“Svegliatevi dormienti!” è il titolo scelto per la giornata di studi dedicata a Philip K. Dick organizzata da Extra Sci-Fi Festival Verona in collaborazione con l’Università degli Studi di Verona.

Una giornata in cui l’eredità dell’autore americano verrà raccontata e analizzata sotto diversi punti di vista, dall’influenza sulla pop-culture a questioni attualissime sul rapporto umano/artificiale e reale/virtuale.

Un’eredità fatta di 44 romanzi e oltre un centinaio di racconti brevi ma che sarebbe riduttivo limitare alla produzione letteraria. L’influenza di Dick, infatti, ha lasciato tracce profondissime nell’immaginario collettivo, ben oltre alla nicchia della letteratura di fantascienza da cui è definitivamente uscito, subito dopo la sua morte, con il successo planetario di Blade Runner.

Per provare a orientarci meglio nei mondi di Dick e tra i problemi apertissimi legati alla “lotta dell’artificiale”, abbiamo intervistato Domenico Gallo, primo speaker della sessione pomeridiana dell’evento dell’11 marzo. Esperto di storia della scienza e della fantascienza, tra le varie pubblicazioni è co-autore dell’enciclopedia dickiana “P.K. Dick La macchina della paranoia” e dirige la collana “Fantascienza e Società” di Mimesis Edizioni.

Gallo, partiamo dal titolo di questa giornata di studio: “Svegliatevi, dormienti.” è il titolo italiano di un libro del ’66 che copre tra i vari temi il razzismo, il colonialismo e la fuga verso altri pianeti come soluzione alla sovrappopolazione. Philip K. Dick come Jules Verne? Quali delle profezie dickiane si sono avverate? 

«Uno scrittore disse che un romanzo di fantascienza parla molto di più dell’anno in cui è stato scritto che di quello in cui è ambientato. Anche per Dick è così. Era magistralmente bravo a percepire le tensioni, le paure, le innovazioni che si insinuavano nella sua società e, attraverso la fantascienza dava loro una forma letteraria e le materializzava in un romanzo. Un bravo scrittore come lui è stato capace di riscrivere nella sua fantascienza tutte le angosce della sua società la Guerra Fredda, il clima di sospetto, il maccartismo, l’ingiustizia sociale, le lotte per i diritti civili e la democrazia. Ma se c’è una cosa che Dick prevede, o meglio percepisce prima di altri, e forse inconsapevolmente, è stato che la società statunitense stava complessivamente vivendo una progressiva riduzione delle libertà personali da parte delle classi dominanti, dai loro media e dagli apparati governativi. Era un tradimento della Costituzione davanti agli occhi di tutti, ma solo nei suoi romanzi si vede così chiaramente dove gli USA stessero andando. Varrebbe la pena di rileggere in questo senso il suo primo romanzo, Solar Lottery, e metterlo in relazione con la crisi della Presidenza (tanto presente nelle serie TV) che è oggi così evidente.»

Il nuovo capitolo della saga di Matrix, Blade Runner 2049, gran parte dell’opera di Christopher Nolan… Com’è possibile che le visioni di Dick abbiano avuto una vita così lunga anche nella cultura pop, pur essendo legate a una tecnologia che è avanzata con una rapidità sconvolgente?

«Dick non ebbe importanti intuizioni nel campo delle tecnologie elettroniche o energetiche, ma seppe intuire molto della biotecnologia e della bioingegneria. E anche comprese il complesso delle tecnologie della simulazione e il loro rapporto con il potere. Sono pochi i critici delle tecnologie (di cui la fantascienza è molto ricca) a pensare alla convergenza tra media globali e biotecnologie che abbiamo oggi e che si dovrà ulteriormente sviluppare.

La copia dell’umano, la replica e simulazione del suo pensiero si affiancano alla simulazione di un mondo attraverso l’inganno dei suoi organi di percezione. Non dimentichiamo che Dick esce dal mondo dell’underground e della fantascienza intesa in senso stretto solo dopo la sua morte, cioè quando la fine del modo di produzione capitalista sta cambiando paradigma e abbandona la predominanza elettromeccanica per acquisire un’esperienza informatico e biologica.

Dick pensa che le creature artificiali siano oggetti industriali, certo molto sofisticati, ma più parenti di un frigorifero che di un umano. Anzi la loro vocazione industriale a sembrare umani li rende infidi, ma ancora più diversi dagli umani (diversi in maniera interiore). Se pensiamo al romanzo Ma gli androidi sognano pecore elettriche? È molto evidente che Dick pensa a un complotto delle industrie. Ma Hollywood si appropria delle intuizioni dickiane e, per farne plot di successo, ne ribalta ogni aspetto etico. Gli androidi da cattivi devono diventare buoni ed essere migliori degli umani, anzi eredi di quella sensibilità ed empatia che gli umani hanno perso. Il contrario dell’idea di Dick, ma questo tradimento lo rende famoso!»

Il rapporto tra reale e digitale è un problema apertissimo nel mondo di oggi. In che modo tornare a leggere romanzi di oltre cinquant’anni fa può aiutare a orientarci nei rapporti tra società e tecnologia che a prima vista sembrano una novità assoluta della contemporaneità?

«Non può aiutarci. Come scrive Marshall McLuhan le tecnologie sottraggono all’umano una serie di compiti perché migliorano le sue performance amplificandone le specificità. Fanno più velocemente e meglio le stesse cose che avremmo fatto noi umani, quindi, inevitabilmente, le tecnologie ci espropriano ma, contemporaneamente, posso moltiplicare le nostre capacità cerebrali e comunicative. Queste capacità che ci offrono le tecnologie ormai ci sottopongono a uno shock permanente che provoca una diversa percezione della realtà. Per questo un film come Matrix ci ha tanto colpito, perché le tecnologie hanno invaso il nostro corpo e la nostra mente e la loro capacità di intercettare i nostri sensi ci espone a vivere altre realtà. Anche per Dick era così, e legge oggi le sue opere ci consente di capire che il concetto stesso di realtà oggettiva va ridefinito. Però ogni epoca ha avuto un proprio eccesso tecnologico, e siamo sopravvissuti senza gestire questi processi, ma essendone sommersi.»

Nell’opera di Dick, i diversi mondi si intrecciano dentro e fuori dalla mente umana fino a perdere i propri contorni. Oggi il metaverso e l’esistenza on-life sono una realtà sempre più stabilita. Quello che forse manca è l’attenzione all’equilibrio psicologico dell’uomo in bilico tra questi mondi?

«Non sappiamo se Dick percepisse davvero realtà distorte. I suoi appunti non aiutano e credo sia inutile porsi il problema se fosse o meno pazzo. Secondo me l’importante sono le sue opere, romanzi di fantascienza che all’inizio uscivano in riviste pulp da edicola. I suoi personaggi erano vittime di realtà instabili, destinate a corrompersi, a ribaltarsi, fino a perdere la stessa idea di realtà vera. Le cause possono essere esplosioni nucleari o potenti droghe, o effetti ignoti assolutamente non gestibili. In effetti avevamo già visto in Orwell che la realtà viene sostituita da una realtà prodotta dai media, che è più o meno quello che viviamo oggi. O, in caso di una guerra, ci sono diverse verità come nella serie tv L’uomo nell’alto castello. Se è stata la propaganda del potere a essere nel Novecento la macchina di nuove realtà opportunistiche al servizio dei vari totalitarismi – nazismo, fascismo, stalinismo, capitalismo – il nostro paradiso dei consumi ha progressivamente prodotto altre realtà a pagamento, diretto o indiretto. Esse derivano inevitabilmente da logiche prioritariamente sviluppate per la guerra poi diventate prodotto o arte. L’equilibrio è impossibile, ci dice Dick (ma lo penso anche io), e le diverse realtà ci inseguono, ci braccano, fino a inghiottirci.»

Negli ultimi tempi progetti come DeepDream di Google hanno cercato di interrogarsi su quello che accade in profondità nelle reti neurali artificiali, ripercorrendo di fatto le orme tracciate da Dick. Com’è cambiato l’approccio a questi temi? C’è ancora quell’ombra di inquietudine?

«Ormai è frequente che se un servizio di cui usufruiamo non funziona, abbiamo a che fare con un meccanismo impazzito e caotico (tipo il call center) o dobbiamo confrontarci con un agente software che chatta con noi. In ogni caso, difficilmente risolviamo il problema, esattamente come accadeva ai protagonisti dei romanzi di Dick che perdevano il controllo sulla propria porzione di mondo. La porta non si apre, l’aerotaxi ci conduce in un posto sbagliato, la nostra carta d’identità non funziona o le monete si trasformano. Il mondo di Ubik è esattamente questo, un mondo dove al crescere esponenziale delle interazioni comunicative aumenta l’entropia di messaggi. Quindi l’inquietudine è sempre altissima. Forse Dick ai tempi della crisi di Cuba sognava i missili nucleari al decollo, ma noi, come i personaggi di Ubik abbiamo un bel da fare in questa lotta disperata contro gli agenti entropici.»

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