Sabato 11 dicembre c’è stata la Giornata Internazionale della Montagna. È una giornata nata nel 2002, frutto dell’Anno Internazionale della Montagna, con lo scopo che il mondo intero cominciasse a pensare alla montagna come ad un fragile ecosistema da sostenere.

Da lì, ogni anno, nel giorno dell’11 dicembre, la Montagna dovrebbe essere al centro dei pensieri della Comunità Internazionale, e quindi di noi tutti, con la consapevolezza che “le montagne, che coprono un quarto della superficie terrestre, sono tra gli habitat più minacciati: deforestazione, sfruttamento indiscriminato del territorio, alti tassi di emigrazione, attività minerarie e turismo spesso mal gestiti e dannosi per l’ecosistema.

Nonostante le comunità montane siano quelle che a livello globale meno contribuiscono alle emissioni di gas serra, sono paradossalmente tra quelle che più risentono degli effetti negativi del cambiamento climatico con lo scioglimento dei ghiacciai e l’arretramento del permafrost, mentre inondazioni, frane e valanghe diventano sempre più frequenti.

L’aver trascurato questi habitat non ha soltanto avuto ripercussioni sulle comunità che vi abitano, ma sta avendo ricadute negative su ogni abitante del pianeta.”

(dal discorso per il Decimo Anno della Giornata per la Montagna di Eduardo Rojas-Briales, Vice Direttore Generale del Dipartimento Forestale della FAO).

C’è da chiedersi quanta consapevolezza abbiamo noi veneti di tutto ciò, soprattutto verso le nostre Dolomiti che ricordiamo, essere dal 2009 Patrimonio mondiale dell’Umanità.

Attualmente in verità, c’è molto fermento nei territori montani di Cortina e del Cadore. È un fermento di protesta e disagio, portato avanti da varie organizzazioni ambientaliste o comunque legate alla montagna, che stanno cercando di mettere freno alle pesanti conseguenze che avranno su quei territori i prossimi Giochi olimpici “Milano-Cortina 2026“.

Ne avevamo già parlato a ottobre, in occasione della marcia di protesta avvenuta proprio a Cortina contro i grandi impianti la cui costruzione è prevista per i Giochi Olimpici. A colpo d’occhio ciò che sembra accadere è che il Comitato Olimpico annunci giochi sostenibili a basso impatto ambientale, mentre nel concreto ci sono già grandi aziende e grosse somme di denaro pronte a realizzare mega impianti, sia sportivi sia di accoglienza dei turisti.

Foto autorizzata.

A novembre la Regione Veneto ha definitivamente approvato il tanto contestato progetto per l’adeguamento della vecchia pista da bob olimpica “Eugenio Monti” di Cortina d’Ampezzo, dismessa e poi chiusa nel 2008.

In seguito il Governo ha anche approvato i finanziamenti per due collegamenti sciistici da Padola a Passo di Monte Croce, un territorio tra Cadore e Comelico. Lavori a grande impatto ambientale e di scarsa utilità futura, secondo le associazioni ambientaliste.

A tal proposito abbiamo chiesto un commento a Giovanna Ceiner, Presidente di Italia Nostra – Sezione di Belluno.

Ceiner, la vostra associazione è tra i firmatari della petizione contro la nuova pista da bob. Cosa ci dice in proposito?

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«La questione della pista da bob è fondamentalmente un inganno, un bluff. Il Governo ha stanziato 24 milioni di euro per un adeguamento. La Regione Veneto invece, con la Provincia di Belluno e il Comune di Cortina, spenderà un totale di 61 milioni di euro per la riqualificazione. Ciò significa che parte della pista verrà demolita e costruita ex novo. Quella pista compirà nel 2023 100 anni esatti. Nella sua storia ha già provocato sette morti. È una pista non adatta ai nuovi bob, che hanno bisogno di nuove traiettorie. Tutto intorno nel frattempo, si è creata una zona molto urbanizzata. C’è un bosco e un intero paesaggio che verrebbero distrutti per far spazio non solo alla pista, ma anche alle tribune, ai parcheggi, alla pista di atterraggio per l’elisoccorso, agli spazi dedicati alle giurie, etc. Secondo noi, la soluzione migliore, rimane la prima suggerita al Comitato: portare le gare di bob a Innsbruck, dove tra l’altro, pochi giorni fa si è svolta la Coppa del Mondo. Significa che quella è una pista già adatta alle attuali competizioni, ma chissà perché è una soluzione che è stata scartata.»

Avete anche fatto ricorso al TAR del Veneto, riguardo ai due collegamenti sciistici nel Comelico Superiore. Ci spiega le motivazioni di questa azione?

Alcune immagini dello stato attuale della pista E. Monti. Foto autorizzate

«Abbiamo fatto ricorso perché a giugno la commissione VAS (Valutazione Ambientale Strategica, nda) della Regione Veneto aveva evidenziato importanti criticità ambientali in merito ai due collegamenti, quali la frammentazione di habitat e specie, la perdita di biodiversità, il disturbo della quiete invernale e il forte sfruttamento delle risorse idriche. Ciononostante l’intervento è stato approvato. Ancora una volta la tutela dell’ambiente è stata calpestata dagli interessi economici. È anche un collegamento inutile, detto francamente. Quei collegamenti sciistici rimarranno fine a se stessi. Non porteranno da nessuna parte. Il fatto che per il collegamento sciistico siano già stati stanziati 26 milioni di Euro, provenienti dal Fondo dei Comuni Confinanti, rende ancora più grave la situazione, perché consolida un modo di procedere secondo il quale prima si stanziano dei contributi pubblici e solo successivamente si fanno le verifiche ambientali.»

Andrete fino in fondo, dunque...

«La nostra missione è tutelare il paesaggio nella sua integrità e bellezza. Da una parte ci siamo noi, che abbiamo a cuore l’ambiente della montagna, i suoi equilibri; dall’altra parte ci sono le logiche economiche. La pista da bob porterà solo debiti per i cittadini e distruzione ambientale. Cortina non ha più uno spazio libero, è foderata di strutture. Il Comelico va preservato. Tutta questa manipolazione della montagna ha come illusione quella di di creare posti di lavoro. Ma è solo un’illusione appunto. Non è la direzione giusta. E noi continueremo a dirlo.»

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