Quirinarie – Le pagelle finali
Dopo un'intensa settimana dedicata alle elezioni del Presidente della Repubblica diamo infine i voti ai vari leader politici protagonisti.
Dopo un'intensa settimana dedicata alle elezioni del Presidente della Repubblica diamo infine i voti ai vari leader politici protagonisti.
Le elezioni sono finite, il Presidente della Repubblica e il Presidente del Consiglio sono gli stessi della settimana scorsa e tutto sembra essere rimasto uguale a prima. Ma è solo un’illusione: quella che si è appena conclusa è una partita a scacchi (giocata, peraltro, in maniera abbastanza scadente) che avrà uno strascico nelle settimane e nei mesi a venire. Come tutte le partite, anche questa lascia sul campo dei vincitori e dei vinti. Vediamo insieme chi sono e come si sono comportati i principali protagonisti degli ultimi sette giorni della vita politica del nostro Paese.
Il 28 gennaio 2022 Matteo Salvini se lo ricorderà a lungo. Una giornata iniziata male, con la decisione di provare la spallata con la candidatura della Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati e finita peggio, con la candidatura di Elisabetta Belloni stroncata ancor prima di nascere. Venerdì 28 è la sintesi della gestione salviniana della partita per il Colle: mai in grado di governare gli eventi e imporre una sua visione, deve piegarsi e accettare la riconferma di Mattarella, lo stesso che nel 2019 decise di rifiutarsi di sciogliere le Camere e sostituì il governo giallo-verde con il governo giallo-rosso. Dulcis in fundo: subito dopo la riconferma di Mattarella, Giancarlo Giorgetti, anima governista della Lega e in storico contrasto con il segretario del Carroccio, annuncia le sue dimissioni, poi rientrate. L’antipasto della battaglia che inizierà a scatenarsi nelle prossime settimane.
Media aritmetica tra la gestione del fronte interno pentastellato (6) e la gestione delle tattiche politiche con gli altri partiti (4). L’ex Premier pagava una situazione oggettivamente non facile: dalla scomoda posizione di Capo Politico, ruolo che internamente nessuno sembra voler veramente riconoscergli, doveva evitare spaccature davanti gli occhi di tutto il Paese. Missione che fino al penultimo giorno sembrava riuscita ma poi crollata rovinosamente con la candidatura Belloni. Mentre Conte si affrettava a esprimere il suo supporto per la Direttrice del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza, Di Maio sparava ad alzo zero contro questa proposta. Il risultato? L’inizio delle guerre stellari. Alla fine, la soluzione Mattarella era quella auspicata dal Capo pentastellato, ma questo passa ormai in secondo piano rispetto alla voragine interna che si è aperta. Il bello deve ancora arrivare.
Anche per Letta la sfida al Quirinale appariva rilassante tanto quanto scalare l’Everest in costume da bagno. La pattuglia del Partito Democratico che siede in Camera e Senato non era stata scelta da lui ma dal suo predecessore Renzi. Questa situazione ha pesato come un macigno per Letta che è stato costretto a giocare sempre in difesa e di rimessa, senza mai potersi permettere il “lusso” di provare ad avanzare una candidatura capace di creare aggregazione o di far muovere le cose: troppo forte il rischio che i franchi tiratori lo impallinassero alle spalle, come successo a Bersani nel 2013. Letta ha l’indiscutibile merito di aver capito subito la situazione e non essersi avviato in nessuna avventura rischiosa. La sua decisione di non giocare la carta-Draghi è quella che di fatto dovrebbe permettere all’ex Presidente della BCE di guidare l’esecutivo fino alla scadenza naturale della legislatura nel 2023. Il suo partito ne esce rinforzato e con una rinnovata unità, insomma poteva andare (molto) peggio.
Appese al chiodo le velleità da king-maker, Renzi si scopre uno dei più vivaci commentatori politici, sempre pronto a dare una sua visione su ogni passaggio dell’elezioni per il Capo dello Stato. Il suo disegno era portare Casini o Draghi al Quirinale e giocarsi le sue carte per rinforzarsi al Governo in vista delle elezioni del 2023. Non è andata così e forse l’elezione di Mattarella non lo farà saltare di gioia (lo stesso Mattarella nel 2016 si rifiutò di sciogliere le Camere subito dopo il referendum costituzionale perso da Renzi; lo avesse fatto, oggi staremmo raccontando una storia completamente diversa), ma non aveva neppure l’obbligo di giocare un ruolo da protagonista. La sua forza dialettica è quella di sempre, con l’abilità di menzionare Aldo Moro e i Gormiti nel giro di una frase, ma alle sue spalle non ha più (per ora) i voti e la forza politica che lo farebbero essere al centro della vita del Paese. Non è escluso che non tornerà alla ribalta l’anno prossimo, magari dall’altra parte della barricata prendendo le redini delle forze centriste insieme a Calenda e quella che sarà Forza Italia post-berlusconiana.
La Meloni è l’unica che prende il coraggio a due mani e mercoledì 26 decide di contare i propri voti in Parlamento, presentando Crosetto. Il rischio è notevole ma ottiene un grande risultato: raddoppia i voti, passando dai 63 che sulla carta erano nelle sue disponibilità ai 112 finali. Inoltre, la leader di Fratelli d’Italia sembra essere l’unica ad avere una chiara idea di cosa fare: Draghi al Quirinale – così da far stare tranquilli sia l’Unione Europea sia gli americani – ed elezioni, sicura di fare jackpot. Il colpo non le riesce, ma in questi giorni la Meloni ha iniziato a costruirsi il terreno per lanciare la sua sfida per Palazzo Chigi tra 15 mesi, annunciando che la coalizione di centrodestra così come è strutturata ora non può più esistere. Insomma, Salvini è avvisato.
Per l’ottantaseienne Cavaliere questo era l’ultimo giro di valzer e di fatti nei primissimi giorni di gennaio la sua operazione Scoiattolo, chiamare tutti i grandi elettori potenzialmente indecisi e convincerli a supportarlo per il Colle, aveva fatto tanto rumore. Tanto rumore per nulla, però. Alla prova pratica, ancor prima di iniziare a far sul serio, Berlusconi ha capito di non avere nessuna possibilità di farcela e ha preferito ritirarsi, anche fisicamente, dalla competizione. Ritornato alla ribalta per un suo messaggio a favore della fedelissima Casellati nella mattinata di venerdì 28, ha poi dovuto accettare la riconferma del Presidente uscente con cui porta avanti una sua personale inimicizia sin dal 1990 quando Mattarella, all’epoca Ministro dell’Istruzione, si dimise in aperta ostilità contro la legge Mammì, giudicata troppo favorevole per le televisioni commerciali di cui Berlusconi era all’epoca creatore e padrone assoluto.
Il Presidente uscente e entrante merita il massimo dei voti non fosse altro per la pazienza dimostrata nei confronti di una classe politica incapace di mettersi d’accordo. Mattarella aveva più volte dichiarato di non essere a favore della riconferma della carica di Capo dello Stato. Prima con i suoi discorsi e poi arrivando a lasciare Roma i primi giorni di elezione per rimarcare la sua distanza, anche fisica, con quanto stesse accadendo. Niente, il messaggio non è stato recepito, Mattarella continuerà ad essere il dodicesimo Capo dello Stato italiano. Le sfide che ha davanti farebbero tremare i polsi a chiunque, ma Mattarella ha dimostrato di avere spalle larghe, anzi larghissime e in qualche modo ce la farà. Di questo, almeno, ne siamo sicuri.
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