La punta dell’iceberg
In un periodo in cui abbiamo perso la percezione di avere il controllo su quello che ci circonda, il controllo del proprio corpo sembra essersi accentuato, registrando un aumento dei casi di disturbi alimentari.
In un periodo in cui abbiamo perso la percezione di avere il controllo su quello che ci circonda, il controllo del proprio corpo sembra essersi accentuato, registrando un aumento dei casi di disturbi alimentari.
«Ricordo che dovevo compiere 20 anni. Mancava qualche giorno alla mia festa di compleanno e mia mamma aveva preparato una torta di mele che a me piaceva tanto. Davanti a quella torta mi bloccai. Iniziai a sentire una voce che mi diceva di non mangiare quella torta perché potevo ingrassare e io non potevo permettermelo. Volevo sentirmi perfetta. Fame fame fame diceva lo stomaco. Non devi mangiare diceva il cervello. Ecco cosa provavo. Da lì sfociò la mia patologia credo. Iniziai a star male, non digerivo più nulla, così iniziai a mangiare meno, a restringere le quantità di cibo per paura di stare male. Nessuno capiva cosa avevo e iniziai a perdere peso. Inizialmente provavo un senso di appagamento per la perdita di peso. Mi piacevo. Mi accettavo di più. Mi sentivo più a mio agio nel mondo. Arrivai a pesare 38 chili, così decisi di iniziare un percorso di psicoterapia e riabilitazione nutrizionale. Ripresi peso e iniziai a stare meglio fisicamente, ma psicologicamente non accettavo la mia forma del corpo. Non mi piacevo, non mi accettavo. Allora iniziai a mangiare meno, a eliminare determinati alimenti. Iniziai a perdere tanto peso. Il controllo sfuggì del tutto e così sono stata ricoverata in ospedale. All’inizio del ricovero pesavo 30 chili. Dopo 94 giorni di ospedale fui dimessa e così iniziò il percorso di ricostruzione. Sono passati due anni dal mio ricovero. La psicoterapia mi ha aiutata tanto, adesso sono una persona nuova. Gli strascichi della patologia ancora li ho. Il controllo sul cibo adesso c’è sempre, la paura di ingrassare anche, ma diciamo che, a differenza di prima, mi nutro, mi piace provare un senso di appagamento tramite il cibo, mi piace solleticare le papille gustative, ma soprattutto ho imparato a condividere il cibo. Andare a cena fuori con gli amici non mi fa più paura, soddisfare una voglia non mi fa più paura. Chiaramente il disturbo alimentare è solo la punta di un iceberg, bisogna capire cosa c’è dietro.»
In un periodo in cui abbiamo perso la percezione di avere il controllo su quello che ci circonda, il controllo del proprio corpo sembra essersi accentuato, registrando un aumento dei casi di disturbi alimentari. Il cambiamento delle nostre abitudini ha avuto un enorme impatto psicologico, sperimentando anche un maggiore disagio emotivo, con frequente aumento della psicopatologia alimentare. Ma quando ha avuto inizio tutto? Difficile da dire. La pandemia ha spesso portato a galla delle difficoltà sottese, rendendole maggiormente esplicite e pertanto trattabili. Così le persone con disturbi dell’alimentazione hanno avuto un alto rischio di ricaduta o peggioramento della gravità del loro disturbo, sia per contenere la paura di infezione da contagio che per la sedentarietà della quarantena, ma anche per la carenza di adeguati trattamenti psicologici e psichiatrici.
Inoltre la preoccupazione e l’ansia hanno frequentemente accentuato la complessità del disturbo, innescando un intreccio di emozioni negative, che hanno causato frustrazione e difficoltà di accettazione del proprio corpo, dando luogo, nei casi più gravi, al ricovero ospedaliero forzato. Per spezzare questo circolo vizioso sarebbe fondamentale imparare a conoscere, identificare ed esprimere le proprie emozioni rispetto al proprio corpo e all’alimentazione. Il cibo è infatti spesso riflesso del difficile rapporto con se stessi e con gli altri. È la richiesta di essere visti, ma anche compresi profondamente.
Raccontare il proprio approccio nei confronti degli alimenti permette alle persone infatti di capire cosa si nasconde dietro, consente di guardarsi dentro e affrontare eventuali difficoltà. Questo perché chi soffre di disturbi alimentari spesso si sente solo, costantemente giudicato (da sé e dagli altri) per il proprio aspetto fisico e sofferente, tanto da odiarsi o disprezzarsi in continuazione. La non accettazione della propria immagine corporea porta, sempre più i giovani, a confrontarsi con ideali di magrezza e muscolosità che sono in questa epoca enfatizzati dall’uso eccessivo dei filtri e false verità che spopolano sui social, capaci di influenzare i comportamenti legati all’alimentazione e indurre a sregolatezza e disordine al fine di perdere peso o prevenirne l’aumento. E i disturbi alimentari, resi maggiormente evidenti nei periodi di fragilità, necessitano di un accompagnamento profondo e, molto spesso, prolungato, tanto da registrare un incremento delle prese in carico ancora oggi, oltre lo scoppio della pandemia. È infine necessario non sottovalutare e comprendere la persona, oltre al disturbo.
Ringraziamo B. per la sua sincera testimonianza.
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