Stefano Zattera, quando la fantascienza si colora di Noir
Il fumettista presenterà il suo volume Il Buco Noir durante EXTRA sci-fi festival. La nostra intervista
Il fumettista presenterà il suo volume Il Buco Noir durante EXTRA sci-fi festival. La nostra intervista
Nell’ambito di EXTRA sci-fi festival Verona, giovedì 10 marzo si terrà a La Sobilla un incontro con Stefano Zattera, uno dei più acclamati fumettisti e illustratori indipendenti italiani, autori di lavori pubblicati su, tra gli altri, “Linus”, “XL” di “La Repubblica”, “Frigidaire” e “Il Manifesto”. Una serata durante la quale Zattera presenterà Il Buco Noir, il suo nuovo volume, edito da Eris Edizioni e creato in collaborazione con il collettivo di autori indipendenti Stigma, che rappresenta una summa del suo immaginario tra noir e psichedelia. Con l’occasione abbiamo contattato Zattera per una chiacchierata all’insegna dell’amore per il fumetto e la fantascienza, alla scoperta delle sue influenze e del suo processo creativo…
Ci può parlare un po’ della sua formazione? L’immaginario del fumetto ha ovviamente un grande peso nei suoi lavori, ma lei non è solamente un fumettista…
«Mi iscrissi al Liceo artistico con l’idea di fare il fumettista, ma poi la nuova passione per la storia dell’arte mi ha instillato l’idea di indagare altre strade. Anche più tardi in Accademia, ho sperimentato varie forme di espressione, pittura, scultura, fotografia, cinema, scrittura, non mi sono fatto mancare niente. Ero e sono tutt’ora afflitto da quella che chiamo irrequietezza creativa che mi porta periodicamente a passare da un media all’altro.»
Il Buco Noir è il suo ultimo volume edito per Eris Edizioni. Una storia in cui si mescolano noir, sci-fi, action, western, erotico, gangster story. Un caleidoscopio lisergico di generi frullati in un unico universo. Quanto è premeditato tutto questo e quanto invece si lascia trasportare dalle sue influenze per creare una storia?
«Generalmente quando creo una storia parto da un’idea forte di fondo e poi mi lasco trasportare da idee e input esterni che sopraggiungono in corso d’opera. Nel caso di questo libro invece il presupposto era proprio quello di creare una sorta di opera omnia di tutto il mio lavoro e di tutti i miei mondi. La storia è nata proprio cercando di adeguarsi a questa esigenza. Un libro, quindi, che rappresenta una serie di sfide. In oltre 30 anni di attività tra fumetto illustrazione e pittura ho sempre procrastinato il desiderio di fare una storia lunga, un libro corposo. Un contenitore dove far coesistere tutti i personaggi creati nel tempo in un unico universo. Una storia in cui fondere tutti i generi che mi piacciono: il noir, la fantascienza, in primis, ma anche thriller, action, supereroi, western, psichedelica, distopia, erotismo, bizzarro ecc. Una sfida grafica: nel mondo di Earl, mille anni avanti a noi, guerre atomiche, inquinamento, chirurgia estetica estrema e accoppiamenti extraterrestri hanno portato alla perdita dell’eredità genetica, tutti sono mutanti, ognuno fa razza a sé, la sfida è quella di rappresentare tutti i personaggi, anche le comparse con una mutazione diversa.»
Protagonista de Il Buco Noir è il detective Earl Foureyes, già presente in altri suoi lavori. Ce lo vuole presentare? Come nasce?
«Earl Foureyes è un personaggio nato a metà degli anni ’90. La prima storia è stata pubblicata su “Schizzo”, la rivista del Centro Fumetto A. Pazienza nel 1995. Come quasi sempre accade (dovrebbe accadere) quando un autore crea un character, ho cercato di creare un personaggio nuovo, che non c’era, che mancava, di cui anche a me come lettore sarebbe piaciuto leggere le storie. Una figura che fosse una somma delle cose che più mi piacevano graficamente e narrativamente in quel periodo. La fantascienza visionaria e distopica di Dick e Ballard e l’hard boiled che va dal Marlowe di Chandler fino ai detective tormentati di Ellroy. Il pulp di Tarantino e Lansdale. Questo per quel che riguarda il contenuto narrativo e letterario. Per quel che riguarda i riferimenti grafici, volevo che ci fossero riferimenti alla figura di Spirit, il detective creduto morto di Will Eisner, l’immaginario mutante di Charles Burns, il surrealismo bizzarro del Madman di Mike Allred, l’ironia grottesca di Alan Ford di Magnus e Bunker, la componente irriverente e dirompente e radicale del fumetto alternativo di “Cannibale” e “Frigidaire”. Mixai il tutto e quindi creai un detective privato mutante senza macchia e senza paura che si muove in un futuro post guerra atomica, pesantemente inquinato e contaminato. Una società totalitaria, marcescente e caotica dove quasi tutti sono collusi con il crimine e corrotti fino al midollo, dalla polizia al premier.
Un futuro in cui la galassia è colonizzata e ogni pianeta è un’unica grande città. Un detective protagonista di indagini visionarie e psichedeliche che si dipanano in un mondo abitato esclusivamente da mutanti, alieni, mostri e freaks, dove tutto è portato all’eccesso. Essendo un mondo in cui tutti sono mutanti, gli occhi raddoppiati sono una mutazione ottima per un detective. Una vista potenziata, una super vista. Ma volevano essere anche un elemento di disturbo, anche fisico, visto che provocano un leggero fastidio ottico. Tra l’altro anche a disegnarli, a volte, quando Earl appare più volte nella tavola, devo coprire le parti già disegnate. Una scelta controcorrente rispetto agli eroi seriali sempre perfetti e di bella presenza. Earl voleva essere un personaggio ispirato (e che citava) il fumetto popolare di genere, ma filtrato dall’esperienza underground (da cui provenivo) e dal fumetto fuori dagli schemi dei disegnatori anni ’80 di “Frigidaire”.»
Lei è un autore legato al mondo delle fanzine, dell’autoproduzione, dell’underground. Un mondo che per certi versi sembrava in via di estinzione, ma che invece sta tornando alla ribalta grazie anche alle nuove tecnologie, che permettono di produrre volumi di qualità tecnica paragonabili a quelli delle case editrici mainstream anche a chi fa il fumetto per passione, e di venderli anche attraverso la rete. Quale pensa che sia il futuro per le opere autoprodotte?
«Sì, l’autoproduzione è cresciuta in maniera esponenziale negli ultimi anni. Sicuramente la questione delle nuove tecnologie di stampa accessibili e abbordabili ha contribuito in maniera sostanziale, andando comunque di pari passo con una forte crescita di interesse per il fumetto in generale che ha portato all’incremento dei festival, delle vendite e quindi alla nascita di numerose scuole, con il conseguente incremento di giovani autori. Le case editrici hanno quindi un’infinità di proposte che non riescono, per forza di cose, a soddisfare. I giovani autori si danno quindi all’autoproduzione per farsi conoscere trovando tra l’altro un circuito di festival dell’autoproduzione molto ampio e in continua crescita. Ormai ogni festival importante è affiancato dal controfestival indipendente. Vedo molti giovani autori bravi che si propongono con le loro cose creando un loro seguito, finché non vengono notati da un grosso editore e allora passano dall’altra parte. Non sono molti quelli che continuano comunque a frequentare anche i festival indipendenti. Un po’ come succede in vari ambiti creativi, primo fra tutti quello musicale. Quando sei un giovane ribelle l’etichetta indipendente è l’unica scelta dura e pura, ma appena una major ti propone un contratto vai di corsa nel mondo dei grossi numeri. È l’eterno dilemma del creativo: rimanere puri, squattrinati e conosciuti da cento fan o vendere l’anima al diavolo, fare i soldi e arrivare al grande pubblico?
Personalmente credo sia importante riuscire ad arrivare al grosso pubblico, ma, pur pubblicando da anni con editori e per periodici importanti, ho continuato a fare autoproduzione per certi progetti. Innanzitutto perché è l’unico modo per essere veramente liberi nella produzione e nella gestione del lavoro, e poi perché è un ambiente in cui mi sento più a mio agio. Non dovrei dirlo, ma le fiere ufficiali sono una bolgia, sono soffocanti, mi stressano. Anche a livello umano le fiere di autoproduzione sono più tranquille e rilassanti.
Credo che l’autoproduzione potrà anche avere una flessione e momenti difficili, ma non smetterà mai, sopratutto perché alla fine i grossi editori guardano principalmente alle vendite e certi temi, certi stili, non potranno mai essere presi in considerazione. Per contro ci saranno sempre autori che vorranno indagare strade poco frequentate e sperimentare.»
Quando è nata la sua passione per il fumetto e quando ha capito che quel mondo sarebbe diventato il suo lavoro?
«La passione per le storie disegnate è nata quando ero bambino. Ero un lettore avido di fumetti e il forte interesse mi ha portato a cominciare a copiarli e sviluppare la mia passione per il disegno. Dopo le peripezie con i vari mezzi di espressione creativa di cui accennavo sopra, ho deciso che avrei fatto fumetti seriamente nei primi anni ’90. Iniziai con le autoproduzioni ma, quasi da subito, cominciai parallelamente a pubblicare anche su periodici da edicola e altri editori. Ma poi l’irrequietezza creativa mi portò a intraprendere altre strade, ebbi la fase illustrazione e in seguito quella pittorica, abbandonai il fumetto per molti anni per poi tornare a farlo regolarmente dal 2015.»
Ai suoi esordi, c’è stato qualche autore in particolare che l’ha influenzata?
«Quando ho cominciato a disegnare da bambino sono partito copiando Il gruppo TNT di Magnus e lo Spider-Man di Ditko e Romita. E, devo dire, sono rimasti tra le mie influenze principali anche in seguito, quando ho cominciato a fare fumetti seriamente. Magnus in primis è un autore di cui ho sempre amato lo stile preciso e realista ma allo stesso grottesco, per me il più grande disegnatore italiano in assoluto. Ovviamente se ne sono aggiunti altri. Sicuramente il Will Eisner dei tempi di Spirit, con quel mix di noir e grottesco, e poi Charles Burns, per lo stile impeccabile e per le atmosfere inquietanti, a volte disturbanti. Aggiungerei anche Benito Jacovitti e Geoff Darrow, dei quali amo la tendenza a saturare, anche con dettagli “inutili”, le scene.»
Lei fa parte del Progetto Stigma, una sorta di collettivo di autori in lingua italiana che produce albi bypassando la normale distribuzione. Ci può parlare del progetto e di come è nato?
«Il progetto Stigma nasce da un’idea di AkaB [il fumettista e videoartista Gabriele Di Benedetto, ndr]. Ho avuto modo di assistere alla prima presentazione di Stigma nel 2017 al Bordafest a Lucca, e già in quell’occasione, entusiasta del progetto – che voleva mettere l’autore indipendente nelle migliori condizione di lavorare – feci sapere ad AkaB che avevo una mezza idea che gli avrei sottoposto prima o dopo. AkaB aveva già espresso le sue impressioni positive per il mio primo libro di Foureyes, citandolo in una sua intervista come una delle cose italiane più interessanti lette in quel periodo. Poi, iniziando a lavorare al nuovo libro sul detective mutante, postai su Facebook una prima tavola raffigurante il mondo in cui doveva svolgersi la storia, prima ancora di scriverla completamente. Subito mi arrivò un messaggio di AkaB che mi chiedeva se avevo già un editore per quella storia. Da quel momento sono salito a bordo della barca Stigma.
L’idea di AkaB era quella di creare una sorta di collettivo, di gruppo di autori non necessariamente accomunati dallo stile o dalle tematiche affrontate, ma piuttosto da una certa idea di fumetto, radicale, sperimentale, fuori dalle logiche di target e di vendita. Lasciare quindi all’autore la massima autonomia di gestione dell’opera grafica, fornendo comunque una consulenza editoriale sua (di AkaB) o di altri autori del gruppo. Contrapporre quindi alla figura dell’editor, imposto da una casa editrice tradizionale, un consulente vicino alla sensibilità dell’autore. Un altro obiettivo prefisso da AkaB era quello di riuscire a retribuire in maniera adeguata l’autore. Partendo dal presupposto che, una volta che un libro arriva in libreria e viene venduto, all’autore arriva tra il 7% e il 12% del prezzo di copertina, questo perché alla distribuzione va il 60%; l’intento era quindi bypassare la distribuzione. Si è creata quindi una piattaforma on line dove il libro viene messo in preordine uno/due mesi prima della pubblicazione. Agli utenti che acquistano con il preordine viene dato in omaggio un albo inedito dello stesso autore, che potrà avere solo chi effettua il preordine. Di tutti i libri venduti in prevendita, all’autore va il 30% sul prezzo di copertina. L’idea è quella di dare qualcosa in più al lettore e all’autore. Alla fine viene premiata la fiducia del lettore. Poi, una volta finito il preordine, il libro viene gestito da Eris, che è, di fatto, l’editore/partner del Progetto Stigma.
Con il gruppo di autori Stigma, oltre ai lavori personali, abbiamo collaborato a progetti collettivi, sempre coordinati da AkaB, da un libretto a fumetti, edito dal Comicon, sui testi del cantautore Daniele Celona, da abbinare al suo disco; a una serie di storie su tre generi: serial killer, sperimentale, satirico, apparse su “Alias Comics” de “Il Manifesto”; a un gioco da tavolo, Mekhane, edito da Cranio Creation. È stata una bella esperienza, anche se purtroppo senza un coordinatore catalizzante i lavori collettivi sono andati a sfumare. Stiamo comunque portando avanti il programma editoriale dei libri selezionati da AkaB.»
Earl Foureyes non è il suo unico personaggio iconico, ad esempio c’è anche il Superburocrate… Come nasce un suo personaggio? Parte da un’idea grafica, un’illuminazione, un sogno, oppure viene modellato dalla storia che lei ha in mente?
«I miei personaggi nascono sempre con modalità diverse. Earl Foureyes, come già detto, è nato dall’idea di creare un personaggio tra l’eroe popolare e il mutante underground. Baby Burger, nato visivamente come figurante in un’illustrazione, è stato poi selezionato per interpretare il protagonista di una striscia muta su un bambino terribile. Superburocrate è nato prima in un mio dipinto del 2010, dove raffiguravo un uomo in giacca, cravatta, pipa e 24 ore che sfrecciava nel cielo in posa da supereroe. L’idea di renderlo un personaggio a fumetti di satira è nata nel 2012, quando fui chiamato a collaborare con “Il Male” di Vauro e Vincino. Cow Girl è stata prima una modella sexy nel volume di illustrazioni di erotismo mutante Horrorgasmo, edito nel 1999 da Mondo Bizzarro Press. A parte qualche comparsata in Earl Foureyes, è diventata personaggio protagonista di storie a fumetti solo nel 2017, sulle pagine di “Alias Comics” de “Il Manifesto”. Insomma ogni volta è una storia diversa.»
Come “scrive” le sue storie? C’è un progetto a monte o si formano con il disegno?
«Anche qui non ho uno schema fisso ma dipende dai casi. Comunque in genere parto sempre da un’idea di partenza, che formalizzo in un breve soggetto per poi passare allo storyboard, dove scrivo anche didascalie e dialoghi. Nel caso de Il Buco Noir, essendo una storia lunga e dovendo dall’inizio relazionarmi con un editor, sono passato dal soggetto dettagliato a scrivere una vera e propria sceneggiatura come fosse un film, per poi passare allo storyboard e quindi alle tavole finali.»
Qual è il suo rapporto con la fantascienza e quali sono le opere del genere che l’hanno influenzata, dal cinema alla letteratura (e sì, anche al fumetto)?
«È un genere che ho sempre amato, tanto che la maggior parte delle mie storie, quelle del detective mutante, sono principalmente di fantascienza. L’influenza principale come ho già detto è sicuramente quella dei romanzi di Philip K. Dick. Quel tipo di sci-fi visionaria e distopica. Ma poi ho letto anche molti altri autori, da Asimov a Ballard. Ho anche scritto dei racconti di fantascienza – sempre mixata ad altri generi – che ho autopubblicato in una raccolta dal titolo Attenti al cane. A livello cinematografico ho visto e attinto da tante pellicole, partendo da Metropolis fino ai film anni ’50/’60 come L’invasione degli ultracorpi, Ultimatum alla terra, Il pianeta proibito e molti altri, dove ho pescato molto anche visivamente per l’immaginario di illustrazioni, quadri e fumetti. Poi ovviamente i grandi classici: 2001: odissea nello spazio, 1984, Blade Runner, le saghe di Terminator e Alien, Atto di forza, Minority Report, l’epopea di Star Wars e di Star Trek (la vecchia serie)… tanti, tanti altri. Il fumetto è forse il settore dove ho meno approfondito la fantascienza, ma ho comunque letto i classici, dagli albori di “Weird Science”, a L’Eternauta, Akira, L’Incal di Jodorowski e Moebius, La fiera degli immortali di Bilal… molto altro, ma la memoria poca. Comunque, alla fine, per quanto tu abbia degli autori o delle opere d’elezione, tutto quello che vedi ti influenza anche per piccoli spunti visivi.»
L’incontro con Stefano Zattera si terrà giovedì 10 marzo alle 20.30 presso La Sobilla, in Salita Santo Sepolcro 6/B a Veronetta. Per tutte le informazioni, consultate il sito ufficiale di EXTRA.