Donne e lavoro: Aiaf contro la disparità di genere
In Italia ci vuole un profondo cambiamento culturale. Per questo AIAF Veneto e Federmanager Verona hanno ideato un manifesto per la parità di genere nei luoghi di lavoro.
In Italia ci vuole un profondo cambiamento culturale. Per questo AIAF Veneto e Federmanager Verona hanno ideato un manifesto per la parità di genere nei luoghi di lavoro.
Durante la Giornata internazionale dei diritti della donna si è svolto un incontro on line sulla disparità di genere nel mondo del lavoro organizzato da Aiaf (Associazione Avvocati per la Famiglia e i Minori) e Federmanager Verona.
Il webinar è stato tenuto con l’obiettivo di portare alla luce le delicate tematiche riguardanti le lavoratrici che spesso si vedono deturpate di diritti fondamentali in termini di retribuzione e di svolgimento delle loro mansioni lavorative compatibilmente con il ruolo di mamme.
La conferenza si è aperta con una dedica a tutte le donne che soprattutto in questo periodo, nonostante gli scenari della guerra, continuano a essere portatrici di vita e speranza.
La assessora alle Pari Opportunità Francesca Briani sottolinea che Federmanager si impegna a trattare il tema della disparità di genere sul lavoro con un’agenda tanto fitta da prevedere fino a cinquanta appuntamenti. “Questo è il nostro modo di lavorare” afferma oltre a citare una campagna Rai in cui si dice che si arriverà a parlare di lavoro paritario fra 136 anni. Al momento il gap tra la retribuzione maschile e quella femminile è ancora del 20% nel settore imprenditoriale.
L’avvocata Sabrina De Santi, Presidente della Regione Veneto AIAF, spiega che esiste già l’art. 37 della Costituzione che stabilisce che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.
Tuttavia c’è un pregiudizio culturale di fondo difficile da smantellare secondo il quale è la donna che si prende cura della famiglia con “l’aiuto” dell’uomo.
I figli hanno bisogno di tutti e due i genitori che devono dividersi equamente gli incarichi per salvaguardare il lavoro di entrambi.
Il principio di parità che è solito entrare in gioco in fase di separazione dei genitori deve essere richiamato prima che la famiglia si disgreghi.
Come sottolinea Mariella Ruberti, coordinatrice Minerva e Federmanager Verona, i dati attuali sono ancora lontani dal raggiungimento di una parità di diritti e l’Italia risulta penultima in Europa, solo prima della Grecia, in fatto di copertura delle donne di posti dirigenziali.
Per non parlare che solo il 42% delle donne in Italia lavora e 5 milioni di donne rinunciano alla maternità perché non possono permettersi di perdere il lavoro o passare al part-time. Il part-time riguarda il 19% delle donne e solo il 6% degli uomini.
Purtroppo questo è conseguenza di una mentalità ancora troppo diffusa che la maternità sia un ostacolo anziché un valore aggiunto.
In questo scenario si stima che se il tasso d’occupazione femminile aumentasse arrivando al 60%, il PIL potrebbe crescere del 7%, portando quindi un grande vantaggio economico al paese.
La disparità di genere riguarda anche fortemente il mondo manageriale, dove nelle imprese italiane la conduzione maschile è dell’83% contro il 12,2% di quella femminile e il restante è paritaria, ma si tratta quasi sempre di microimprese.
600 mila sono i lavoratori in Italia contro 168000 lavoratrici ovvero il 28% e i ruoli apicali sono ricoperti da 22000 donne ovvero solo il 18% rispetto agli uomini. Inoltre la retribuzione è inferiore a quella maschile..
La questione della disparità di retribuzione è stata ampiamente dimostrata dall’avvocata Monica Caumo che ha messo in luce che in alcuni paesi è obbligatorio per le aziende produrre un documento che pubblichi le retribuzioni dei suoi dipendenti, il cosiddetto certificato di parità salariale.
In caso di differenze retributive tra uomini e donne il datore di lavoro deve dare delle spiegazioni.
Di grande portata storica c’è un caso in Inghilterra che ha gettato le basi per una maggiore parità in cui una conduttrice della BBC ha portato in tribunale il datore di lavoro in quanto riceveva uno stipendio sei volte inferiore rispetto ad un suo collega. La Corte Inglese ha condannato la BBC per discriminazione retributiva.
Anche in Italia si sta facendo qualche passo in avanti e di recente è uscita la legge 162 del 5 novembre che sembra andare in questa direzione e che obbliga le aziende con più di 50 dipendenti a pubblicare le retribuzioni.
Ma è ovvio che di pari passo al cambiamento culturale deve esserci un cambiamento anche sul fronte della tutela giudiziaria.
Molti sono stati gli interventi sui temi che riguardano la maternità, prima, durante e dopo, il demansionamento, la modifica dell’orario di lavoro.
«Le donne non devono più essere costrette a scegliere tra l’essere madri o fare carriera» afferma l’avvocata e referente della sezione veronese di Aiaf Veneto, Gabriella de Strobel.
Inoltre, non devono essere demansionate al rientro dalla maternità, costrette a patteggiare un licenziamento incentivato, sottoposte a modifiche contrattuali senza accordo di ambe le parti.
A proposito di questo, l’avvocata Federica Severino ha illustrato un caso di una lavoratrice che si è vista cambiare l’orario stabilito per il part-time dalle 10 alle 15 da lunedì a venerdì a un part-time verticale che prevedeva anche turni in altri orari e nel week-end cosi da non permetterle di accudire la figlia. Il tribunale di Bologna le ha dato ragione.
La sentenza prevede che il datore di lavoro non possa modificare il contratto di lavoro unilateralmente e debba dare ragioni oggettive per rendere valide le clausole cosiddette elastiche.
Risalta da questa riflessione sul mondo del lavoro la probabilità di una fessura, anche se poche sono le imprese che adottano politiche inclusive, dove la famiglia è un valore anche per l’azienda, dove la nascita di un bimbo rappresenta una risorsa e non un ostacolo e dove le lavoratrici sono agevolate nel loro ruolo assistenziale e di caring.
Sono stati fatti nomi di aziende, la Roberto Brazzali spa, l’impresa di Vinicio Vulla a Caltrano e la Bellar Claudio srl in cui sono previste delle misure contro la disparità.
Baby bonus per il secondogenito, (ancora più corposi per il terzogenito), orari ritagliati prolungati oltre il periodo consueto al rientro dalla maternità, mensilità in più, rimborsi di spese di asilo e di refezione scolastica.
Il quadro che emerge dalle relazioni delle avvocate Francesca Borin e Veronica Dindo sul tema della presunta gratuità del lavoro nelle imprese famigliari delinea una situazione di ambiguità perfino dal punto di vista giuridico.
Di fatto non vi è una legge che tuteli i rapporti di lavoro del coniuge o convivente nell’impresa famigliare (quasi sempre l’impresa è del marito o compagno e la moglie lavora alle sue dipendenze molto spesso senza un regolare contratto di lavoro).
E qui ci si aspettano dei veri e propri passi in avanti perchè siamo ancora fermi ad una legge di cinquant’anni fa ed è ora, dice l’avvocata Dindo, “di fare un po’ di bilanci”. Da una parte quindi poca tutela, dall’altra molto è lasciato all’interpretazione tanto più che una sentenza del 2017 del Tribunale di Verona rigetta il ricorso della moglie per non sussistenza di prove rigorose.
Infine concludono la conferenza con un po’ di dati internazionali gli interventi di Giulia Bettagno, direttrice Casa Girelli e responsabile Verona Federmanager, e Giancarlo Simion, unico uomo al tavolo delle relatrici.
Da uno studio del Sole24Ore e la Fondazione Moressa emerge che la valorizzazione femminile è molto alta nei Paesi nordici (97% in Svezia) mentre nei Paesi dell’Europa dell’est è molto bassa e anche in questa graduatoria l’Italia ne esce sconfitta, solamente al penultimo posto dopo la Romania e prima della Grecia.
«In Svezia le quote rosa non esistono, è una società molto pragmatica, le loro scelte si basano su evidenze scientifiche» dice il Simion. La Svezia è uno dei paesi che maggiormente rappresentano un’ evoluzione, si trova al quinto posto del gender gap. A livello sociale si mette in risalto il welfare che rappresenta «la leva per diminuire differenze e discriminazioni al fine di creare un circolo virtuoso». Gli asili sono praticamente gratuiti e i giorni di maternità sono 480. I figli in Svezia si staccano dal nucleo famigliare a sedici anni e lo Stato promuove politiche attive per i mutui agevolati.
In Italia ci vuole un’innovazione, un profondo cambiamento culturale. Per questo AIAF Veneto e Federmanager Verona hanno preparato un manifesto con cui si individuano i capisaldi delle loro principali idee.
Il manifesto non fa leva su una presenza necessaria delle donne (quote rosa) ma sulla meritocrazia, per portare avanti una questione che non è solo femminile ma che va vista come prospettiva di sviluppo sostenibile:
“MANIFESTO di Verona per la parità di genere nel lavoro”
· Estensione alle aziende con meno di 50dipendenti della Legge 5.11.2021 n. 162 “sulla parità salariale”
· Incentivi previdenziale alle aziende che adottano la parità
· Incentivi fiscali alle aziende femminili
· Dati pubblici sulla parità di genere nelle aziende
· Welfare integrato di sostegno alle famiglie
· Congedi di maternità e paternità obbligatori con aumento dell’indennità anche fino all’80% della retribuzione
· Lavoro elastico, flessibile, con divieto di pratiche discriminatorie per tutti i lavoratori
· Smart working: senza rallentamento nella retribuzione e/o nella carriera
· Lavoro per obbiettivi
· Divieto di dequalificazione al rientro dalla maternità e paternità
· Introduzione dei patti prematrimoniali
· Modifica art. 230 bis c.c. “la donna lavoratrice – anche all’interno dell’impresa famigliare – ha diritto ad un’equa retribuzione
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