Il problema demografico, quello delle “culle vuote” affligge tutto l’Europa e, in generale, il mondo avanzato. Dopo il Giappone, primo al mondo, in Europa è l’Italia già dal 2019 ad avere la popolazione più anziana (23,2% oltre i 65 anni) e, a livello regionale, la Liguria è prima in Italia e seconda a livello europeo (28,7%). Uno squilibrio, questo, che porterà sempre maggiori costi da sostenere per il welfare e minori entrate per le casse dello Stato – il che si traduce in minori servizi in termini di qualità e quantità – con l’aggravante che, già da tempo, le ridotte e precarie risorse dei giovani non potranno nemmeno più contare sul sostegno delle mancette dei nonni.

Da una parte aumentano i decessi…

Il quadro demografico italiano ha subito profondamente l’impatto dell’epidemi da Covid-19: nel 2020 i decessi ammontano a 746.146, con un aumento rispetto alla media 2015-2019 di oltre 100 mila unità (+15,6%). L’incremento dei morti, nel periodo marzo-maggio, per il Veneto è stato del +19,4%, meno comunque della Lombardia e in generale del Nord Ovest, forse per effetto di una migliore gestione politica dell’emergenza.

Dall’altra diminuiscono le nascite

Con 404.104 nati, il 2020 segna il nuovo record negativo italiano per numero di nascite dall’Unità d’Italia in poi, con una flessione rispetto al 2019 di -3,8% (il record precedente). A questo va aggiunta, anche se si tratta di numeri molto ridotti, la riduzione delle fecondazioni assistite, che l’emergenza Covid ha rallentato o posticipato come tanti altri interventi ospedalieri ritenuti non essenziali. Dal punto di vista della periodizzazione, il calo delle nascite si accentua nei mesi di novembre e soprattutto di dicembre (-10,3%), il primo mese in cui si possono osservare eventuali effetti della prima ondata epidemica. Sempre secondo l’ISTAT, “il senso di sfiducia generato nel corso della prima ondata, soprattutto al Nord, può aver portato alla decisione di rinviare la scelta di avere un figlio. Al contrario, il clima più favorevole innescato nella fase di transizione può avere avuto effetti benefici transitori, poi annullati dall’arrivo della seconda ondata.”

Variazioni nascite per mese 2020-2021

Una curiosità: il lockdown, deciso in Italia nel Governo Conte II tra il 9 marzo e il 18 maggio 2020, potrebbe avere lo stesso effetto delle feste natalizie per i concepimenti, che non a caso vede in Italia nel 2020 i mesi di settembre e ottobre come i mesi con più nascite? Se gli italiani avessero “approfittato” dei tre mesi di confinamento avremmo avuto un considerevole aumento delle nascite tra dicembre 2020 e febbraio 2021. Così non è: i dati nazionali (per quelli del Veneto dobbiamo attendere) mostrano che l’attività ludica dedicata alla procreazione è avvenuta appena dopo, tra luglio e settembre, in piena estate.

In questo quadro d’insieme, Verona e il Veneto come stanno?

Vediamo cosa accade a livello regionale: se i veneti parevano in una progressione demografica inarrestabile sulle note dell’Aida fino al 2014, da quel momento in poi i residenti cominciano a scendere e a farlo con decisione dal 2018 (ben 20.447 residenti in meno in un anno); si riducono a 4.879.133 nel 2019 per poi passare a 4.858.735 a settembre 2021 (altri 20.398 residenti in meno); in quasi sette anni il Veneto ha perso 68.861 residenti, come se di colpo sparissero insieme Conegliano e Castelfranco Veneto. Certo, c’è da considerare – come visto – l’imprevisto effetto della pandemia; tuttavia, se osserviamo il grafico relativo alla natalità, notiamo come parallelamente al ridursi della popolazione si accompagni la contrazione delle nascite: la differenza tra il 2011 e il 2020 è di ben 12.255 unità, ovvero quasi il 28%, con uno scalino più marcato tra il 2018 e il 2019.

I dati del Veneto, fonte Istat

Il periodo considerato, dieci anni, è certo parziale e coda di una tendenza di lungo periodo, ma il risultato è evidente, per Verona e il Veneto (che hanno valori molto simili): l’età media del primo parto si sposta ancora più in là ed ora è di 32,3 anni, il che significa che il prolungamento dell’attesa non è dovuto solo al protrarsi dello studio ma tiene conto anche di fattori soggettivi come scelte personali, reperimento del partner, etc. quanto presumibilmente di difficoltà oggettive, ovvero la ricerca della stabilità economica e la conciliazione con le esigenze del lavoro. Per quanto riguarda gli effetti di lungo periodo sulle fasce di età – quindi ben oltre il campione -, Veneto e Verona sono, dal punto di vista dei dati, assolutamente in linea. Di fatto, il grosso della popolazione tra i 15 e 64 anni è il 64%: tra gli under 15 e gli ultra 65 c’è un 9% di differenza a sfavore delle nuove generazioni.

Verona. Il contributo dell’immigrazione

dati dal sito del Comune di Verona

Storicamente, a compensare il segno negativo tra nati e morti delle popolazioni locali interveniva la mobilità e prolificità degli immigrati. Nel caso di Verona, nel 2020 a fronte di un saldo naturale negativo (-551) il saldo migratorio (esterno+interno) è di +1728; lo stesso effetto compensativo lo si ritrova anche in tema di natalità e non è forse un caso che nel 2019 i quartieri con la percentuale più alta di immigrati, ovvero Borgo Milano (18,17%), Borgo Roma (13,80%), Borgo Venezia (10,64%) siano stati quelli con maggiore tasso di natalità: un anno dopo, i nuovi figli dell’immigrazione sono di origine (della madre) prevalentemente dalla Romania (1705), dal Marocco (902), dal Bangladesh (498), dall’Albania (498), dalla Cina (334), dalla Nigeria (333) e dall’India (331).

Tuttavia, questa spinta riproduttiva dell’immigrazione illanguidisce nella sua funzione compensativa: se nel 2011 il tasso di fecondità delle madri straniere era del 2,28 in Veneto (2,26 Verona) contro un valore delle madri italiane molto inferiore, ovvero l’1,28 (1,32 Verona), questo tasso positivo decresce sino al 2019 al 2,2-2,1, per poi scendere bruscamente ancora di mezzo punto. Nel 2020 così siamo al 2,06 (Veneto) – 2,07 (Verona), ovvero al di sotto del tasso di sostituzione minimo di 2,1, necessario per una stabilità del sistema.

La distribuzione delle famiglie nel Comune di Verona

Sempre considerando un periodo di una decina d’anni, si può notare come, dopo il 2008 la popolazione residente a Verona è scesa stabilmente sotto i 265.000. Come media, il centro storico (Cittadella, Città antica, s. Zeno, Veronetta) è l’unica circoscrizione ad avere un valore inferiore a 2 da oltre 10 anni per quanto riguarda la dimensione media familiare, mentre tutti gli altri quartieri hanno sì progressivamente diminuito il numero di componenti senza tuttavia scendere sotto tale soglia. La circoscrizione VIII mostra il valore più alto, 2,3, con in testa s. Maria in Stelle (dal 2009!) e poi Mizzole.

In conclusione…

La prospettiva è dunque quella di una società sempre più anziana e destinata ulteriormente a ridursi se non intervengono movimenti migratori interni o esterni cospicui. Vale per Verona così come per il resto dell’Italia: se, per gioco, provassimo a fare una previsione attraverso un sito come populationpyramid (che ha un valore puramente indicativo) la popolazione italiana sarebbe destinata a ridursi di un terzo nel 2100 (39.992.910 abitanti; oggi gli italiani sono 59.258.000), tornando ai livelli degli anni venti del ‘900.

Tornando invece all’oggi, a livello più politico, rimane interessante l’osservazione di Fernando Camon su Avvenire, quando indica possibili problemi di tenuta per la democrazia legati alla mancanza di confronto e senso della collettività: “Nella famiglia con più figli si parlava tanto, pranzo e cena erano discussioni. Magari vaniloquenti e caotiche, ma pur sempre discussioni. Ci si abituava alla democrazia, agli altri. Le famiglie con un solo figlio educano all’individualismo, e lo si vede a scuola, anzi già all’asilo. Parlano meno.”

A livello locale, invece, per la nostra Verona rimane difficilmente comprensibile il costante consumo di suolo legato a nuova edilizia residenziale a fronte di una popolazione che decresce nell’ultimo biennio ed è sostanzialmente stabile da 7 anni.

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