Gli italiani e la politica internazionale
L'annuale sondaggio Ipsos sulla politica internazionale dà lo spunto a qualche commento trasversale e pure un po' malizioso del quadro che ne esce.
L'annuale sondaggio Ipsos sulla politica internazionale dà lo spunto a qualche commento trasversale e pure un po' malizioso del quadro che ne esce.
Pochi giorni fa sono stati divulgati i risultati di uno studio sulla percezione degli italiani nei confronti della politica internazionale, come accade a dicembre da almeno otto anni. Si tratta di un tema apparentemente molto lontano dalle questioni di sopravvivenza giornaliera ma raccoglie l’evoluzione di un sentimento “italiano” che cambia insieme ai timori e alle speranze dei nostri concittadini.
L’esito del sondaggio mostra un italiano preoccupato ma non disperato, conscio che la patria non è minacciata bensì soccorsa dagli amici di sempre; è un italiano che non sembra avvertire la necessità, in questa imprevedibile fase storica, di un Patriota (maiuscolo urlato, ovviamente), forse per sfiducia generalizzata o forse perché convinto che la Patria si identifichi nella somma di molti individui e mai in una sola persona.
Ipsos è la terza società specialistica per importanza a livello globale, con presenze in 87 nazioni di tutti i continenti, 16.000 dipendenti e attiva in programmi di ricerca su oltre 100 Paesi. Nelle parole del suo presidente, Nando Pagnoncelli, si tratta di una società “curiosa verso le persone, i mercati e la società, che fornisce informazioni e analisi volte a semplificare il mondo complesso” in cui viviamo.
Questo sondaggio, come sempre sostenuto e promosso dall’Istituto (italiano) per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI), raccoglie le impressioni di un panel di oltre mille italiani, diversificati per genere, età, istruzione, occupazione e residenza in omogeneità con la distribuzione dell’intera popolazione del nostro Paese.
Tra i numerosi quesiti posti ai nostri concittadini ne abbiamo selezionato qualcuno per un’analisi trasversale e a volte stronzetta, che vuole essere stimolo per la riflessione personale.
Si comincia sempre dalla domanda facile, quella che chiunque può indovinare da solo. A livello globale, la minaccia più sentita dagli italiani è stata ovviamente la pandemia, ma – e questo è un pochino meno scontato – a pari merito con il cambiamento climatico, protagonista assoluto dei media per tutte le età. Insieme queste voci costituiscono la prima risposta di metà degli intervistati. A poca distanza (19%), segue la crisi economica, vista come collegata a quella sanitaria, mentre con il 9% troviamo le disuguaglianze sociali e solo il 5% trova ancora pericoloso il terrorismo islamico.
E pensare che fino a pochi anni fa, rappresentava la peggior minaccia globale per ben il 38% degli italiani, mentre il clima e l’economia erano rispettivamente al 15% e 12% (dati 2015).
Spostando il focus della domanda più vicino a casa, a livello nazionale gli equilibri si invertono e la paura più grande diventa la crisi economica, con ben il 43% delle risposte, mentre la pandemia si ferma al 19%. Segno evidente che è forte la convinzione che la risposta del nostro Paese alla crisi sanitaria sia stata decisamente migliore degli strumenti attivati per proteggere l’economia e il potere d’acquisto dei cittadini.
Coerentemente con tali posizioni, il 41% ripone le proprie speranze per il futuro del mondo nella campagna vaccinale, mentre solo il 17% ha fiducia in un miracolo del governo Draghi e ancora meno italiani (14%) apprezzano il Recovery Fund europeo, probabilmente ritenuto volare troppo in altro rispetto alle comuni necessità di tutti i giorni.
I rincari pesanti sulle materie prime e l’energia, figli di dinamiche globali difficilmente reversibili, almeno in tempi brevi, hanno fatto scoppiare ovunque nel mondo una bolla inflattiva che si è insinuata nei beni di prima necessità e hanno passato all’italiano la percezione che le misure finora adottate abbiano in qualche modo fatto ulteriori danni, che “si stava meglio quando si stava peggio”.
Nonostante non siano preoccupati dal terrorismo a matrice religiosa, gli italiani hanno un tarlo fisso, che ha mostrato poche variazioni nel corso degli ultimi anni: l’aumento dei clandestini in arrivo sulle coste nostrane ed europee. Un tema ampiamente cavalcato dalla politica, una paura che trova purtroppo riscontro in una realtà con numeri sempre più corposi, causati dai numerosi focolai di crisi vicini e lontani.
Pensiamo a Polonia e Bielorussia che strumentalizzano le persone per finalità di potere e influenza (motivo d’ansia per il 16% degli intervistati) o alla crisi afghana (8%), libica (3%) e nel corno d’Africa (1%). Percentuali queste ultime che paiono molto basse, specie se confrontate con lo spettro enorme degli sbarchi, in una contraddizione che mette in luce un errore di fondo negli italiani sentiti da Ipsos: pensare che gli sbarchi siano cosa diversa dalle crisi citate significa vedere soltanto una parte del problema, significa che le cause originanti gli sbarchi sono di scarso interesse o poco conosciute. O forse, non abbastanza sottolineate da media e politici.
La totale sfiducia nel leader saggio e potente, capace di salvarci da tutte le disgrazie, appare chiara dal sondaggio e trasversale a tutti i Paesi. Se solo il 17% degli intervistati considera Draghi un motivo di speranza per il futuro dell’Italia, non se la cavano molto meglio gli altri leader messi a confronto per grado di influenza a livello globale: a parte Joe Biden e il Papa, che superano il 15% delle risposte, il resto del panel si divide piuttosto equamente tra i vari Putin, Merkel, Xi Jinping e von der Leyen. E molti dichiarano di non saper rispondere, insomma non gliene viene in mente neanche uno degno di citazione.
A sostegno dell’autostima del dottor Draghi – che per la verità appare tutt’altro che fragile – i partecipanti gli riconoscono di aver reso l’Italia più influente rispetto all’anno precedente. Lo pensa il 30% contro il 19% che aveva espresso la stessa opinione per il governo gialloverde l’anno prima. Sono soddisfazioni, presidente (del Consiglio, della Repubblica, del Mondo, chissà), ma non si esalti. Era davvero molto più difficile far peggio del governo degli onesti.
Alla domanda relativa ai nemici del nostro Paese, gli italiani evidenziano di avere una percezione generale dei mutati equilibri internazionali e del diverso ruolo dei singoli blocchi. Il nemico numero uno del 2021 è diventata la Cina (34%) che doppia l’Iran, fermo al 19%. La Corea del Nord, che nel 2017 sfiorava il 60%, è sparita dai timori italiani insieme al suo adorabile pacioccone.
Stupisce un po’ la fiducia riposta in Paesi come Turchia, Arabia Saudita e Israele, per citarne alcuni, tutti percepiti come minaccia da meno del 5%. Eppure, basta grattare appena sotto la superficie di “Paese Amico e Benefattore” per rendersi conto che le influenze sono ormai radicate, sotterranee e sempre più pericolose. Del resto, che un panel non sempre brilli di intelligenza e lungimiranza è provato dal signore incontrastato dei favori del 2019, il presidente biondo che fa impazzire il mondo, che sfiorava da solo il 50%.
Anche questo gruppo di domande mostra quello che Prince chiamerebbe il Sign o’ the Times, ovvero la legge del contrappasso. L’anno scorso la miglior alleata europea dell’Italia era considerata la Germania ma a quanto pare da noi non si guarda in faccia nessuno: morto un cancelliere se ne fa un altro.
Con la perdita di popolarità della signora Angela Merkel (dalla pole position 2020 con il 25% delle risposte a un mediocre 13%) è scesa anche la percezione dell’influenza della grande Germania, che passa dal 50% netto del 2020 al 35% quest’anno.
Il suo posto viene preso dall’enorme balzo in avanti della Francia, che arriva al 48% dopo diversi anni passati sempre sotto il 20% delle risposte. Un dubbio sorge nei lettori più attenti, e cioè che il sondaggio abbia subito il doping mediatico dell’importante quanto nebuloso accordo concluso tra Italia e Francia a fine novembre, proprio nei giorni in cui si tenevano le interviste Ipsos. Ma un dubbio legittimo non cambia il risultato, ormai è agli atti.
Dal sondaggio esce un quadro particolare del nostro Paese, preoccupato dalla lentezza della ripresa economica – a dispetto dei numeroni inanellati dal PIL, una grandezza che all’uomo della strada fa lo stesso effetto del due a briscola – ma al tempo stesso fiducioso nei vaccini e nella gestione italiana della pandemia, almeno nel 2021.
Ci sono sorprese e cambi di rotta nel sentire comune ma anche conferme di quel tratto caratteristico degli italiani in tutte le situazioni, lo chiameremo scherzosamente Fratelli Bandiera d’Italia. Eccone un paio.
Alla domanda relativa alla propria percezione se l’Italia avesse aumentato la propria influenza a livello globale, un terzo ha risposto sì, un terzo ha detto macché e un altro splendido terzo degli intervistati ha fatto ricorso al Grande Boh. Prendere posizione richiede lo sforzo di conoscere, meglio adagiarsi su quel “non sa, non dice”, stile di vita decisamente più comodo.
Una conferma di questa preferenza per non decidere viene dal quesito su come dovrebbe comportarsi la UE nella guerra commerciale tra USA e Cina. Circa un quarto degli intervistati vota per appoggiare gli Stati Uniti, un 10% preferisce la Cina e un italianissimo 64% suggerisce di non schierarsi proprio.
Vivi e lascia vivere, bocia, chi si fa i dazi suoi campa cent’anni.
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