Entusiasmo e determinazione. Sono i due aggettivi che suggerisce Ilaria Milani, referente under 30 e responsabile Politiche Giovanili di Azione a Verona. L’abbiamo intervistata poche settimane dopo il congresso veronese del movimento fondato da Carlo Calenda, con – nel mirino – le imminenti elezioni veronesi.

Milani, andiamo dritti al punto: nella visione di Azione cosa offre Verona ai giovani e cosa servirebbe riportare?

«Sentiamo la responsabilità di riportare pragmaticità, quella seria competenza per cui dico ciò che faccio e faccio ciò che dico. Se la politica non ha valori, il valore stesso va perduto. Noi di Azione cerchiamo di essere seri nel proporre ciò che si può fare e realizzare, spiegando anche come intendiamo farlo e perché. Affrontiamo ogni problema come se fosse un progetto di sviluppo di un’attività, con la massima serietà e attenzione».

Ha parlato di valori, e il primo è la competenza. Qual è il valore aggiunto che i giovani possono dare ad una politica che molto spesso sembra autoreferenziale, pensando anche alle recenti elezioni del Presidente della Repubblica?

Ilaria Milani

«Cedo che i giovani abbiano la responsabilità di portare innovazione in un’ottica di futuro sostenibile. Un termine molto usato ultimamente, che può avere mille accezioni, sociale come ambientale. Il punto è che devo pensare alle conseguenze che avrà domani tutto ciò che io pongo in essere oggi. Ritengo fondamentale che i giovani vengano messi al centro, non in un’accezione di favoritismo. Io stessa ho 26 anni e non vorrei mai che qualcuno venisse a darmi una pacca sulla spalla solo perché sono giovane. Noi giovani dobbiamo essere messi nelle condizioni di poter co-creare il futuro di questa città. Personalmente e come Azione Giovani siamo convinti che il tema centrale che oggi coinvolge i giovani a Verona sia il lavoro. L’università di Verona è un’eccellenza nel Nord Italia e sta passando da “grande Ateneo” a “mega” Ateneo con più di 30 mila studenti. Non può succedere che di fronte a questa situazione, Il numero di aziende che chiudono sia maggiore di quelle che effettivamente vengono avviate. Mancano i lavori qualificati. Il mio impegno in Azione è favorire la creazione di nuovi posti di lavoro a Verona, guardando semplicemente alle best practice che abbiamo vicino. Senza andare a Milano o Londra basta guardare anche la vicina Emilia Romagna, Bologna in particolare. L’Italia e Verona sono bravissime a non sfruttare opportunità e concretizzarle. Ecco, la politica è fare e saper fare».

Un esempio?

«Lanciare incentivi dedicati, con sgravi fiscali, anche con finanziamenti a fondo perduto per la creazione di nuove realtà imprenditoriali a Verona. Agendo in parallelo alla Regione Veneto e sfruttando la legge 14 del 2014 sulla promozione degli investimenti. L’Emila Romagna si è attivata in questo modo, erogando incentivi per quasi 100 milioni di euro e creando più di 1400 posti di lavoro qualificati. Con un ateneo che conta oltre 30 mila studenti, non possiamo pensare di non rafforzare il tessuto industriale per creare sempre più posti di lavoro qualificati. Il Veneto registra un alto tasso di migrazione verso l’esterno (che non è solo Londra) dei giovani.»

Ci sono altri strumenti a cui ricorrere per creare nuovi posti di lavoro?

«Altro strumento da utilizzare sono i bandi di sviluppo industriale finanziati dal Mise, anche questi molto utilizzati da Bologna. Sono fondi pubblici nazionali stati messi a disposizione per incentivare investimenti imprenditoriali e in parallelo riqualificare le zone degradate. Perché non mettere a terra anche a Verona azioni che permettono lo sviluppo di tutta la città e allo stesso tempo creano nuovi posti di lavoro per i giovani.»

Ha citato Bologna che è guidata dal centro sinistra. A Verona le politiche di centro destra sono radicate da anni e gli interessi del mondo imprenditoriale sono dominanti . A suo avviso qual è la leva di sviluppare per muovere le risorse?

«La matrice imprenditoriale a Verona è molto importante e va considerata come l’asso nella manica. Verona soffre però di un immobilismo assopito, che dura da anni, di cui non abbiamo più la percezione. Circola la credenza che “a Verona si sta bene”, ma questo è vero se ci confrontiamo con realtà più piccole, come Vicenza (con tutto il bene che voglio agli amici vicentini) . Io invece voglio confrontare Verona con città come Milano. Una delle cause di questo immobilismo è da cercare anche all’interno della città. Il voler guardare dentro Verona perché “è il meglio” e non guardare per esempio agli incentivi che l’Europa e Roma ci mettono a disposizione ci penalizza. Personalmente ritengo che abbiamo un ufficio di euro-progettazione molto carente, che non sa mettere a disposizione della città e dei giovani i bandi. IL meglio fuori dalle mura di Verona esiste e va utilizzato per il bene della città.»

A un recente convegno online promosso dall’Unione europea i relatori hanno evidenziato la necessità di superare particolarismi ma anche di realizzare un’unità europea specie dal punto di vista del PNRR. Come vedete la gestione del PNRR, in particolare in un’ottica di investire sul lungo periodo e con una politica industriale?

«Il PNRR è una grandissima occasione e darebbe la possibilità di fare politiche a lungo termine per tutti i cittadini. Sul tema delle politiche attive, quante risorse ci sono in questo PNRR? Donne, bambini e giovani sono state le fasce più colpite dalla pandemia, e non a caso per queste categorie l’Europa ha previsto una somma considerevole di fondi. Il Comune ha tutte gli strumenti e le competenze per rafforzare e rendere efficaci i servizi delle politiche attive. Partiamo anche dall’orientamento nelle scuole, che oggi rivela una qualità scadente. Vogliamo rendere i giovani realmente autonomi nella progettualità del loro futuro? Non bonus né sussidi, ma qualcosa che agevoli l’impiegabilità e l’innovazione della città. I giovani possono restituire un valore di innovazione enorme. Vogliamo tra l’altro realizzare un’iniziativa di educazione all’imprenditorialità, guardando cosa ci serve e utilizzare le best practice a cui ispirarci. Il Comune di Verona se ne deve fare carico, sviluppando imprenditorialità con project work, far conoscere i giovani alle aziende e viceversa. Oggi giovani e aziende dialogano pochissimo, a svantaggio di entrambi.»

Come vedete quindi l’attuale sistema dell’alternanza scuola-lavoro? Inoltre, come vedete oggi le professioni culturali, che migliorie pensate si possano applicare?

«L’alternanza scuola-lavoro viene dal mondo tedesco che da decenni mette in contatto i due mondi. Dobbiamo capire come sfruttarla meglio e migliorarla. La parola chiave è dialogo. Spesso le aziende hanno difficoltà a capire le necessità del giovane. Non posso pretendere che in 150 ore di lavoro un’azienda crei dei veri e propri percorsi di sviluppo senza supporto, devo accompagnarla. Specie in una realtà come il Veneto dove in molte pmi un ufficio HR nemmeno esiste. E la creazione di un piano di sviluppo è una delle attività più sfidanti che ci siano. L’amministrazione deve avere dei facilitatori veri, che sappiano creare piano di sviluppo realizzabili anche nel breve periodo ed efficaci sia per lo studente che per l’azienda.  SI tratta di creare le condizioni per un corretto funzionamento di un meccanismo che ad oggi non sta funzionando in modo efficiente. L’educazione all’imprenditorialità di cui abbiamo parlato prima rientra assolutamente nel tema alternanza scuola-lavoro. Quando io come città me ne faccio promotore – non erogatore – offro alle aziende e ai giovani un’alternanza scuola-lavoro mediata dalla città che se ne fa carico, nel senso di comprendere l’importanza di avere professionisti qualificati che vanno a disegnare questi progetti di sviluppo e creazione di valore per entrambe le parti.»

Quindi vedete una relazione a tre tra Comune, studenti e aziende. Cosa pensa, invece, delle lauree culturali, che in Italia di fatto risultano meno spendibili rispetto a quelle tecniche...

«In generale, ritengo che le competenze umanistiche abbiano un valore enorme, anche se da laureata in Psicologia forse sono un po’ di parte nel dare questo giudizio. Dobbiamo dare reali opportunità a chi sceglie questo tipo di formazione. Importantissimo integrare le competenze umanistiche con il mondo digitale e finanziario, ad esempio con workshop dedicati. Nel mondo del lavoro ormai competenze economiche e digitale sono ineludibili».

Che iniziative pensate di mettere in campo per i quartieri? Come si sta evolvendo la vostra relazione con la città di Verona anche in vista delle elezioni?

«A noi piacerebbe che tutti i cittadini tornassero a riappropriarsi della città. La nostra Anna Ferrari promuove il coinvolgimento dei giovani in attività di cura della città, ad esempio cura del verde, del quartiere, delle strade. Abbiamo infatti il problema di sentirci responsabili per la nostra città. Un coinvolgimento attivo dei giovani in questo senso è molto importante per noi. Inoltre la pandemia ha generato nei giovani un’ansia di futuro, ed è fondamentale ridare invece ai giovani una prospettiva ampia sul domani. Un tema importante è il coinvolgimento dell’Università, che dispone di molti spazi propri come del resto il Comune. Mettere reciprocamente a disposizione spazi di una parte e dell’altra permetterebbe di creare un sistema open, coinvolgendo sia chi vive ora l’università sia chi ha già superato quella fase, in un clima di convivialità e partecipazione.»

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