre vite, dalle relazioni d’amore al posto di lavoro, in un futuro distopico, talmente realistico da suscitare nello spettatore immediate riflessioni sulle libertà individuali violate, spesso inconsapevolmente.
La visione avviene in una sala gremita, finalmente senza distanziamento, un risultato sorprendente per una pellicola disponibile online da quattro mesi.
La storia è incentrata sui paradossi della vita di un ex manager (Fabio de Luigi), estromesso dall’azienda a causa dello stesso algoritmo da lui inventato, mollato dalla fidanzata dopo la bocciatura dell’app dell’amore, che si ritrova in un mondo di piattaforme di offerta di lavoro che non prevedono età superiore ai 40.
L’unica alternativa, suo malgrado, resta il mondo dei Riders e le assurde condizioni che sono costretti ad accettare, tra ricompense virtuali, cubi contenitori per il cibo luminosi, km in bicicletta da percorrere sfidando meteo, fatica e recensioni degli utenti.
La nuova vita di Arturo (De Luigi), arricchita dalla presenza del coinquilino Raffaello (lo stesso Pif), insegnante di filologia romanza / hater sui social per arrotondare, cambia quando si innamora di Stella (Ilenia Pastorelli, splendida in look anni sessanta), un ologramma che incarna la sua compagna ideale e che svanisce dopo la settimana di prova, con la richiesta di abbonamento a 199 € a settimana.
Arturo affronterà molte avversità, prima di capire che Stella è una persona reale, chiusa in una torre a Mumbai, in attesa di ritrovare la libertà insieme a lui, o quanto meno l’illusione.
Il finale è amaro e il pubblico, dopo aver riso molto durante la proiezione, è colpito dalle distopiche proiezioni di un futuro che sembra dietro l’angolo.
Pif sale sul palco, accompagnato da Jacopo Buffolo, tra i fondatori di Yanez, Raffaele Fasoli, Segretario Generale FILT CGIL, Verona e Margherita Margotti, studentessa ex rider ed è accolto da un lungo applauso.
Pif conferma la sua verve e la sua profonda umanità, è allegro e scherza sul fatto che nessuno di noi si sia accorto che il film potevamo guardarcelo comodamente seduti sui nostri divani a casa. In realtà è molto soddisfatto del successo della serata e ha subito con molta sofferenza la mancata uscita del suo lavoro nelle sale.
È ispirato al libro “Candido” di Guido Maria Brera e Raffaele, del collettivo “I Diavoli” , ma anche all’ultimo lungometraggio di Jacques Tati, che Pif ama molto.
La direzione degli interventi dal palco è volta ad evidenziare le condizioni di molti giovani costretti a lavorare sottopagati e senza tutele. La pandemia ha esasperato e sfruttato il servizio a domicilio senza tenere conto della condizione dei lavoratori.
La proposta di Yanez con volantini lasciati sulle sedie del teatro, è di istituire anche a Verona la Casa del Rider, un luogo dove possano riposare tra un turno e l’altro, ricaricare il cellulare, lasciare la bici in un posto sicuro e socializzare nei momenti di pausa. Condizioni che anche Pif conferma essere il minimo sindacale per affrontare questa attività, diritti talmente elementari che è assurdo dover reclamare.
Il pubblico in sala è molto attivo e la presenza di Pif sposta la discussione su molti altri temi, che ruotano intorno al senso di sconfitta nato nell’individuo passivo in una società dell’algoritmo, che prospera su dati che abbiamo fornito noi, senza pensarci troppo su. Milioni di app che pretendono di controllare il nostro movimento, la nostra alimentazione, le nostre relazioni senza darci scampo, nè tregua.
Pif non ha soluzioni, se non la sua intelligente ironia, ma è certo che l’impegno civile, il portare in pubblico certe battaglie possa ancora aiutare a uscire da questo potenziale isolamento. Viene da una terra martoriata dalla mafia e l’unico rimedio che ha trovato è continuare ad alzare la testa ed essere vigili, cercare di cambiare la mentalità dei governi attraverso la comunità, la socializzazione e la cultura.
A questo futuro imposto costruito dagli smartphone e dal Grande Fratello del web, l’unica e forse utopica salvezza appare la vecchia partecipazione in carne ed ossa, la circolazione delle idee attraverso le voci, le risate, l’ascolto.
«La libertà non è star sopra un albero,
Giorgio Gaber e Sandro Luporini – La libertà
non è neanche avere un’opinione,
la libertà non è uno spazio libero,
libertà è partecipazione!»
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