Caritas Italiana, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, ha pubblicato un rapporto (“La pandemia delle disuguaglianze”) in cui si ritrovano confermati i dati di Oxfam e di cui abbiamo parlato nel precedente articolo.

In questo secondo studio tuttavia, c’è una parte interamente dedicata alle donne. Questo perché sono le donne ad aver subito i contraccolpi economici e sociali più duri della pandemia.

Il Covid19 infatti ha significativamente aumentato il carico femminile del lavoro di cura non retribuito ed il lavoro domestico in un momento in cui le famiglie hanno avuto meno risorse e minor accesso ai servizi.

Nel mondo sono 740 milioni le donne che lavorano nell’economia informale, e durante il primo mese della pandemia il loro reddito è crollato del 60% .

La pandemia sta anche spingendo le donne fuori dal mondo del lavoro in misura prevalente e fuori dall’istruzione. Oltre 20 milioni di ragazze nel mondo, rischiano di non tornare mai più a scuola.

She-cession

La crisi seguita al Covid19 è stata etichettata da alcuni osservatori come she-cession, vale a dire una recessione in cui a pagare le conseguenze peggiori sono in modo sproporzionato le donne.

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Le persistenti disuguaglianze di genere nell’accesso, nella permanenza e nella progressione delle carriere sul mercato del lavoro italiano si sono inasprite per effetto della pandemia.

L’ILO (Organizzazione internazionale del lavoro) rileva che in Italia ci saranno 13 milioni di donne in meno occupate nel 2022 rispetto al 2019, mentre l’occupazione maschile sarà tornata ai livelli del 2019.

A livello globale, solo il 43,2% delle donne in età lavorativa sarà occupata nel 2022, rispetto al 68,6% degli uomini.

Se è ancora troppo presto per valutare appieno gli effetti della crisi pandemica sul mondo del lavoro, qualche indicazione chiara è stata resa pubblica dai dati ISTAT risalenti al febbraio 2021: in Italia su 101 mila nuovi disoccupati, 99 mila sono infatti donne. Chi ha dovuto rinunciare al lavoro e all’indipendenza economica quindi, sono state soprattutto le donne (in particolare se con figli).

Il lavoro di cura informale

A livello informale, invece, la pandemia ha portato un aumento del carico di lavoro ripartito in modo diseguale tra uomini e donne, nonostante il potenziale che avrebbe potuto ricoprire lo smart working nel mettere anche gli uomini nelle condizioni di contribuire maggiormente al carico domestico.

Secondo un’indagine condotta da UN Women in 22 Paesi tra Asia ed Europa le donne sono state costrette ad aumentare il loro contributo ai compiti di cura in percentuali incredibilmente elevate, con l’esempio delle attività di pulizia a rivestire il caso limite: le donne vi dedicano in media il 49% in più del loro tempo, contro il 33% attribuito invece agli uomini.

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L’incremento è meno sentito ma il divario è ancora più vasto se si considerano le attività di cucina, a cui le donne durante la pandemia hanno dedicato un tempo superiore di oltre il 20% rispetto agli uomini.

Anche la cura dei figli appare ancora prettamente a carico delle donne, sia per quanto riguarda la cura propriamente detta, che nel seguire le attività scolastiche.

Non sarà la fine della pandemia a riequilibrare la divisione dei compiti; o meglio, ad equilibrarla, considerato che la condivisione è sempre stata un obiettivo difficile da raggiungere. Esiste piuttosto un problema a monte che richiede un processo ancora lungo.

Parità di genere più lontana

L’uguaglianza di genere è peggiorata in quasi ogni aspetto. Sul fronte della salute, perché le donne sono esposte a un maggior rischio di contagio da Covid19. Sul piano occupazionale e finanziario, dal momento che nei settori più colpiti dalla crisi economica la maggior parte dei dipendenti appartengono al genere femminile, ma anche perché le donne sono sottoposte a contratti atipici in numero maggiore rispetto agli uomini.

E poi nella divisione non equa dei compiti familiari, nella disparità di accesso alla rete e alle tecnologie digitali che separa uomini e donne e nell’accesso ed esercizio di discipline STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica).

Purtroppo, in questo primo momento di ripresa, è particolarmente evidente l’assenza delle donne nelle sedi decisionali in materia di Covid19. Uno studio del 2020 ha rilevato che gli uomini sono molto più numerosi delle donne negli organismi creati per rispondere alla pandemia.

Conseguenze psicolgiche

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Passando alle conseguenze psicologiche della pandemia, l’80% delle donne dichiara un impatto devastante sulle proprie relazioni sociali e il 46% (1 donna su 2) sulla propria voglia di vivere.

Il 76% delle donne ha visto un impatto negativo sul desiderio di realizzare progetti per la propria vita. Sono le giovani donne (18-24 anni; 25- 34 anni) a segnalare un maggior impatto della pandemia sul loro umore, mentre l’83% delle meno giovani (55-65 anni) soffrono maggiormente sul fronte relazionale.

Per il 64% delle più giovani (18-24 anni) la pandemia ha avuto un impatto fortemente negativo sulla propria autostima.

Da dove ricominciare (e come)?

La lezione della pandemia, sembra essere una lezione al contrario quindi. Ci ha mostrato che perseguire una strada lastricata di diseguaglianze non porta lontano. Non ferma la diffusione del virus di Covid19, ma nemmeno tutti gli altri virus sociali che sono stati amplificati dall’emergenza sanitaria.

Anche il rapporto Caritas conclude con delle proposte di cambiamento. E lo fa riportando l’invito di Papa Francesco: “Il flagello della pandemia ha messo alla prova tutti e tutto. Solo una cosa è più grave di questa crisi, ed è il rischio di sprecarla e di non imparare la lezione che insegna. È una lezione di umiltà, che ci mostra che non è possibile vivere una vita sana in un mondo malsano, o andare avanti come prima, senza riconoscere cosa è andato storto.”

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